Lo scontro sotterraneo tra Usa ed Unione Europea si arricchisce di sempre nuove varianti. Anche la vittoria di Syriza in Grecia, con il conseguente scombussolamento derivante dalla richiesta di Atene di – quantomeno – “ristrutturare” il debito, entra a pieno titolo nella contesa.
«Non si può continuare a spremere paesi che sono in profonda depressione». Frase di buon senso, sulla bocca di un economista che abbia rinunciato a far carriera all'interno della Ue. Richiamo potente a non compromettere una congiuntura economica globale già difficilissima se pronunciata dal pesidente del paese più potente del pianeta.
«Ad un certo punto deve esserci una strategia di crescita, per permettere loro di rimborsare i debiti ed eliminare parte dei loro deficit» ha sentenziato Barack Obama nel corso di un'intervista televisiva. Anche la “necessità delle riforme” (non si dice per pudore quali, nemmeno negli Stati Uniti) andrebbe soppesata con cura, perché «è molto difficile avviare questi cambiamenti, se il tenore di vita della gente è sceso del 25%. Alla lunga il sistema politico, la società non possono sopportarlo».
A nessuno può sfuggire che questa presa di posizione statunitense avviene proprio mentre Tsipras è in giro per l'Europa – a partire dai paesi con più problemi nel rispettare i parametri fissati dai trattati, come Francia e Italia – e prova a controbilanciare le offerte di aiuto avanzate sia dalla Cina (con molta discrezione) sia dalla Russia.
La navicella greca si ritrova insomma assai più robusta di quanto non farebbero pensare le sue ridotte dimensioni e lo stato comatoso dell'economia nazionale. Soprattutto se si pensa che questo consistente appoggio internazionale – certo non disinteressato, ci mancherebbe – converge nell'isolare l'unico paese che vorrebbe tenere fermamente il piede sul tubo dell'ossigeno: la Germania di Merkel, Schauble e Weidmann.
Il ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, ne è forse il più consapevole, sul piano strettamente economico. Oggi sarà a Londra, dopo aver incontrato ieri a Parigi il suo omologo francese, Michel Sapin. È la fase dei contatti, della verifica sull'esistenza o meno – o sulla disponibilità a muovere le acque all'interno dell'Unione Europea – di un'insofferenza diffusa per il modo in cui è stata finora affrontata la crisi nel Vecchio Continente.
Per il nuovo governo di Atene si tratta insomma di guadagnare un po' di tempo (tenendo dunque a freno “i mercati” che hanno già fatto ripartire una potente ondata speculativa sui titoli di stato ellenici) e soprattutto di alleati, anche se infidi. La battaglia solitaria contro la corazzata tedesca sarebbe infatti persa in partenza, sulla base dei diretti rapporti di forza. A questo sembra mirare la promessa di presentare “a fine di maggio" un piano per il rientro del debito con la troika (Bce-Ue-Fmi).
In questa tattica non mancano le sorprese che illuminano meglio la natura vampiresca dei cosiddetti “aiuti” europei concessi ad Atene al tempo dei governi Papandreou e Samaras.
Per esempio, Varoufakis ha spiegato ieri che la Grecia non vuole ricevere la nuova tranche di aiuti da 7 miliardi di euro, in programma a fine mese. "Abbiamo un disperato bisogno di denaro – ha naturalmente ammesso il ministro delle finanze – ma da cinque anni, la Grecia ha vissuto nell'attesa della prossima tranche, come una droga". Anche perché si tratta di un banale partita di giro: quei sette miliardi non resterebbero nemmeno un attimo in Grecia, ma tornerebbero immediatamente indietro come restituzione di debito alle banche europee. Insomma: una cifra stanziata dalla Ue per salvare le proprie banche mettendo l'importo sul conto di Atene.
Non sembra dunque assurdo il discorso fatto a Sapin e riassunto per i giornalisti in conferenza stampa da Varoufakis: "Il modo migliore per aiutare la Grecia è trovare un accordo che faccia ripartire da zero l'intera situazione. Questo si può fare solo legando il pagamento dei debiti alla crescita del Paese". Se non si cresce, non si paga. Chi chiede il contrario sta cercando soltanto il default, se ne renda conto o meno.
Varoufakis ha cercato ovviamente anche di blandire i suoi interlocutori, assicurando che il nuovo governo di Atene vuole "riformare la Grecia, con impegno", nell'ambito di "un cambiamento dell'Europa che interrompa il circolo vizioso che si autoalimenta del debito e della deflazione".
Domani sarà anche a Roma, per un primo incontro con Pier Carlo Padoan. Che ha problemi molto simili, anche se meno gravi nell'immediato. E che, soprattutto, sta anche lui cercando di trovare margini di “flessibilità” nei patti europei. Se il caterpillar di Atene può favorire questo “ritrovamento”, tanto di guadagnato. La filiera delle alleanze non crescerà da questo lato, probabilmente; ma qualche neutralità in più, nelle lunghe e difficili trattative dei prossimi mesi, potrà certamente esser d'aiuti anche ai nuovi governanti di Atene.
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