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06/11/2013

Meglio populisti che morti

Uno spettro si aggira per l'Europa: lo spettro del populismo. Per combatterlo si sono alleati i partiti socialisti e quelli conservatori, le multinazionali e le banche, i democristiani italiani e i democristiani tedeschi... La parafrasi delle prime righe de il Manifesto di Marx e Engels può e deve fermarsi qui, anche perché stiamo parlando di cose molte diverse tra loro. Il nascente movimento operaio del XIX Secolo aveva altro spessore e altra testa rispetto a quello che passa oggi il convento. Ma la crociata contro “I populisti” che i governi della Trojka europea stanno conducendo, merita qualche riflessione che ci riguarda molto - molto - da vicino.

In piena guerra fredda,i movimenti per la pace tedeschi rendevano isterico il loro establishment dichiarando: “meglio rossi che morti”. Il riferimento evidente era al fatto che tra la corsa alla guerra nucleare e il socialismo reale appena al di là del muro, forse era meglio la seconda opzione che l'olocausto atomico sul quale puntavano gli Usa e la Nato.

La storia, fortunatamente per tutti, non resta mai ferma. Nel XXI Secolo le opzioni in campo sono assai meno rigide ma è altrettanto vero che la competizione globale sta spingendo tutti le maggiori potenze capitaliste – incluse quelle europee strutturatesi intorno all'Unione Europea – a cozzare una contro le altre. Le “guerre” monetarie ne sono un'avvisaglia niente affatto irrilevante. Lo scontro sullo spionaggio e il Datagate rivela una competizione sulle tecnologie avanzate e l'information technology ormai senza esclusione di colpi. Le guerre realizzate in Medio Oriente o nei Balcani o quelle minacciate – con le conseguenti alleanze o lacerazioni a seconda dei casi – hanno visto via via saltare vecchie camere di compensazione tra interessi diversi come la Nato.

Non solo. La competizione globale e la dominanza del capitalismo mercantilista (export come dogma, conquista di mercati e risorse, abbassamento drastico del monte salari dei lavoratori, devastazioni ambientali) stanno effettivamente mettendo a rischio non solo le condizioni sociali, ma anche la sopravvivenza di quella parte di umanità che il capitalismo considera “eccedente” rispetto alle proprie necessità.

Quando nei mesi scorsi abbiamo spesso sintetizzato questo processo con lo slogan:”Dovete morire prima”, la coincidenza tra una obiettiva forzatura concettuale e la realtà di documenti elaborati dal Fmi o dalla Bce, ci ha fatto scorrere un brivido lungo la schiena. Tutta la complessità della vita sociale, dentro le elaborazione delle istituzioni finanziarie dominanti, è diventata solo tabelle, costi e proiezioni con conclusioni ispirate al cinismo. L'aspettativa di vita è troppo alta per potere essere ancora finanziata dai sistemi previdenziali, i sistemi di istruzione sono troppo costosi e viene alimentata una aspettativa eccessiva sui vantaggi dei titoli di studio, i lavoratori contrattualizzati sono una rigidità insopportabile, i costi sanitari sono troppo elevati etc. etc.

La sintesi è che “noi”, ma solo noi che stiamo “sotto”, dobbiamo morire prima affinché “loro” possano vivere di più e mantenere o accrescere il proprio status sociale. Quello che abbiamo visto sul caso di Giulia Ligresti ne è la dimostrazione plastica: una donna abituata ad una vita agiata non può finire in prigione come una donna di borgata... perché soffre di più la condizione detentiva.

E' in tale contesto che i governi europei e le istituzioni della Troika (Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale) hanno scatenato una campagna contro i “populisti”. E' possibile che tale crociata sia finalizzata solo a non trovarsi qualche sorpresa alle prossime elezioni europee, ma non si tratta solo di questo. Sia il ministro delle finanze tedesco Schaeuble, sia il governatore della Bce Draghi, sia l'ex premier Monti ed ora l'attuale premier Letta, hanno una concezione dei movimenti populisti molto precisa ed hanno una coscienza del proprio nemico molto più nitida di quanto l'abbiano le classi subalterne (vedi le profetiche parole di Sanguineti sull'odio di classe).

Le oligarchie europee liquidano i “populisti” mettendo volutamente sullo stesso piano i movimenti di destra dell'Europa mediterranea, gli euroscettici anglosassoni e scandinavi, i guitti come Grillo e i movimenti sociali, politici e sindacali della sinistra che contestano la natura di classe dell'Unione Europea. In realtà si tratta di opzioni e interessi di classe assai diversi tra loro e per moltissimi aspetti antagonisti.

Se prendiamo il caso dell'Italia, qui vediamo come il malessere contro i diktat dell'Unione Europea sia piuttosto diversificato sia in termini di collocazione di classe che di opzioni politiche.

Ad esempio buona parte del blocco sociale berlusconiano è decisamente antieuropeista perché la riorganizzazione monopolista attuata da Maastricht in poi li ha via via marginalizzati. “Il piccolo è bello” o la greppia degli appalti pubblici, sono usciti triturati dalla nuova divisione del lavoro a livello europeo imposta dalle multinazionali. La finanziarizzazione facile dei “prenditori” che ha impoverito e distrutto gli investimenti produttivi, oggi non è più praticabile con le banche strette dai parametri imposti dalla Bce. Ragione per cui restano vuoti i capannoni e invenduti gli edifici.

Ci sono poi gli antieuropeisti da battuta come Beppe Grillo che ogni tanto solletica e si adegua ai luoghi comuni contro l'euro senza mai dettagliare mezza proposta.

Ci sono gli antieuropeisti reazionari e di destra che vaneggiano sul ritorno alla lira, sulla sovranità nazionale ma auspicano poi una Europa come potenza politica e militare da contrapporre a Stati Uniti, Cina, Brics etc.. Ma intanto, visto che “a quelli grossi non gli possono menare” se la prendono con i piccoli che hanno a portata di mano: gli immigrati. Non solo. Cercano in tutti i modi di “contaminarsi” con le forze della sinistra per occuparne lo spazio politico.

Queste tre opzioni parlano indubbiamente alla “pancia profonda” di una società preoccupata, rabbiosa, impoverita dalle misure imposte dalla Trojka. Declinano i problemi in chiave populista ma avanzano soluzioni arretrate, nazionaliste e reazionarie.

Infine ci sono le forze della sinistra (?) che finalmente vanno polarizzandosi sull'analisi e le iniziative da mettere in campo sull'Unione Europea. C'è la sinistra polverosa che ancora si gingilla con i discorsi europeisti e di riforma della Ue, ma c'è una sinistra di classe che non ha paura delle parole e sta delineando proposte e presupposti assai diversi: “l'Unione Europea si abbatte e non si cambia” potremmo sintetizzare prendendo a prestito un vecchio slogan.

Nasce da questa coscienza della irriformabilità dell'Unione Europea, e dalla consapevolezza che dentro di essa non c'è sopravvivenza sociale né democratica, la proposta di rompere (secondo alcuni) o di uscire (secondo altri) con l'Unione Europea come primo passo per un cambiamento politico e sociale credibile. Questa opzione ha la possibilità di intercettare e organizzare la “pancia profonda della società” meglio di quanto possano fare la destra o gli antieuropeisti da battuta. La sfida dell'egemonia sui processi di rottura dovrebbe essere ben presente nel Dna delle forze antagoniste nella sinistra. Solo una mancanza di coraggio politico o la “paura del popolo” può inchiodarla ad una funzione di mera testimonianza. In tal senso occorre recuperare – e rapidamente – la capacità di trasformare il populismo in organizzazione degli interessi di classe. Una cosa che la destra non può fare, una cosa che la sinistra antagonista può tornare a fare con efficacia. Se ne parlerà, ad esempio, a Roma il prossimo 30 novembre nel forum euromediterraneo promosso dalla Rete dei Comunisti intorno alla proposta di uscita dall'Unione Europea (e dall'Eurozona) e di costruzione di un'area economica alternativa. Un buon inizio.

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