Ci sono voluti vent’anni e due regni, quello della tolleranza zero di
Rudolph Giuliani e della gigantesca speculazione immobiliare di Michael
Bloomberg, perchè il partito democratico riconquistasse la poltrona
principale del municipio di New York. Ma il vero scontro politico Bill
de Blasio, nuovo sindaco di New York, non lo ha certo sostenuto con
Lhota, suo avversario repubblicano. E’ stata la vittoria alle primarie
del partito democratico, in settembre, a garantirgli l’elezione a
sindaco. Primarie attraversate da scandali politici e finanziari, accuse
di stalking e molestie sessuali al candidato prescelto dal partito.
Bill de Blasio è riuscito a scansare morti e feriti, in senso
politico, a non farsi trascinare a fondo dalle faide interne del partito
di New York considerato tra i più corrotti e succubi del potere
finanziario degli Stati Uniti. Si è tenuto lontano dalla casta
democratica facendo campagna anche nel Bronx e a East Brooklyn, zone che
non vedevano da anni un candidato sindaco con possibilità di essere
eletto. In realtà sono tre anni che de Blasio - esponente della
gerarchia di sinistra del partito democratico e non certo della
cosiddetta società civile - è in campagna elettorale. Ha usato il suo
ruolo di pubblic advocate, una specie di difensore civico della città, come trampolino di lancio.
Il modello Bloomberg era ormai arrivato al capolinea, e il cambio era dato per certo, in una città che ha il 20 per cento - in realtà quasi il doppio - dei residenti ufficialmente censiti come poveri e un milione e mezzo di persone che vive “nell’incertezza alimentare”.
Dove la polizia ha affrontato militarmente il movimento Occupy e
instaurato un clima repressivo da “stato di eccezione” nei quartieri a
maggioranza afroamericana e latina. Bill de Blasio ha usato
sapientemente tutti gli strumenti del marketing elettorale sottolineando
le sue origini italo-tedesche, coinvolgendo soprattutto la moglie
afroamericana, ex attivista lgbt, e il giovane figlio con gli spot su
youtube. Cioè la propria famiglia presentata come metafora della città
multietnica e multiculturale.
Ha fatto dichiarazioni in sostegno della campagna per un
salario minimo decente e contro Stop and Frisk, il potere della polizia
di fermare e perquisire chiunque, soprattutto afroamericani e latini,
senza un motivo plausibile. Durante la campagna elettorale non
ha mai fatto riferimenti diretti al movimento Occupy e hanno suscitato
molte perplessità, anche nella sinistra liberal, le sue dichiarazioni
liberiste dopo l’incontro con la finanza “democratica” di Wall Street.
E’ stato sostenuto dai sindacati dei dipendenti pubblici e degli
insegnanti, mentre i sindacati degli edili e degli elettrici si sono
schierati con i repubblicani. Il programma di de Blasio è
alquanto generico, la lotta contro le disuguaglianze, la tassazione dei
grandi patrimoni, l’attenzione al 99% della popolazione, i nuovi servizi
sociali non hanno una traduzione concreta in termini di interessi da
colpire, di partecipazione democratica, di quantificazione degli investimenti pubblici. Nulla
viene detto ad esempio sul debito della città e sugli altissimi
interessi che vengono pagati, sull’ultimo megaprogetto di trasformazione
della parte ovest di Mahattan ereditato da Bloomberg, sui diritti
sindacali negati ai 300 mila dipendenti dell’amministrazione comunale.
Nella sua corsa a sindaco de Blasio è stato avvantaggiato anche
dalla scarsa consistenza del suo antagonista repubblicano. Joe Lhota ha
impostato una campagna elettorale da guerra fredda che si è rivelata
controproducente. La sua affermazione “Io sono come Rocky Balboa che
batte Ivan Drago” fatta durante l’ultimo dibattito televisivo prima del
voto ha provocato solo ilarità sui social network.
Il nuovo consiglio comunale ha gli stessi numeri del precedente,
46 democratici e 5 repubblicani, e in grande maggioranza sono stati
riconfermati i consiglieri uscenti. La percentuale dei votanti
non ha superato il 25% degli elettori che si sono registrati, cosa ben
diversa dagli aventi diritto. In questo caso la percentuale si abbassa
al di sotto del 20%. E qui emerge in tutta la sua gravità la
crisi del sistema rappresentativo americano, la sua autoreferenzialità,
la distanza dai bisogni sociali. Occupy Wall Street ha di fatto ignorato queste elezioni.
Non ha visto in de Blasio un possibile interlocutore. Pesa ancora, e
parecchio, l’atteggiamento del partito democratico, durante i mesi più
caldi della mobilitazione, dal quale non è arrivato alcun supporto pur
avendo più dei due terzi dei consiglieri comunali che, se avessero
voluto, avrebbero potuto quanto meno ostacolare la politica repressiva
del sindaco Bloomberg. New York è da sempre un bastione elettorale
democratico, con una larga maggioranza nel consiglio comunale anche
durante i 12 anni del sindaco Bloomberg. Le linee del conflitto sociale e
politico non passano certo, e non sono passate, tra le stanze del City
Hall e questo il movimento Occupy lo ha sempre avuto presente. Bill de
Blasio verrà giudicato da quello che realmente farà. Da quanto sarà in
grado di contenere la principale opposizione istituzionale che
incontrerà, quella che proviene dalle file del suo stesso partito.
Fonte
Un altro Obama in circolazione...
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