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08/11/2013

Bill il rosso?

Ci sono voluti vent’anni e due regni, quello della tolleranza zero di Rudolph Giuliani e della gigantesca speculazione immobiliare di Michael Bloomberg, perchè il partito democratico riconquistasse la poltrona principale del municipio di New York. Ma il vero scontro politico Bill de Blasio, nuovo sindaco di New York, non lo ha certo sostenuto con Lhota, suo avversario repubblicano. E’ stata la vittoria alle primarie del partito democratico, in settembre, a garantirgli l’elezione a sindaco. Primarie attraversate da scandali politici e finanziari, accuse di stalking e molestie sessuali al candidato prescelto dal partito. Bill de Blasio è riuscito a scansare morti e feriti, in senso politico, a non farsi trascinare a fondo dalle faide interne del partito di New York considerato tra i più corrotti e succubi del potere finanziario degli Stati Uniti. Si è tenuto lontano dalla casta democratica facendo campagna anche nel Bronx e a East Brooklyn, zone che non vedevano da anni un candidato sindaco con possibilità di essere eletto. In realtà sono tre anni che de Blasio - esponente della gerarchia di sinistra del partito democratico e non certo della cosiddetta società civile - è in campagna elettorale. Ha usato il suo ruolo di pubblic advocate, una specie di difensore civico della città, come trampolino di lancio.

Il modello Bloomberg era ormai arrivato al capolinea, e il cambio era dato per certo, in una città che ha il 20 per cento - in realtà quasi il doppio - dei residenti ufficialmente censiti come poveri e un milione e mezzo di persone che vive “nell’incertezza alimentare”. Dove la polizia ha affrontato militarmente il movimento Occupy e instaurato un clima repressivo da “stato di eccezione” nei quartieri a maggioranza afroamericana e latina. Bill de Blasio ha usato sapientemente tutti gli strumenti del marketing elettorale sottolineando le sue origini italo-tedesche, coinvolgendo soprattutto la moglie afroamericana, ex attivista lgbt, e il giovane figlio con gli spot su youtube. Cioè la propria famiglia presentata come metafora della città multietnica e multiculturale.

Ha fatto dichiarazioni in sostegno della campagna per un salario minimo decente e contro Stop and Frisk, il potere della polizia di fermare e perquisire chiunque, soprattutto afroamericani e latini, senza un motivo plausibile. Durante la campagna elettorale non ha mai fatto riferimenti diretti al movimento Occupy e hanno suscitato molte perplessità, anche nella sinistra liberal, le sue dichiarazioni liberiste dopo l’incontro con la finanza “democratica” di Wall Street. E’ stato sostenuto dai sindacati dei dipendenti pubblici e degli insegnanti, mentre i sindacati degli edili e degli elettrici si sono schierati con i repubblicani. Il programma di de Blasio è alquanto generico, la lotta contro le disuguaglianze, la tassazione dei grandi patrimoni, l’attenzione al 99% della popolazione, i nuovi servizi sociali non hanno una traduzione concreta in termini di interessi da colpire, di partecipazione democratica, di quantificazione degli investimenti pubblici. Nulla viene detto ad esempio sul debito della città e sugli altissimi interessi che vengono pagati, sull’ultimo megaprogetto di trasformazione della parte ovest di Mahattan ereditato da Bloomberg, sui diritti sindacali negati ai 300 mila dipendenti dell’amministrazione comunale.

Nella sua corsa a sindaco de Blasio è stato avvantaggiato anche dalla scarsa consistenza del suo antagonista repubblicano. Joe Lhota ha impostato una campagna elettorale da guerra fredda che si è rivelata controproducente. La sua affermazione “Io sono come Rocky Balboa che batte Ivan Drago” fatta durante l’ultimo dibattito televisivo prima del voto ha provocato solo ilarità sui social network.

Il nuovo consiglio comunale ha gli stessi numeri del precedente, 46 democratici e 5 repubblicani, e in grande maggioranza sono stati riconfermati i consiglieri uscenti. La percentuale dei votanti non ha superato il 25% degli elettori che si sono registrati, cosa ben diversa dagli aventi diritto. In questo caso la percentuale si abbassa al di sotto del 20%. E qui emerge in tutta la sua gravità la crisi del sistema rappresentativo americano, la sua autoreferenzialità, la distanza dai bisogni sociali. Occupy Wall Street ha di fatto ignorato queste elezioni. Non ha visto in de Blasio un possibile interlocutore. Pesa ancora, e parecchio, l’atteggiamento del partito democratico, durante i mesi più caldi della mobilitazione, dal quale non è arrivato alcun supporto pur avendo più dei due terzi dei consiglieri comunali che, se avessero voluto, avrebbero potuto quanto meno ostacolare la politica repressiva del sindaco Bloomberg. New York è da sempre un bastione elettorale democratico, con una larga maggioranza nel consiglio comunale anche durante i 12 anni del sindaco Bloomberg. Le linee del conflitto sociale e politico non passano certo, e non sono passate, tra le stanze del City Hall e questo il movimento Occupy lo ha sempre avuto presente. Bill de Blasio verrà giudicato da quello che realmente farà. Da quanto sarà in grado di contenere la principale opposizione istituzionale che incontrerà, quella che proviene dalle file del suo stesso partito.


Fonte

Un altro Obama in circolazione... 

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