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23/07/2015

The Devid ov Maichel Eingel

Se conosco Shakespeare? Perbacco! A casa nostra lo chiamavamo: Guglielmo!

Così diceva Totò a Lia Zoppelli in Chi si ferma è perduto, e non scherzava. Ho ancora in casa libri in cui Shakespeare è chiamato, effettivamente, Guglielmo. E come cosa, effettivamente, fa ridere, ed è ammissibile solo in due casi: se te lo impone un dittatore (la polibibita, il tuttochesivede, l’italianissimo cialdino), o se sei un babbeo: a pensarci bene, il motivo è uno, ed è lo stesso.

Questo, fino a ieri. Poi il sindaco Marino (che non avrà tutte le colpe ma nemmeno può sempre dire che sono stati i folletti e le cavallette), se ne esce che Roma non è più Roma, ma Rome, anzi RoMe and You, una cosa che fa rabbrividire perfino gente forgiata nell’acciaio del marketing, e il nostro Presidente del consiglio dei ministri (anzi, Premier, come la Premier League), se ne esce col Devid di Maichel Engelo. Che fa molto meno ridere di Totò, perché non voleva essere una spiritosaggine.

E non è nemmeno ignoranza: è qualcosa di peggio.

Lasciando da parte il discorso idiota della sacralità dell’italico idioma (che per fortuna delle accademie se ne strafotte, ed è per questo che noi, oggi, non parliamo come Massimo D’Azeglio, con l’ovvia esclusione di alcuni premi Strega), non è l’ignoranza che mi spaventa. Sono convinto che Renzi e Marino non siano persone di cultura, e queste cose da loro me le aspetto (loro lo sanno, e non sia mai che mi deludano). Quello che non mi piace, e che trovo perfettamente in linea con questo zeitgeist dai pettorali scolpiti e dall’alito puzzolente che ci avviluppa, è quello che fanno tutti i giorni i peggiori esperti di marketing e i peggiori editor: lo spiegone.

Chiamare Roma, Rome e il David, Devid, fa parte di quella infame corrente di pensiero che ti incita: spiega, spiega, se no la gente non capisce. La casalinga di Voghera è diventato l’hillbilly del Kentucky, e stiamo abbassando la soglia dello spiegone perché tutti devono capire, a costo di chiamare Maichel Engelo il Buonarroti.

Il fatto è che è sbagliato. Non tutti devono capire: se non capiscono, lo sforzo di chiamare Roma e non Rome la capitale d’Italia, lo dovranno pur fare, cazzo: mica gli si chiede di declamare a memoria i sonetti del Belli in romanesco, ma cazzo, imparati a dire Michelangelo. E invece no: più si abbassa la soglia, non di ignoranza ma di ciucciaggine volontaria, di strafottenza verso qualsivoglia tipo di cultura, fosse anche mandare a memoria un fetente di nome di quattro lettere, più le cose vanno a puttane. Poi è ovvio che un editor ciuccio, un redattore bestia, ti dice riscrivilo (il libro, il film, la serie, l’articolo) perché se no non si capisce. Il problema è che loro vogliono farlo capire alle galline, ai posacenere, ai loro parenti, ai loro amici: cose e persone, cioè, che nell’ignoranza in cui sguazzano andrebbero lasciate, anzi segregate, per paura che escano a far danni.

Una cosa è portare dappertutto la cultura, un’altra è chiedere il permesso al guardiano dei porci per gettarla nella merda.

Non capisci? Bene, o mi dimostri che sei un bracciante di Cerignola del 1930, nel qual caso io vengo e te lo spiego con calma, oppure levati il telefonino dal culo e impara a pronunciare Michelangelo. Io ti odio: è per portare la cultura a gente come te che escono libri di merda, si scrivono giornali di merda, si sente musica di merda, si fanno film di merda.

Tu non capisci perché non vuoi capire, e fai anche bene, perché sei una bestia. Ma mai come quelli che ti vengono appresso.

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