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16/08/2015

Iraq - Massacro a Sadr City: l'Isis colpisce gli sciiti

di Chiara Cruciati – Il Manifesto

Almeno 76 morti, oltre 200 feriti: que­sto è il bilan­cio dell’ultimo mas­sa­cro com­piuto dallo Stato Isla­mico nel cuore dell’Iraq. Ieri a vio­lare Bagh­dad è stata un’autobomba, fatta esplo­dere in mezzo al mer­cato Jameela di Sadr City, quar­tiere sciita della capitale.

Subito dopo la strage, la più san­gui­nosa da un anno a que­sta parte, in rete l’Isis ha riven­di­cato l’attacco: quel camion fri­go­ri­fero imbot­tito di esplo­sivo, si legge nel comu­ni­cato, era diretto ai mili­ziani sciiti che nel quar­tiere di Sadr City hanno la loro roc­ca­forte. Non solo le Unità di Mobi­li­ta­zione Popo­lare, legate all’Iran, ma soprat­tutto le Bri­gate della Pace, il nome con cui è stato ribat­tez­zato l’Esercito del Mahdi gui­dato dal noto reli­gioso sciita Muq­data al-Sadr.

Una car­ne­fi­cina: il gio­vedì il mer­cato cit­ta­dino è affol­lato di fami­glie che fanno la spesa in vista del venerdì. Le imma­gini che arri­va­vano ieri rac­con­ta­vano il ter­rore: pezzi di corpi por­tati via con buste di pla­stica e cas­sette della frutta, resi­denti – sun­niti e sciiti – accorsi per por­tare in salvo i feriti, ambu­lanze e auto­mo­bili pri­vate che face­vano la spola con gli ospedali.

Nelle stesse ore, secondo fonti medi­che, oltre 20 civili mori­vano a Fal­lu­jah sotto le bombe gover­na­tive: il raid com­piuto dall’aviazione di Bagh­dad con­tro le posta­zioni Isis, che da un anno e mezzo con­trolla buona parte della città – avrebbe cen­trato un ospe­dale pedia­trico. Quello che viene defi­nito dalle can­cel­le­rie mon­diali uno spia­ce­vole danno col­la­te­rale in Iraq, dove i set­ta­ri­smi interni cre­scono a dismi­sura ali­men­tati da poteri interni e esterni, signi­fica ulte­riore ben­zina sul fuoco della divi­sione. Fal­lu­jah, come il resto della pro­vin­cia sun­nita di Anbar, è oggi tea­tro di scon­tro tra i due fronti, quello isla­mi­sta e quello governativo-sciita dopo il lan­cio della vasta ope­ra­zione per la ricon­qui­sta di Ramadi, caduta a mag­gio. Sul campo, però, i sun­niti sono ancora pochi e male armati: molte comu­nità non negano di pre­fe­rire alla discri­mi­na­zione del potere cen­trale la bar­bara legge dello Stato Islamico.

E sul fuoco dei set­ta­ri­smi ira­cheni sof­fia chi sogna un Iraq diviso: non è un mistero che gli Stati Uniti acca­rez­zino da tempo l’idea della tra­sfor­ma­zione dell’Iraq in uno Stato fede­rato, diviso per etnia e per reli­gione. Lo ha ripe­tuto mer­co­ledì Ray­mond Odierno, capo di Stato mag­giore uscente dell’amministrazione di Washing­ton: la ricon­ci­lia­zione tra sun­niti e sciiti, ha detto, sta diven­tando sem­pre più dif­fi­cile da archi­viare e la par­ti­zione del paese «potrebbe essere la sola soluzione».

La pos­si­bi­lità di una fram­men­ta­zione dell’Iraq sem­bra seguire i piani di molti attori regio­nali e glo­bali che vedono nella divi­sione del mondo arabo – già spez­zet­tato con gli accordi di Sykes-Picot – la migliore delle occa­sioni per con­trol­lare meglio una regione stra­te­gica dal punto di vista poli­tico, mili­tare ed eco­no­mico. Meglio tanti sta­te­relli a grandi paesi.

In Siria tre­gua tra Hez­bol­lah e islamisti

Tra chi rischia di più c’è la Siria, oggi solo per un terzo sotto l’effettivo con­trollo del governo di Dama­sco. E tra i poteri che si oppon­gono alla divi­sione c’è l’Iran che, attra­verso il soste­gno mili­tare e quello diplo­ma­tico, tenta ancora la via della solu­zione poli­tica. Mer­co­ledì il mini­stro degli Esteri di Tehe­ran, Moham­mad Javad Zarif, è volato a Dama­sco dove ha incon­trato il pre­si­dente Assad. L’obiettivo è spin­gere la comu­nità inter­na­zio­nale verso la pro­po­sta inviata all’Onu da Tehe­ran (ces­sate il fuoco, governo di unità e ele­zioni sotto la super­vi­sione Onu). Poche ore prima una tre­gua di 48 ore per ragioni uma­ni­ta­rie era entrata in vigore a Zaba­dani, città alla fron­tiera con il Libano, tra i com­bat­tenti di Hez­bol­lah e i gruppi isla­mi­sti pre­senti al confine.

A tali pro­po­ste nes­suno pre­sta atten­zione. Nem­meno la Rus­sia: ieri il mini­stro degli Esteri di Mosca, Lavrov, ha ospi­tato una dele­ga­zione della Coa­li­zione Nazio­nale Siriana per «aiu­tare tutti i siriani ad unirsi per pre­ser­vare il loro paese, garan­tirne la sicu­rezza e impe­dire che diventi roc­ca­forte del ter­ro­ri­smo». Un invito che la Coa­li­zione in pas­sato non aveva mai accet­tato. Ora si vola a Mosca per­ché Mosca non ritiene più Assad intoc­ca­bile: dopo averlo difeso, bloc­cando con il veto riso­lu­zioni Onu anti-Damasco e impe­dendo l’attacco mili­tare Usa nel 2012, ora la Rus­sia siede al tavolo con gli Stati Uniti e l’Arabia Sau­dita, ovvero coloro che vogliono vedere la testa di Assad sal­tare. E con la sua la tenuta dell’asse sciita.

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