Innumerevoli sono le iniziative governative che un tempo avremmo definito tout court antiproletarie, ma il livello raggiunto dall’ineffabile leader – ospite l’altra sera in Tv del giornalista per tutte le stagioni (anche le mezze in via di estinzione) – nel chiudere ad ogni ipotesi di flessibilità in uscita per il conseguimento delle pensioni è stato oscenamente inaudito.
Dal prossimo anno, per le donne occupate nel settore privato, scatta un aumento dell’età pensionabile di un anno e dieci mesi.
Dai 63 anni e 9 mesi previsti oggi per le lavoratrici dipendenti si
passa ai 65 anni e 7 mesi, mentre per le lavoratrici autonome e le
iscritte alla gestione separata si passa dai 64 anni e 9 mesi ai 66 anni
e 7 mesi. A legislazione invariata, quindi, per quasi due anni non verranno più liquidate dall’INPS pensioni di vecchiaia alle donne, salvo che a coloro che dovessero scegliere la cosiddetta opzione donna [sic!]
con penalizzazioni da un quarto a un terzo dell’assegno pensionistico,
sempre ammesso che tale opzione, in quanto assolutamente a costo zero
per l’INPS, venga prorogata oltre il 2015.
La sfrenatezza tattica del
comico toscano prestato alla presidenza del consiglio si poggia su
solide basi aritmetiche, ignorandone qualsiasi possibile derivata:
se ha promesso di cancellare Tasi e Imu, finanzia questa scelta
rimangiandosi la promessa della flessibilità sulle pensioni, basta far
sapere, tramite i media main stream, che lui è il buono in
commedia e l’astuto presidente dell’INPS Boeri il cattivo, che sostiene
che il costo della flessibilità pensionistica sarebbe il doppio di
quello che deriva dall’eliminazione della tassa sulla prima casa. È
appena il caso di evidenziare che il calcolo di Boeri ipotizza un
immediato ricorso alla flessibilità nel prossimo anno di tutti i
soggetti interessati dalle ipotesi di flessibilità avanzate, per un
totale di 8 miliardi di euro, ignorando la riduzione di costi per gli
ammortizzatori sociali risparmiati e il residuo di cassa di oltre 3
miliardi non utilizzati per le salvaguardie degli esodati.
Ma all’impegno profuso dal presidente
INPS a sostegno del suo amato premier, cui deve la propria investitura
nella baita di Courmayeur, si deve aggiungere la performance in commissione lavoro del Senato del ministero dell’Economia
che, annunciando l’indisponibilità delle somme non utilizzate per le
precedenti salvaguardie degli esodati, ne ha stoppato la settima che
veniva data in dirittura d’arrivo.
Quello che sconcerta è l’accanimento con cui si insiste nell’attacco alle pensioni del settore privato
quando, senza dubbio per lo meno al Mef nonché alla Ragioneria dello
Stato, dovrebbe essere noto che, già dalla fine degli anni Novanta, nel
nostro paese le entrate contributive superano le prestazioni
previdenziali al netto del prelievo fiscale, in Italia più gravoso
rispetto alla maggior parte degli altri paesi dell’OCSE.
Sorge il fondato sospetto che, al fine di perseguire una coerenza di ispirazione ordoliberista,
tra compressione del salario diretto, contestuale alla perdita di circa
un milione di posti di lavoro dal 2008 all’inizio del 2015 e a un
rimescolamento della composizione degli occupati che ha visto aumentare
la quota di migranti, donne e anziani, e contrazione del salario
differito insieme a quello indiretto, nell’azione di un governo
pienamente subalterno alle politiche del capitalismo finanziario
globalizzato non venga tralasciata nessuna occasione per realizzare una
dura accelerazione che cerca di stringere tutti gli anelli delle catene dello sfruttamento del lavoro del terzo millennio.
Nessun commento:
Posta un commento