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18/11/2015

Il disastro yemenita

Più di mezzo milione di bambini yemeniti rischiano di morire per malnutrizione. A denunciarlo è stato ieri il capo dell’Unicef, Anthony Lake. “Questo vuol dire non solo che i bambini non raggiungono il loro peso [ideale], ma che anche le loro capacità cognitive vengono intaccate creando un fardello per l’intera società” ha spiegato Lake all’Afp. Di fronte allo stallo politico e alla scarsa attenzione occidentale, l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’Infanzia sottolinea come la situazione stia sempre di più peggiorando: “Quello di cui abbiamo urgentemente bisogno – ha aggiunto Lake – è di una soluzione politica”. I dati riportati sul sito dell’Unicef sono drammatici: nel conflitto iniziato lo scorso marzo sono stati uccisi almeno 500 bambini. Due milioni di loro hanno abbandonato gli studi perché 3.584 scuole – una su quattro – sono state chiuse. Altre 860 sono state danneggiate o ospitano rifugiati.

Non è la prima volta che l’Onu sottolinea la terribile condizione umanitaria in cui versa il Paese. Nei mesi scorsi l’organismo internazionale aveva affermato che l’80% della popolazione è “sull’orlo della fame”. A pagare il prezzo più alto della guerra voluta dal blocco sunnita e guidata da Riyad sono soprattutto i più piccoli: le Nazioni Unite sostengono che 10 milioni di bambini hanno bisogno urgentemente di aiuto.

Nonostante le difficoltà, il direttore esecutivo dell’Unicef ha però aggiunto che, “in qualche modo”, si sente più “fiducioso” rispetto a due mesi fa che si possa arrivare alla pace. Non si capisce da dove nasca in lui questa fiducia. La guerra miete vittime incessantemente mentre la diplomazia arranca. Ciò dipende principalmente dalla mancata volontà di Riyad di raggiungere un compromesso politico con la controparte rivale houthi in questa fase del conflitto. Nonostante i raid aerei, infatti, la monarchia wahhabita e i suoi alleati sunniti non sono riusciti ad avere la meglio finora sui ribelli sciiti che controllano ancora la capitale Sana’a e diverse aree del Paese. Per Riyad sedersi al tavolo delle trattative senza aver raggiunto altre vittorie “sul terreno” (cioè negoziare non in una posizione di forza) potrebbe essere controproducente per i suoi interessi nel “cortile di casa” yemenita. I sauditi ritengono infatti che solo una situazione favorevole militarmente alla coalizione sunnita potrà segnare un avvio serio del processo diplomatico. Ma finché ciò non avverrà – è questo il non detto del monarca saudita Salman – l’unica lingua che si continuerà a parlare sarà quella delle armi.

E così, nell’impasse politica in cui versa lo Yemen, continuano le violenze. Ieri ufficiali di sicurezza yemeniti hanno riferito di un agguato nei pressi della città portuale di Mocha in cui hanno perso la vita 44 combattenti anti-houthi. Nella provincia di Ma’arib, invece, tra lunedì e martedì sono stati uccisi più di 20 ribelli sciiti negli scontri con i lealisti del presidente Abd Rabbuh Mansour Hadi, tornato ieri nella città meridionale di Aden. Il presidente, sostenuto dal blocco sunnita, era già rientrato brevemente nel Paese lo scorso settembre dopo sei mesi d’esilio. Non è chiaro al momento se la situazione attuale gli consentirà di restare o meno in quella che è stata definita dagli uomini di Hadi la “capitale temporanea” dello Yemen. Alcune fonti locali sostengono che il presidente dovrebbe restare in città fino alla fine di novembre. Di sicuro il suo ritorno – anche se breve – lancia un chiaro messaggio ai nemici sciiti: la guerra ormai volge a nostro favore.

Nelle stesse ore in cui si continua a combattere, fa discutere la possibile vendita di 22.000 bombe all’Arabia Saudita decisa dal dipartimento di stato Usa. Il costo dell’affare si dovrebbe aggirare su 1,3 miliardi di dollari. Il carico di armi, se approvato dal Congresso entro 30 giorni, permetterà alla monarchia del Golfo di rimpinguare il suo armamento bellico in esaurimento per via delle guerre che re Salman sta conducendo in Yemen e in Siria. A denunciare la possibile intesa economica è stata ieri Amnesty International (AI). Dagli schermi di al-Jazeera, la ong ha detto che alcuni tipi di bombe che gli Usa potrebbero vendere ai sauditi violano la legge umanitaria internazionale. Gli Stati Uniti sono il principale esportatore di armi in Arabia Saudita: tra il 2010 e il 2015 il giro di affari tra i due Paesi ha superato i 90 miliardi di dollari. In un report rilasciato lo scorso mese, AI ha chiesto a Washington di fermare la vendita a Riyad di “certe” armi. La monarchia del Golfo, infatti, le avrebbe usate per compiere raid illegali in Yemen. Bombardamenti, sottolinea la ong, he potrebbero essere considerati crimini di guerra.

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