La presa del potere di Matteo Renzi, eletto alla segreteria del Pd, nei sempre più rari sottoboschi della politica viene definita come il trionfo di un ex Dc in un partito sostanzialmente egemonizzato dagli ex Pci. Certo, l’appartenenza di Renzi ai giovani popolari, ultima stagione democristiana, è innegabile. Come il fatto che Renzi abbia conteso ad Angelino Alfano, quando si dice il destino, proprio la segreteria nazionale dei giovani popolari nei primi anni ’90. Eppure, proprio se si guarda a Firenze, Renzi non fa parte della tradizione Dc dei La Pira o del cattolicesimo popolare che ha prodotto, oltre a livelli oggi inimmaginabili di clientelismo, quadri intellettuali e politici attenti alle dinamiche di equilibrio sociale. Certo il milieu politico dal quale nasce Renzi - basta guardare al padre che è punto di incrocio tra politica, comunicazione e mattone - è abbastanza chiaro. Ma, dal punto di vista culturale, Renzi è un’anomalia. Nel nuovo segretario del Pd c’è piuttosto una rielaborazione, grazie alla cultura neotelevisiva e dietro modi che si vogliono simpatici, dell’arroganza dello squadrismo fiorentino. Quello della “Disperata”, che si scagliava contro i lavoratori del capoluogo della regione. Allora usando il manganello come procedura, mentre oggi, sempre contro i lavoratori, usando la procedura, di privatizzazione, come un manganello. Oggetto appena rinfoderato, come è accaduto per la vicenda Ataf, per non trovare sugli stessi schermi nazionali sia la notizia dell’incoronazione di Renzi che lo sciopero a causa delle politiche del lavoro promosse dal sindaco di Firenze. Politiche che, come al solito, la Cgil farà finta di non vedere ma che per essere promosse, tagliando salari e diritti, hanno proprio bisogno della spinta di un’arroganza di fondo nei confronti dei lavoratori che non si trovava nemmeno nella Dc di Scelba. Democrazia Cristiana che, se qualcuno non lo sapesse, i lavoratori li caricava non appena mettevano il naso in piazza. Ma qui più che contenere le folle, secondo le rigide leggi della deflazione salariale imposte dal patto di stabilità e dalle esigenze del mondo della moneta, c’è proprio bisogno di attaccare i residui diritti del lavoro.
Allora la Renziana, squadraccia di creativi digitali, ecco che ti mette in campo il set di Matteo che lodava Marchionne ieri come un piano per il lavoro oggi che, in quanto a salario reale, è qualcosa che erogherebbe più salario solo rispetto ad un rastrellamento per spedire la gente in un campo di lavoro. Diverse radici culturali della Renziana sono quindi maggiormente rintracciabili in riviste futuriste fiorentine degli anni ’10 del ‘900 come Lacerba, che diventò interventista, che per la demolizione del cascame culturale italiano promuoveva “genio”, “cinismo” e “la vittoria dell’uomo creatore”. Naturalmente oggi tutto questo è riletto secondo i canoni del politicamente corretto, l’estetica Apple e il gergo da bar dove si fa l’aperitivo giusto, ma l’anima culturale della Renziana è quella. D’altronde attaccare il lavoro, e i lavoratori, i cui diritti sono definiti privilegi, richiede un’anima che si vuole energetica, cinica e creatrice del nuovo. Introvabile nella vecchia cultura Dc toscana, rintracciabile in questi archetipi sempre attivi della cultura italiana contemporanea, comunicabile grazie a spin-doctor nemmeno tanto superlativi. Vi è quindi il momento il cui la Renziana si fa, necessariamente, Orwelliana. È quello in cui le politiche promosse dal sindaco di Firenze, antisociali e contro i lavoratori, vengono codificate “di sinistra”. Tutto ciò che fa privatizzazione (che diviene sfacciatamente qualcosa di assimilabile al bene comune perché “abbatte il deficit”), taglio dei salari (almeno 200 euro al mese nei trasporti fiorentini, tutta roba di sinistra perché “abbatte i privilegi”) riduzione dei servizi (venduta come “razionalizzazione”, niente di più progressista del razionale). Mentre a destra ci sono i “conservatori”: quelli che vogliono mantenere un livello di vita decente e dignitoso e che si ostinano a rivendicare la “rigidità” dei diritti”. La Renziana, assieme alla sottosquadraccia Orwelliana, non ha inventato molto di nuovo. Ha però adattato al format della promozione delle politiche dei Chicago Boys un elettorato, quello di centrosinistra, che prima di essere ridotto a comunicare politicamente quasi solo su Facebook e col telecomando di Sky Active contro tutte queste politiche, definite da Renzi “di sinistra”, ci scendeva in piazza fino a non molti anni fa.
E qui fa effetto il segreto industriale della Renziana, il lato buono del marketing della squadraccia fiorentina. Quello del rivolgersi “alle mamme”, di parlare “delle nostre scuole”, che sarebbero ferocemente privatizzate da Renzi, e “del nostro welfare”, pronto ad essere cannibalizzato dai consiglieri economici superliberisti della Renziana. E si vede anche che il renzismo, sottoprodotto patinato ma aggressivo dell’autoritarismo, rappresenta la bancarotta mentale dell’elettorato di centrosinistra impaurito dalla crisi che, attratto da parole confortevoli, si getta per l’ultima volta, forse l’estrema, proprio nelle braccia del liquidatore dei beni che sostiene di voler tutelare. Naturalmente ci sarà chi guadagnerà, e molto, da tutta questa operazione. Ma non per chi si è convinto di andare a votare in nome dei propri figli o delle proprie scuole. Infatti se Pci e Dc erano, in modi molto diversi, rappresentanti diretti di interessi sociali, il Pd direttamente rappresenta solo interessi di ceto. Quello scosso dalla voragine bancaria, quello che deve muovere indici di borsa, quello che deve aprire a “investitori esteri”, che ribassano il salario. Tutta gente alla quale stanno strette le decisioni del parlamento, che infatti vuol dimezzare, figuriamoci i diritti.
In Cile, per implementare le politiche alla Renzi, c'è stato bisogno dei carri armati, qui bastano le primarie. Certo dopo Prodi, Berlusconi e Monti, il sindaco di Firenze trova il lavoro molto avviato. E una governance europea pronta a supportarlo. Ma la strada da fare è irta di ostacoli e pericoli. Ce ne saranno ancora di più se passerà la consapevolezza che, contro una destra di questo genere, un antifascismo di tipo nuovo sa essere un valido argine. Ci vada pure il Renzi dall’Anpi a fare la comparsata, secondo il copione stabilito dalla Renziana. Assomiglia a quel Franjo Tudman che, dopo aver portato la Croazia a destra, rispettava formalmente qualche vestigia della lotta partigiana. Un antifascismo di tipo nuovo, intelligente e capace di capire il mondo digitale, sa come leggere i comportamenti della Renziana. Intanto, per gradire, un fascista vero a Livorno si è presentato a un seggio del Pd per votare alle primarie. È stato accolto, non c’è alcun regolamento che vieti ai fascisti di inquinare le primarie di un partito democratico (sic), ha aderito al programma Pd ed ha votato Renzi. In attesa che si capisca la portata potenzialmente devastante, plebiscitaria e antidemocratica, della Renziana, ecco un camerata vero che rompe gli indugi. Non resterà solo, non c’è da dubitarne.
Redazione - 9 dicembre 2013
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