di Chiara Cruciati – Il Manifesto
«L’estremismo
religioso è un fenomeno che cresce e si rafforza in tutto il Medio
Oriente. Per comprenderlo è necessario che abbandoniate strumenti
di analisi occidentali. Soprattutto perché l’Occidente non è mero
osservatore, ma un fattore direttamente coinvolto».
Da al Qaeda allo Stato Islamico le opinioni pubbliche
occidentali hanno trascorso gli ultimi 15 anni nel brodo di cottura
dell’islamofobia e del cosiddetto “scontro di civiltà”. Un fenomeno
pericoloso perché privo di profondità storica e analisi
socio-economica. Ne è convinto l’analista palestinese Nassar
Ibrahim con cui abbiamo discusso della crescita repentina dell’Isis:
«Tale fenomeno è figlio dalla combinazione di fattori esterni, il
colonialismo, e interni, la strumentalizzazione della
religione».
In tal senso qual è stato il ruolo del colonialismo europeo in Medio Oriente e in Africa?
Ogni progetto coloniale usa una precisa strategia per
indebolire la popolazione indigena. Ne studia i costumi, le fedi,
le strutture politiche e economiche. Ha in mente tre obiettivi:
la divisione innaturale della società tra minoranze e maggioranze,
tra etnie, tra religioni; la divisione geografica del
territorio; e la frammentazione della civilizzazione. È quello
che è successo nel mondo arabo: da centinaia di anni il
colonialismo europeo ha come target la divisione geografica (che
ha portato avanti con la creazione di confini nuovi, come successo
con Sykes-Picot, e di paesi nuovi come Israele); lo sfruttamento della
religione come elemento divisivo; e infine la frammentazione
della civilizzazione araba creando sotto-culture (la giordana,
l’egiziana, la palestinese ecc). Il fine è chiaro: la distruzione
della nazione araba, di un popolo di 360 milioni di persone. Dagli
Ommaidi agli Abbassidi fino agli Ottomani, il mondo arabo era unito.
Oggi è sostituito dal nazionalismo individuale e dall’invenzione
delle culture nazionali.
Come si inserisce lo Stato Islamico in tale contesto? Il
califfato ha un progetto transnazionale, che va oltre i confini
disegnati da francesi e inglesi nel ‘900.
Se prima a distruggere la storia della civilizzazione araba era
il colonialismo europeo, oggi a farlo è l’Isis. L’Islam in 1400 anni
non ha mai violato, distrutto o negato la storia antica del mondo
arabo. Perché l’Isis distrugge Hatra e Nimrud, perché minaccia
Palmira? Vuole cancellare la memoria dei popoli, la loro
appartenenza culturale e sostituirla con una sola identità, quella
religiosa. L’Isis è la sconfitta del panarabismo. Il
panarabismo, che si regge sui due pilastri della storia antica e
delle religioni monoteiste, ha sempre inteso l’Islam come cultura,
prima che come religione: dall’arte alla letteratura, dal
linguaggio ai costumi, la religione definisce un popolo come in
Europa fa il cristianesimo. Questa è la differenza tra
panarabismo che parla di nazione araba e Fratellanza Musulmana (e
in maniera molto più radicale l’Isis) che fa riferimento alla nazione
islamica. Nella visione dell’Islam politico, crolla il concetto di
nazione intesa come popolo che condivide sì la religione ma
soprattutto la cultura, la storia, la lingua, le relazioni
socioeconomiche. Questa è la ragione del fallimento dei Fratelli
Musulmani in Turchia e in Egitto: hanno tentato di soffocare
l’identità araba sostituendola con quella islamica.
Eppure l’Islam conservatore ha una storia più antica dell’Isis.
Lo è perché in ogni periodo storico la religione si radicalizza
quando diventa strumento politico nelle mani di una fazione o
un’autorità. Trecento anni fa un religioso, Muhammad ibn Abd
al-Wahhab, ha gettato le basi dell’attuale estremismo religioso a
cui al Qaeda e l’Isis fanno riferimento. Nello stesso periodo la
famiglia Saud iniziò a muoversi per assumere il controllo di quella
che è oggi l’Arabia Saudita. Gli serviva un’ideologia su cui fondare
un paese povero, scarsamente civilizzato, diviso in tribù (al
contrario del vicino Yemen, vera culla della cultura araba). Così
sono nati il salafismo e il wahhabismo: da allora Riyadh ha
lavorato per imporre questa interpretazione conservatrice
dell’Islam, attraverso l’occupazione delle istituzioni religiose e
di quelle educative per garantirsi controllo strategico del mondo
arabo.
Si può definire il ruolo dell’Arabia Saudita come un fattore interno, ma storico. Oggi è ancora focolaio degli estremismi?
Esattamente in questo punto i fattori esterni si combinano con
quelli interni. Il palese fallimento dei regimi conservatori nel
garantire i bisogni sociali, economici e culturali dei popoli, nel
garantire diritti basilari, ha spinto le dittature arabe a porsi
sotto l’ombrello occidentale. È la comunità internazionale che fa
sopravvivere certe dittature. Ma le contraddizioni sono esplose:
la crisi ha provocato frustrazione e spinto alla ricerca di
un’alternativa, che per molti è stata l’Islam politico. Oggi è chiaro
che Stati Uniti e regimi arabi siano dietro, direttamente e
indirettamente, gruppi come al-Nusra e l’Isis. Washington e Riyadh
hanno da sempre utilizzato questi gruppi come strumento, dallo
scontro con i sovietici in Afghanistan fino al controllo del gas
naturale mediorientale. Li hanno utilizzati, ma oggi il genio della
lampada si è ribellato.
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