Stati Uniti e Israele non avranno più diritto di voto all'Unesco. E'
quanto ha deciso ieri l'agenzia Onu per l'istruzione, la cultura e la
scienza come conseguenza del mancato pagamento delle quote di
finanziamento da parte dei due Stati, in protesta all'ammissione della
Palestina come stato membro dell'Unesco nell'ottobre del 2011.
L'annuncio ufficiale sarà dato oggi nella sessione plenaria dell'agenzia
Onu, che aveva concesso a Israele e Stati Uniti la data-limite dell'8
novembre per giustificare il mancato pagamento della quota di adesione
negli ultimi due anni e presentare un piano di rientro del debito. "Gli
Stati Uniti non hanno presentato i documenti - ha detto una fonte
interna all'agenzia all'AFP - quindi hanno perso automaticamente i loro
diritti". "Ci spiace molto - ha dichiarato la direttrice dell'Unesco
Irina Bokova - ma sono le regole: questo ha un impatto su tutti i nostri
programmi".
Washington, maggior contributore dell'agenzia con sede a Parigi,
versava annualmente circa 240 milioni di dollari, ovvero il 22 per cento
dell'intero budget: il mancato pagamento ha avuto effetti devastanti
sui programmi dell'Unesco, il cui budget, da oltre 650 milioni di
dollari, si è ridotto a 507 con l'assenza delle quote americane e
israeliane. L'agenzia ha dovuto effettuare tagli sui programmi e sul
personale, che nel 2012 ammontava a 2.100 persone sparse tra l'ufficio
centrale di Parigi e le sedi distaccate dei quattro angoli del mondo. La
stessa Bokova, rieletta un mese fa, aveva raccolto 75 milioni di
dollari nel tentativo di combattere la crisi finanziaria
dell'agenzia.
Remissiva la risposta statunitense. "Gli Stati Uniti - ha annunciato la
portavoce del Dipartimento di Stato Jen Psaki - intendono continuare il
loro impegno all'Unesco in ogni modo possibile, partecipando alle
riunioni e ai dibattiti". Ha aggiunto poi che il presidente Usa
Barack Obama sta chiedendo al Congresso l'autorizzazione a scongelare i
pagamenti all'agenzia Onu. Una mossa azzardata per Obama, che va a
toccare la legislazione americana: due leggi approvate negli anni '90
dagli Usa vietano infatti specificatamente il finanziamento di qualsiasi
organizzazione Onu che accetti la Palestina come membro a pieno titolo.
Non è la prima rottura tra Stati Uniti e Unesco: nel 1984, l'allora
presidente Ronald Reagan ritirò la delegazione statunitense per
protestare contro le politiche dell'agenzia, che in piena Guerra Fredda
aveva avviato dei programmi di comunicazione e istruzione destinati a
guidare i Paesi in via di sviluppo in modo paritario e "neutrale"
rispetto ai due blocchi. Gli Stati Uniti allora accusarono l'agenzia di
anti-americanismo e di non aver abbracciato i valori del mondo
occidentale. E rientrarono solo nel 2003.
Impassibile, invece, la risposta israeliana: "Lo sapevamo ed eravamo
pronti - ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri
israeliano Ygal Palmor - è conseguenza della nostra scelta di due anni
fa". D'altronde, Tel Aviv ha sempre fatto capire di non aver bisogno
del controllo dell'Unesco sui programmi di istruzione e sulla
supervisione dei siti presenti sul suo territorio: lo scorso maggio le
autorità israeliane avevano addirittura vietato l'ingresso a una
delegazione dell'Unesco che doveva condurre un'analisi sullo stato di
conservazione dei siti della città vecchia di Gerusalemme. La scusa
era stata la "politicizzazione dell'evento" da parte dei palestinesi:
lamentavano la "giudaizzazione" della Città Santa occupata, dove la
distruzione dei luoghi storici dei palestinesi è diventata prassi comune
per far posto a monumenti forzatamente restituiti all'attualità che
garantiscano il "carattere ebraico" della città.
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