Ne esce il panorama di un partito
desolante quanto nocivo, guidato da cavallette di risorse ed estraneo sia
all'innovazione che agli elementari bisogni di una società. Un partito
che a livello nazionale ha dovuto bloccare il tesseramento, in stagione
di congresso, a causa dei numerosi brogli. Un fatto mai accaduto se non a
livello di partitini rissosi e da percentuali da prefisso telefonico.
Perché il paradosso del PD è questo: un gruppo dirigente da partitino
rissoso e ultraminoritario, a causa di una visione ristretta di
interessi, e percentuali da partito di massa. Un paradosso, una bolla
speculativa politica destinato a sopravvivere fino a quando lo
spettacolo della politica riuscirà a rappresentare il PD come esistente.
Il PD è tenuto in vita dai vari Ballarò,
Piazza Pulita, Servizio Pubblico che, nel radicamento territoriale
della poltrona con telecomando o della tv nel tinello, offrono la
percezione dell'esistenza di un partito. Organizzazione che, non a caso,
si è berlusconizzata concentrandosi nel core business dell'apparizione
televisiva. Con personaggi come Matteo Renzi, con il padre nel ramo
comunicazione e mattone, che finché durano sull'onda alta dell'audience
danno l'illusione dell'esistenza di un partito. Che finirà per esplodere
il giorno in cui la bolla speculativa (mediatica, finanziaria,
immobiliare) presenterà il conto. Prima possibile, si spera.
redazione, 8 novembre 2013
***
Sotto
la Mole le tessere del Pd raddoppiano come per incanto. Mentre l'ex
sindaco Sergio Chiamparino (nella foto con Fassino), è torchiato dai
magistrati.
Tutti gli affari del ventennio comunista di Torino. Favoriti amici e banche. Risultato: maxi debito da 3,5 miliardi di euro.
ROMA (WSI) - Le tessere del Pd
raddoppiano come per incanto, sotto la Mole: da 12 a 26 mila in un anno.
Ma non è l’unico cruccio del partito e del sistema di potere che da
vent’anni governa Torino. Ci sono preoccupazioni peggiori, ombre più
inquietanti, se è vero che Sergio Chiamparino, che è
stato il sindaco più amato d’Italia, oggi è torchiato dai magistrati per
uno scandaletto e assediato da altri cento affari del passato. Anche
qui è finito il ventennio: non berlusconiano, perché tra il Po e la Dora
i semi di Silvio Berlusconi non hanno mai attecchito; ma il ventennio del "sistema Torino", che ha avuto in Chiamparino il suo campione.
Ha ricevuto un avviso di garanzia per
abuso d’ufficio ed è stato interrogato a lungo a palazzo di giustizia.
L’indagine riguarda le concessioni ai locali dei Murazzi, le arcate
sulla riva del Po trasformate in templi della movida. C’è la firma di
Chiamparino sulle delibere che, secondo l’ipotesi d’accusa, avrebbero
favorito gli esercenti con sanatorie e sconti sugli
affitti. L’ex sindaco più amato dagli italiani, con un gradimento del 75
per cento, ha intanto lasciato il posto di primo cittadino a Piero Fassino,
compagno di partito con cui non ha un gran feeling, e si è sistemato ai
vertici della Compagnia Sanpaolo, la fondazione che è primo azionista
di banca Intesa Sanpaolo. È andato davanti al Consiglio
generale della Compagnia a presentare le sue dimissioni da presidente:
rifiutate all’unanimità. Tutto finito, dunque? No. Intanto perché
l’inchiesta sui Murazzi continua. E poi perché ci sono tante altre
brutte storie del periodo in cui è stato sindaco (2001-2011) che tornano
d’attualità. La più pesante riguarda lo Csea, il consorzio di formazione professionale
che era arrivato ad avere 300 dipendenti, molti provenienti dal mondo
sindacale, e che è fallito dopo aver bruciato 40 milioni di euro. Anche
sullo scomodo crac di quello che era conosciuto come il
centro di formazione professionale della sinistra torinese, l’inchiesta
è in corso. Un dirigente è stato arrestato, non è invece neppure
indagato il deus ex machina del consorzio, quel Tom Dealessandri che dal
2006 è stato il vicesindaco di Chiamparino, poi di Fassino e ora è
approdato nel consiglio d’amministrazione di Iren, la
multiutility dei Comuni di Torino, Genova e Reggio Emilia. Fallito anche
il progetto Lumiq, una società promossa dal Comune che voleva creare una
piccola Cinecittà in riva al Po, per far diventare Torino una capitale
dell’industria del cinema. Sogno tramontato, non senza spreco di soldi
pubblici e gran montare di polemiche.
Sotto indagine anche il city manager di Chiamparino, Cesare Vaciago,
(ora direttore a Milano del Padiglione Italia di Expo), rinviato a
giudizio per un concorso per dirigenti comunali che la procura di Torino
ritiene sia stato truccato. Tra i miracolati di quella magica gara c’è
anche Angela Larotella, che era diventa dirigente nel settore cultura del Comune, guidato da Anna Martina,
figura centrale negli anni d’oro di Chiamparino, quando Torino, persa
la centralità della Fiat, cercava di riciclarsi come città della cultura
e dell’entertainment. Tutto in famiglia: il marito di Martina, Walter
Barberis, ha curato la mostra torinese sui 150 anni dell’Unità d’Italia;
e il figlio, Marco Barberis, ha ricevuto incarichi ben remunerati per
la sua società Punto Rec; in un caso, la delibera che gli affidava i
lavori era firmata direttamente dalla madre. Troppo o troppo poco, per la
morale rigorosa e la cultura un po’ giansenista di Torino? C’è un
accumulo di fatti e intrecci, inchieste e scandali che rischiano di far
saltare il "sistema". Che dire, per esempio, dei 16,5 milioni di euro
buttati al vento dal Comune per realizzare il progetto (firmato
dall’ottimo architetto Mario Bellini) di una Biblioteca
civica che non si costruirà mai? E che cosa pensare dei 6 milioni di
metri quadrati di aree ex industriali riempiti di cemento, un diluvio di
edilizia residenziale in una città che ha 50 mila
appartamenti sfitti? "Se un quartiere come la Spina 3 l’avesse fatto la
Dc", commenta un vecchio comunista dei tempi del sindaco Diego Novelli, "il Pci
avrebbe fatto la rivoluzione. Invece l’abbiamo costruito noi, e va bene
così". Va bene anche l’edificazione del grattacielo di Intesa Sanpaolo,
tirato su per dare l’illusione alla città di aver conservato la sua
banca, il cui comando si è invece trasferito a Milano. E tirato su in un
giardino trasformato in un attimo in area edificabile: "Se l’avesse
fatto la destra, ci saremmo incatenati agli alberi".
Ci sono anche episodi più brucianti. Quando fu ipotizzato un finanziamento illecito durante la prima campagna elettorale
di Chiamparino, nel 2001, saltò subito su Gioacchino Sada, vecchio
partigiano comunista, che si prese la colpa di aver raccolto da alcuni
imprenditori una colletta di 25 milioni di lire per il partito, e tutto
finì lì. Storie vecchie. Più nuova la vicenda di Giorgio Ardito, ultimo
segretario torinese del Pci e primo del Pds, che ha appena incassato in
primo grado una pena di 1 anno e 5 mesi per aver ricevuto 115 mila euro
da Bruno Binasco, braccio destro dell’imprenditore di strade e
autostrade Marcellino Gavio. Ardito ha sostenuto che era la buonuscita
(in nero) per il suo lavoro in una società del gruppo Gavio, la Sitav. I
giudici non gli hanno creduto e gli hanno inflitto una condanna, per
quei soldi ballerini intascati nel 2010, proprio nei mesi in cui si
stava preparando la campagna elettorale per Fassino sindaco.
Con Fassino, il cerchio si chiude. E
tramonta il ventennio iniziato nel 1993 con l’elezione a sindaco di
Valentino Castellani: un professore del Politecnico individuato dalla
Santa Alleanza tra la Torino borghese e intellettuale che ha il suo
rappresentante più attivo nel banchiere del Sanpaolo Enrico Salza, e la Torino comunista e operaia del Pci, non senza il beneplacito della Fiat della famiglia Agnelli,
il cui declino non era ancora evidente. Due mandati Castellani e poi
due mandati Chiamparino, e il ventennio è fatto. È in questi due decenni
che nella città senza berlusconismo e senza vera opposizione si blinda
il "sistema Torino", una macchina di potere che prova a governare
l’uscita dal fordismo, la transizione dalla città operaia a una nuova
metropoli dalla vocazione più variegata, città della cultura, del
cinema, dell’intrattenimento.
Il professor Silvano Belligni,
scienziato politico dell’Università di Torino, ha creato un modello per
rappresentare quel sistema e ha scoperto che 120 persone in questi due
decenni si sono incrociate nei posti di comando nella politica,
nell’amministrazione, nelle università, nelle banche. Provengono tutte
dalle quattro famiglie che hanno stretto la Santa Alleanza per eleggere
Castellani e poi Chiamparino: gli ex comunisti del Pci-Pds-Ds-Pd; le
fondazioni bancarie e le banche (Sanpaolo, Cassa di risparmio); il mondo
Fiat (da Evelina Christillin a Piero Gastaldo); il Politecnico e
l’università (da cui vengono Castellani, Mercedes Bresso, Elsa
Fornero…). I 120 uomini d’oro del "sistema Torino" si sono incrociati
nei posti di comando senza che fossero un ostacolo le differenti
provenienze culturali: ex comunisti, cattolici cislini, liberali,
massoni.
Dal profilo "tecnico" della prima
giunta Castellani sono passati al ritorno della politica con il secondo
mandato, per poi arrivare al culmine dell’era d’oro di Torino con la
prima giunta Chiamparino, che ha raccolto i risultati del predecessore e
ha incassato il successo delle Olimpiadi 2006, con tanti soldi arrivati
e la città rinata e tirata a lucido. Poi il declino. Fino all’oggi, con
Chiamparino sotto accusa per i cento piccoli pasticci del suo regno e
Fassino a gestire di mala voglia un’eredità pesante, con il buco più
clamoroso d’Italia, 3,5 miliardi di debito su un bilancio di 1 miliardo e
mezzo.
fonte Wall Street Italia e Fatto Quotidiano
8 novembre 2013
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