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08/11/2013

Siria, i curdi cacciano i jihadisti dal nord-est


Continua l'avanzata delle milizie curde nel nord della Siria. Lungo il confine con la Turchia, dove i curdi affrontano i gruppi di ribelli legati ad al-Qaeda in un fronte che ormai è diventato quasi geografico, è in atto una vera e propria "guerra nella guerra". E i curdi sembra la stiano vincendo.

Secondo quanto riporta l'Osservatorio siriano per i Diritti Umani, i Comitati per la protezione dei curdi (YPG) avrebbero cacciato i jihadisti di al-Nusra e dello Stato Islamico del Levante e dell'Iraq (ISIL), liberando la città frontaliera di Ras el-Ain e tutte le zone limitrofe fino ad al-Manajeer. La notizia è giunta immediatamente dopo quella della liberazione di 19 villaggi curdi del nord-est del Paese dalla presenza jihadista e una settimana dopo la conquista, da parte delle milizie curde, della cittadina strategica di Yaarubiyah, al confine con l'Iraq.

I curdi, inizialmente divisi tra "interventisti" e "attendisti", e riluttanti a entrare attivamente nella rivolta contro Bashar al-Assad, si erano trovati ad avere una prima sorta di autonomia di governo nelle loro zone fin dall'inizio degli scontri due anni e mezzo fa: il presidente siriano, infatti, per evitare una ribellione curda sui confini nord-orientali, aveva tentato di tener buoni i curdi lasciando loro un maggiore controllo del territorio. Una sogno, per una popolazione che da decenni agogna a una maggiore autonomia, primo passo verso una riunificazione del Kurdistan storico.

La zona orientale del Paese è stata a lungo una delle poche basi salde dell'esercito governativo, fin quando il 12 luglio 2012 con l'accordo di Erbil tra Consiglio Nazionale Siriano Curdo (CNSC) e Partito Curdo di Unità Democratica (PYD), branca siriana del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), è stata delineata una linea comune che prevede la collaborazione tra i diversi gruppi per la difesa della popolazione locale. Le basi governative sono state poco a poco riconquistate dalle milizie curde, e alcune di loro erano cadute in mano a gruppi di jihadisti, fino a quando nel marzo di quest'anno l'ISIL non aveva conquistato la zona di Raqqa avanzando dal nord-ovest, soprattutto dalla zona di Aleppo, già presa alla fine del 2012.

Con l'occupazione jihadista della Rojava (il Kurdistan siriano, ndr) si è avuta invece una vera e propria insurrezione della popolazione: innanzitutto contro un'imposizione di usi e costumi - come la sharia, gridata a gran voce dai ribelli di ispirazione qaedista - che nulla hanno a che fare con la sostanziale laicità della popolazione curda. Senza dimenticare la posizione strategica, che garantisce a questa zona una ricchezza di risorse - gas, acqua, petrolio al confine con l'Iraq - quasi sconosciute nel resto del Paese.

A seguito, poi, di intimidazioni, attacchi e autobombe da parte delle milizie di al-Nusra da una parte e dall'altra della frontiera con la Turchia, e di copiose perdite di vite tra gli abitanti della zona, è nato uno scontro sanguinoso tra jihadisti e miliziani curdi inaspritosi quest'estate: lo YGP, affiancato dai Comitati di difesa femminili (YPJ) e dalle milizie Asayish ha riconquistato lentamente gran parte del territorio al confine nord-orientale. Dopo una battaglia intensa durata giorni, le milizie jihadiste si sono ritirate verso sud, a Raqqa, che l'esercito governativo sta tentando di riconquistare.

I curdi puntano il dito contro la Turchia, accusata di armare, finanziare e lasciar passare sul suo territorio i gruppi d'ispirazione qaedista che devastano il nord del Paese: in un incontro a Istanbul lo scorso luglio con il ministro degli Esteri turco Davutoglu e con i servizi segreti di Ankara, Saleh Muslim, leader del PYD, ha presentato tutta la documentazione che dimostra il sostegno turco ai salafiti di al-Nusra e dell'ISIL. Ankara, smentendo ogni accusa di "ospitare" i jihadisti, ha ammesso che potrebbero infiltrarsi in Siria "all'insaputa dello Stato".

La volontà di Ankara è quella di schiacciare i curdi siriani, che potrebbero ritagliarsi un proprio stato all'interno del calderone siriano o peggio ancora unirsi ai curdi della Turchia. Muslim, intervistato da al-Monitor, per ora non lascia intendere il disegno ultimo dei suoi combattenti: "I curdi siriani - ha dichiarato - non vogliono l'indipendenza e nemmeno una struttura federale simile a quella del Kurdistan iracheno. Vogliamo solo il riconoscimento dei nostri diritti politici e culturali e vogliamo governare la nostra regione. Siamo parte della Siria e vogliamo vivere in buone relazioni con gli Arabi".

Molti accusano il PYD di cooperare con Bashar al-Assad, ma Muslim lo rifiuta categoricamente. Eppure il PYD non si è mai veramente unito alla lotta contro il regime siriano. Muslim sostiene di non voler rischiare i "guadagni" dei curdi inimicandosi Bashar al-Assad. Perché la partita siriana non è ancora chiusa. E poi, conclude Muslim, "Che cosa è quella che chiamano Opposizione? Sono a pezzi, si stanno saltando alla gola a vicenda. Se quelli che combattono in Siria non riconoscono quelli in giacca e cravatta che siedono a Istanbul come i loro legittimi rappresentanti, perché noi dovremmo?".

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