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18/11/2015

Arabia Saudita - L'aumento del dissenso interno obbliga il regno a delegare la guerra in Yemen

Il principa Mohammed Bin Salman
di Olga Aymerich – Your Middle East – (Traduzione Giovanni Pagani)

Parte dello sdegno per il sovrano e suo figlio deriva dalla campagna militare che da otto mesi vede il regno saudita impegnato in Yemen. Il principe Mohammed bin Salman è alla guida dell’iniziativa bellica lanciata due mesi dopo il suo insediamento al Ministero della Difesa. Ma quella che si pensava essere una rapida offensiva, volta ad accrescere la fama del neoeletto principe 29enne e ad addolcire la sua ascesa al trono, si sta invece rivelando una lunga e dolorosa campagna che – secondo l’OCHCHR – avrebbe già lasciato sul campo 2300 civili ferendone altri 4000.

In questo quadro, ogni perdita saudita in Yemen rappresenta una minaccia per il sovrano e la sua sopravvivenza al potere. Inoltre, con la notizia che l’esercito saudita sarebbe intenzionato a incrementare il proprio impegno di terra prima dei possibili accordi di pace, il dissenso interno ha raggiunto il proprio apice. Il re e suo figlio sanno che se vogliono rimanere al potere non si possono permettere nuove perdite sul campo. Ma sono allo stesso tempo consapevoli che allentando la presa sullo Yemen la credibilità del principe Mohammed bin Salman come possibile erede al trono verrebbe irrimediabilmente compromessa. È per questo motivo che l’Arabia Saudita ha adottato una nuova tattica, la quale di fatto consiste nel far scorrere il sangue altrui. Maggiore cooperazione e aumento dei legami economici in cambio di truppe di terra dai paesi più poveri della coalizione ai quali verrà chiesto di operare nelle zone più calde del conflitto.

Il 17 ottobre, il Sudan ha inviato 300 soldati nella città di Aden, Yemen meridionale, seguiti due giorni dopo da un contingente aggiuntivo di 450 uomini, nel quadro di una forza di 10.000 unità concordata con il regno saudita. Di questi, 16 sarebbero rimasti uccisi e 12 feriti in due diversi attacchi avvenuti sei giorni dopo il loro dispiegamento sul terreno. Il Sudan è in profonda crisi economica dal 2011, quando il Sud Sudan – che ospita il 75% delle riserve di petrolio del paese – ha ottenuto l’indipendenza. Khartoum, da anni alleata all’Iran, ha pertanto rivisto la propria strategia regionale allineandosi ai ricchi paesi del Golfo in cerca di sostegno economico.

Un giorno prima che le truppe sudanesi sbarcassero in Yemen, lo scorso 16 ottobre, anche la Mauritania avrebbe accettato di dispiegare 500 uomini nel paese nella settimana successiva alla visita del ministro della difesa saudita Al-Ayesh a Nouakchott. All’incontro aveva poi seguito una lettera del presidente egiziano Al-Sisi e una visita del ministro degli esteri degli Emirati Arabi Uniti Al-Nahyan, entrambe volte a promuovere la cooperazione tra i due paesi. Sia l’Egitto sia gli Emirati Arabi Uniti occupano un ruolo centrale nella coalizione impegnata in Yemen e guidata dall’Arabia Saudita.

Anche 2.100 soldati senegalesi sarebbero arrivati nel paese per evacuare e sorvegliare l’area frontaliera tra Yemen e Arabia Saudita. L’operazione ha preso luogo poco dopo che Riyadh annunciasse la propria volontà di finanziare un programma di sviluppo in Senegal, l’unico paese non arabo all’interno della coalizione. L’ultima mossa saudita in tale direzione era stata quella di arruolare 800 ex-militari colombiani, prevalentemente truppe d’élite a riposo, offrendo loro paghe significativamente più alte che in Colombia e un bonus settimanale di 1.000 dollari una volta sul campo, più altri benefit.

Il monarca saudita non si può permettere di infiammare ulteriormente un’opposizione interna già incandescente, ma non può nemmeno perdere la faccia in Yemen se vuole salvaguardare l’ascesa di suo figlio al trono. La strategia che i reali sembrano aver adottato per salvaguardare la propria posizione sembra quella di impiegare truppe di altri paesi della coalizione come carne da macello in cambio di privilegi economici. Immoralità a parte, tale scenario sta avendo ripercussioni anche negli altri paesi coinvolti, dove i cittadini stanno iniziando a mettere in discussione le scelte dei propri governanti. Nel frattempo il conflitto in Yemen continua senza accennare a una tregua.

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