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06/11/2013

New York cambia volto

di Michele Paris

Le previsioni della vigilia nella corsa alla carica di sindaco di New York sono state ampiamente rispettate nel voto di martedì con il candidato democratico, Bill de Blasio, che ha superato in maniera molto netta il suo sfidante repubblicano, Joseph Lhota. I risultati non ancora definitivi sono stati in gran parte determinati dalla diffusissima ostilità verso il primo cittadino uscente, il multi-miliardario Michael Bloomberg, contro il quale il neo-sindaco ha pressoché interamente costruito la sua campagna elettorale all’insegna della retorica progressista.

Il 52enne de Blasio si è imposto con un margine addirittura superiore a quello suggerito dai sondaggi, conquistando il 73% dei consensi contro poco meno del 25% del suo principale rivale. La vittoria di de Blasio è la più larga nella città di New York dal 1985, quando il democratico Ed Koch conquistò la carica di sindaco con oltre 60 punti percentuali di vantaggio. Residente nel quartiere lussuoso di Park Slope, a Brooklyn, de Blasio sarà inoltre il primo sindaco democratico dal 1994 e il primo proveniente da un “borough” diverso da Manhattan dal 1974.

Di evidenti origini italiane, protagonista in passato di severe critiche alla politica statunitense in Centroamerica (venne accusato, tra l'altro, di essere troppo amico dei sandinisti in Nicaragua) de Blasio orbita da tempo attorno all’establishment democratico newyorchese. Nel 2000 guidò con successo la campagna di Hillary Clinton per un seggio al Senato nello Stato di New York per poi essere eletto al consiglio municipale della metropoli di cui è ora diventato sindaco. Nel 2009 ottenne poi una certa popolarità facendosi interprete delle critiche nei confronti di Bloomberg per avere abolito il tetto massimo di due mandati alla carica di sindaco.

Il trampolino di lancio verso l’élite della politica di New York è stato però il ruolo di “public advocate”, una carica elettiva che dovrebbe agire da tramite tra i cittadini e l’amministrazione comunale, a cui è inoltre assegnato il ruolo di controllo sulle agenzie municipali e di indagine sulle segnalazioni degli elettori in merito a disfunzioni dei servizi pubblici.

Inizialmente, tuttavia, de Blasio era considerato tutt’altro che favorito per la conquista della “City Hall”, dal momento che le simpatie dei grandi finanziatori newyorchesi erano andate precocemente alla presidente del Consiglio Comunale, Christine Quinn. Quest’ultima è stata però danneggiata dalla sua sostanziale identificazione con lo stesso Bloomberg, mentre l’altro favorito fino all’estate, l’ex deputato Anthony Weiner, avrebbe visto anch’egli svanire le possibilità di diventare sindaco in seguito ad un nuovo scandalo sessuale dopo quello che in precedenza lo aveva costretto a dimettersi dalla Camera dei Rappresentanti di Washington.

Le primarie democratiche di settembre, così, si sono trasformate in un trionfo per de Blasio, il quale ha addirittura superato la soglia del 40% che gli ha consentito di evitare un secondo turno di ballottaggio. Gli entusiasmi attorno la sua candidatura sono stati però quasi interamente una creazione dei media, come conferma anche il fatto che nelle primarie aveva votato appena il 20% degli elettori registrati, cioè circa il 3% di tutti i newyorchesi.

Pur senza dati ufficiali, anche l’elezione vera e propria di martedì è stata con ogni probabilità segnata da una debolissima affluenza, come hanno affermato ai giornali locali molti degli scrutatori impiegati nei 1.200 seggi cittadini.

Se però la vittoria di de Blasio rappresenta una chiara disponibilità dell’elettorato ad una svolta progressista e, quindi, al rifiuto delle politiche implementate da Boomberg, non si deve per questo ritenere che il nuovo sindaco newyorkese rivolterà come un guanto la città. Al di là della retorica “progressista” e il ripetuto ricorso allo slogan delle “Due Città” per descrivere le gigantesche disparità economiche e sociali che caratterizzano New York, la natura del neo-sindaco de Blasio è d’altra parte apparsa evidente nelle ultime settimane di campagna elettorale.

Una volta assicurata la nomination democratica grazie alle promesse di far fronte al disagio economico di milioni di newyorchesi e alle ingiustizie sociali, de Blasio non ha perso tempo a rassicurare i poteri forti della città. Durante i mesi di settembre e ottobre, infatti, i ricchi newyorchesi si sono precipitati a staccare sostanziosi assegni per il candidato teoricamente più a “sinistra” tra quelli in corsa per la carica di sindaco dopo una serie di incontri con i vertici dell’élite economica e finanziaria.

De Blasio non è stato dunque percepito come una minaccia dai milionari e miliardari che popolano New York, tanto che i loro contributi hanno permesso al candidato democratico di accumulare un vantaggio economico decisivo sui rivali. De Blasio, la cui immagine di politico “liberal” tornerà utile per contenere le tensioni sociali nella metropoli, ha potuto cioè contare su oltre dieci milioni di dollari da spendere in campagna elettorale, contro poco più dei tre milioni di Lhota.

De Blasio, a sua volta, si è dato da fare per proiettare un’immagine di sé tutt’altro che minacciosa, giungendo a definirsi “conservatore sulle questioni fiscali” nel corso di un recente incontro pubblico.

Il neo-sindaco, oltre ad attrarre il voto delle minoranze anche grazie alla puntuale esibizione della sua famiglia multirazziale, ha comunque fatto breccia tra una parte degli elettori che auspicano una svolta nella gestione della città dopo 12 anni di un’amministrazione come quella di Bloomberg che ha favorito pressoché unicamente le fasce di reddito più elevate.

Le proposte avanzate nelle scorse settimane per alzare le tasse su chi guadagna oltre 500 mila dollari l’anno così da finanziare le scuole dell’infanzia, mettere fine all’impopolare pratica della polizia definita “stop-and-frisk” - secondo la quale gli agenti hanno la facoltà di fermare e perquisire chiunque anche senza chiari sospetti che abbia commesso un qualsiasi reato - ed espandere l’edilizia popolare in una città dove gli affitti hanno raggiunto livelli stratosferici, hanno chiaramente risposto ad un’esigenza diffusa tra moltissimi newyorchesi.

Le possibilità di vedere implementate queste promesse sono però scarse, anche perché alcune di esse, come l’aumento del carico fiscale per i più ricchi, dovranno essere approvate dal parlamento statale e dal governatore democratico, Andrew Cuomo, tutt’altro che entusiasti nei confronti di una simile prospettiva.

Nella giornata di martedì si sono tenute anche altre importanti consultazioni elettorali negli Stati Uniti, tra cui quelle per la carica di governatore degli stati di New Jersey e Virginia. Nel primo caso, il repubblicano Chris Christie è stato rieletto senza difficoltà anche grazie allo scarso impegno dei democratici dello stato che negli ultimi quattro anni hanno collaborato nell’implementazione delle politiche “pro-business” di un governatore considerato da molti come un possibile pretendente alla Casa Bianca nel 2016.

In Virginia, invece, ad imporsi di misura è stato il democratico Terry McAuliffe, uomo dei Clinton che non aveva mai ricoperto cariche elettive e che ha beneficiato sia del massiccio sforzo del suo partito sia dell’identificazione del suo avversario, il procuratore generale dello stato Ken Cuccinelli, con l’estrema destra dei Tea Party.

A Detroit, infine, è stato eletto il primo sindaco bianco da decenni nonostante la nettissima prevalenza di abitanti di colore nella città del Michigan. L’ex dirigente medico Michael Duggan ha battuto il suo compagno di partito, lo sceriffo democratico della contea di Wayne, Bennie Napoleon, grazie ad una campagna elettorale che ha capitalizzato l’odio nei confronti del commissario speciale Kevin Orr, nominato dal governatore repubblicano per gestire il rovinoso processo di bancarotta che l’ex metropoli dell’auto sta affrontando proprio in queste settimane.

Fonte

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