La Banca Centrale Europea nella riunione di oggi ha tagliato il tasso di riferimento di 25 punti base allo 0,25%. Naturalmente è un "record" verso il basso, anche se già lo 0,5% era tale. La motivazione è abbastanza semplice da immaginare: l'economia dell'eurozona è inchiodata, c'è bisogno di provare a facilitare i prestiti da parte delle banche a imprese e famiglie, e l'inflazione non fa paura perché anch'essa è praticamente a zero (finché il petrolio non subirà rialzi), visto che i salari sono pesantemente arretrati in termini di potere d'acquisto.
Le borse europee hanno immediatamente gradito, girando in rialzo. Ci si attende infatti che questo denaro "più facile" affluirà soprattutto verso la finanza, non in direzione dell'economia reale.
Milano, prima dell'annuncio tra i listini più deboli, corre e guadagna lo 0,91%. Ma è durata poco. A fine giornata Milano perdeva oltre il 2% come quasi tutte le altre piazze d'Europa. Meno Francoforte, perché il cambio di clima è stato determinato dalla
certezza degli operatori che la diminuzione dei tassi finirà per
favorire - oltre che la finanza - proprio l'economia tedesca, deprimendo
oltremisura proprio quelle economie periferiche che più avrebbero
bisogno di "riprendersi".
Lo spread tra btp e bund tedesco scende a 241 punti. Il rendimento del titolo decennale cala al 4,11%.
Cala anche il valore dell'euro nei confronti del dollaro. La moneta unica segna ora quota 1,335 sul dollaro rispetto a 1,3507 prima del taglio (-1%). Una buona notizia per le esportazioni, ma naturalmente non buona sul fronte delle importazioni (specie di materie prime energetiche).
In calo anche sulla sterlina a 0,8312 da 0,841, ai minimi da gennaio. Sullo yen è a 132, contro i 133,3 precedenti alla decisione di Francoforte.
La Banca d'Inghilterra lascia i tassi invariati allo 0,50%. Nessuna variazione neanche sul piano di riacquisto Bond, confermato a 375 miliardi di sterline.
Nella conferenza stampa che come di consueto segue le decisioni dell'Esecutivo della Bce, Mario Draghi si è soffermato sui "fondamentali" della situazione economica dell'eurozona.
La quale si starebbe incamminando «verso un prolungato periodo di bassa inflazione» che, anche risalendo per effetto della maggiore liquidità in circolazione, in ogni caso dovrebbe restare sotto il 2%. «Gli ultimi indicatori mostrano un'ulteriore diminuzione della pressione sui prezzi nell'area euro e le famiglie stanno beneficiando del calo dei costi dell'energia»; mentre «le dinamiche monetarie e del credito restano deboli e, allo stesso tempo, le aspettative sull'inflazione continuano a essere fermamente ancorate, in linea con i nostri obiettivi».
Quindi, ha spiegato, la scelta del taglio è stata motivata da un «calo dell'inflazione più forte del previsto a ottobre». Per quanto riguarda invece il prossimo futuro, «A dicembre forniremo chiarimenti sulla nostra valutazione di inflazione bassa per un lungo periodo di tempo».
Draghi definisce la decisione «efficace: basta vedere la reazione dei mercati», promettendo esplicitamente un nuovo taglio se la situazione non migliorerà: «c'è ancora spazio per i tagli». Molto poco, in ogni caso, perché sotto lo zero è difficile andare... A quel punto, esaurite le possibilità di manovra sui tassi, non resterebbe che imitare la Federal Reserve e cominciare a "stampare moneta" (una soluzione che i tedeschi vedono come il fumo negli occhi).
La decisione non è stata nemmeno ora unanime, del resto: «è stata presa a maggioranza. Nel Governing Council c'è unanimità di "visione" per mantenere «i tassi di interesse bassi per un prolungato periodo di tempo». Ma differenze di valutazione sulla tempistica. Oggi, insomma, «la principale discussione era su quando tagliare, ma c'era pieno accordo sulla necessità di agire».
Fonte
Anche nelle istituzioni cardine si comincia a mangiare la foglia.
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