di Michele Paris
Le previsioni della vigilia nella corsa alla carica di sindaco di New
York sono state ampiamente rispettate nel voto di martedì con il
candidato democratico, Bill de Blasio, che ha superato in maniera molto
netta il suo sfidante repubblicano, Joseph Lhota. I risultati non ancora
definitivi sono stati in gran parte determinati dalla diffusissima
ostilità verso il primo cittadino uscente, il multi-miliardario Michael
Bloomberg, contro il quale il neo-sindaco ha pressoché interamente
costruito la sua campagna elettorale all’insegna della retorica
progressista.
Il 52enne de Blasio si è imposto con un margine
addirittura superiore a quello suggerito dai sondaggi, conquistando il
73% dei consensi contro poco meno del 25% del suo principale rivale. La
vittoria di de Blasio è la più larga nella città di New York dal 1985,
quando il democratico Ed Koch conquistò la carica di sindaco con oltre
60 punti percentuali di vantaggio. Residente nel quartiere lussuoso di
Park Slope, a Brooklyn, de Blasio sarà inoltre il primo sindaco
democratico dal 1994 e il primo proveniente da un “borough” diverso da
Manhattan dal 1974.
Di evidenti origini italiane, protagonista in
passato di severe critiche alla politica statunitense in Centroamerica
(venne accusato, tra l'altro, di essere troppo amico dei sandinisti in
Nicaragua) de Blasio orbita da tempo attorno all’establishment
democratico newyorchese. Nel 2000 guidò con successo la campagna di
Hillary Clinton per un seggio al Senato nello Stato di New York per poi
essere eletto al consiglio municipale della metropoli di cui è ora
diventato sindaco. Nel 2009 ottenne poi una certa popolarità facendosi
interprete delle critiche nei confronti di Bloomberg per avere abolito
il tetto massimo di due mandati alla carica di sindaco.
Il
trampolino di lancio verso l’élite della politica di New York è stato
però il ruolo di “public advocate”, una carica elettiva che dovrebbe
agire da tramite tra i cittadini e l’amministrazione comunale, a cui è
inoltre assegnato il ruolo di controllo sulle agenzie municipali e di
indagine sulle segnalazioni degli elettori in merito a disfunzioni dei
servizi pubblici.
Inizialmente, tuttavia, de Blasio era
considerato tutt’altro che favorito per la conquista della “City Hall”,
dal momento che le simpatie dei grandi finanziatori newyorchesi erano
andate precocemente alla presidente del Consiglio Comunale, Christine
Quinn. Quest’ultima è stata però danneggiata dalla sua sostanziale
identificazione con lo stesso Bloomberg, mentre l’altro favorito fino
all’estate, l’ex deputato Anthony Weiner, avrebbe visto anch’egli
svanire le possibilità di diventare sindaco in seguito ad un nuovo
scandalo sessuale dopo quello che in precedenza lo aveva costretto a
dimettersi dalla Camera dei Rappresentanti di Washington.
Le
primarie democratiche di settembre, così, si sono trasformate in un
trionfo per de Blasio, il quale ha addirittura superato la soglia del
40% che gli ha consentito di evitare un secondo turno di ballottaggio.
Gli entusiasmi attorno la sua candidatura sono stati però quasi
interamente una creazione dei media, come conferma anche il fatto che
nelle primarie aveva votato appena il 20% degli elettori registrati,
cioè circa il 3% di tutti i newyorchesi.
Pur senza dati
ufficiali, anche l’elezione vera e propria di martedì è stata con ogni
probabilità segnata da una debolissima affluenza, come hanno affermato
ai giornali locali molti degli scrutatori impiegati nei 1.200 seggi
cittadini.
Se
però la vittoria di de Blasio rappresenta una chiara disponibilità
dell’elettorato ad una svolta progressista e, quindi, al rifiuto delle
politiche implementate da Boomberg, non si deve per questo ritenere che
il nuovo sindaco newyorkese rivolterà come un guanto la città. Al di là
della retorica “progressista” e il ripetuto ricorso allo slogan delle
“Due Città” per descrivere le gigantesche disparità economiche e sociali
che caratterizzano New York, la natura del neo-sindaco de Blasio è
d’altra parte apparsa evidente nelle ultime settimane di campagna
elettorale.
Una volta assicurata la nomination democratica grazie
alle promesse di far fronte al disagio economico di milioni di
newyorchesi e alle ingiustizie sociali, de Blasio non ha perso tempo a
rassicurare i poteri forti della città. Durante i mesi di settembre e
ottobre, infatti, i ricchi newyorchesi si sono precipitati a staccare
sostanziosi assegni per il candidato teoricamente più a “sinistra” tra
quelli in corsa per la carica di sindaco dopo una serie di incontri con i
vertici dell’élite economica e finanziaria.
De Blasio non è
stato dunque percepito come una minaccia dai milionari e miliardari che
popolano New York, tanto che i loro contributi hanno permesso al
candidato democratico di accumulare un vantaggio economico decisivo sui
rivali. De Blasio, la cui immagine di politico “liberal” tornerà utile
per contenere le tensioni sociali nella metropoli, ha potuto cioè
contare su oltre dieci milioni di dollari da spendere in campagna
elettorale, contro poco più dei tre milioni di Lhota.
De Blasio, a
sua volta, si è dato da fare per proiettare un’immagine di sé
tutt’altro che minacciosa, giungendo a definirsi “conservatore sulle
questioni fiscali” nel corso di un recente incontro pubblico.
Il
neo-sindaco, oltre ad attrarre il voto delle minoranze anche grazie alla
puntuale esibizione della sua famiglia multirazziale, ha comunque fatto
breccia tra una parte degli elettori che auspicano una svolta nella
gestione della città dopo 12 anni di un’amministrazione come quella di
Bloomberg che ha favorito pressoché unicamente le fasce di reddito più
elevate.
Le proposte avanzate nelle scorse settimane per alzare
le tasse su chi guadagna oltre 500 mila dollari l’anno così da
finanziare le scuole dell’infanzia, mettere fine all’impopolare pratica
della polizia definita “stop-and-frisk” - secondo la quale gli agenti
hanno la facoltà di fermare e perquisire chiunque anche senza chiari
sospetti che abbia commesso un qualsiasi reato - ed espandere l’edilizia
popolare in una città dove gli affitti hanno raggiunto livelli
stratosferici, hanno chiaramente risposto ad un’esigenza diffusa tra
moltissimi newyorchesi.
Le possibilità di vedere implementate
queste promesse sono però scarse, anche perché alcune di esse, come
l’aumento del carico fiscale per i più ricchi, dovranno essere approvate
dal parlamento statale e dal governatore democratico, Andrew Cuomo,
tutt’altro che entusiasti nei confronti di una simile prospettiva.
Nella
giornata di martedì si sono tenute anche altre importanti consultazioni
elettorali negli Stati Uniti, tra cui quelle per la carica di
governatore degli stati di New Jersey e Virginia. Nel primo caso, il
repubblicano Chris Christie è stato rieletto senza difficoltà anche
grazie allo scarso impegno dei democratici dello stato che negli ultimi
quattro anni hanno collaborato nell’implementazione delle politiche
“pro-business” di un governatore considerato da molti come un possibile
pretendente alla Casa Bianca nel 2016.
In Virginia, invece, ad
imporsi di misura è stato il democratico Terry McAuliffe, uomo dei
Clinton che non aveva mai ricoperto cariche elettive e che ha
beneficiato sia del massiccio sforzo del suo partito sia
dell’identificazione del suo avversario, il procuratore generale dello
stato Ken Cuccinelli, con l’estrema destra dei Tea Party.
A
Detroit, infine, è stato eletto il primo sindaco bianco da decenni
nonostante la nettissima prevalenza di abitanti di colore nella città
del Michigan. L’ex dirigente medico Michael Duggan ha battuto il suo
compagno di partito, lo sceriffo democratico della contea di Wayne,
Bennie Napoleon, grazie ad una campagna elettorale che ha capitalizzato
l’odio nei confronti del commissario speciale Kevin Orr, nominato dal
governatore repubblicano per gestire il rovinoso processo di bancarotta
che l’ex metropoli dell’auto sta affrontando proprio in queste
settimane.
Fonte
E' arrivato l'Obama di New York...
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