Michele Giorgio – Il Manifesto
È davvero grande
l’influenza dell’Arabia Saudita e delle altre petromonarchie del Golfo
sugli Stati Uniti. Solo così si spiega la scelta fatta da Barack Obama
di far sapere, attraverso il direttore della Cia John Brennan, che non
ci sono prove di un coinvolgimento dell’Arabia Saudita negli attentati
di al Qaeda dell’11 settembre 2011 contro gli Usa. Un passo fatto mentre le indiscrezioni trapelate sino ad oggi indicavano l’esatto contrario.
La vicenda aveva fatto infuriare Riyadh al punto da spingerla a
minacciare il ritiro di investimenti e di fondi dagli Stati Uniti per
centinaia di miliardi di dollari.
Davanti alle telecamere di una tv saudita, al Arabiya, con sede negli Emirati, Brennan è arrivato a smentire un ex componente della Commissione d’inchiesta del Congresso americano, John Lehman, il quale il mese scorso aveva rivelato l’esistenza
di un rapporto di 28 pagine, ancora secretate, con prove del sostegno
ad al Qaida giunto da sei funzionari sauditi. Lehman, segretario della
US Navy durante la presidenza Reagan, aveva sostenuto che 12 anni fa la
commissione d’inchiesta sulle stragi fa aveva commesso un errore
mancando di comunicare che funzionari di Riyadh facevano parte di una
rete di sostegno agli attentatori delle Torri Gemelle. «Non c’è
prova per affermare che il governo saudita come istituzione o alti
responsabili sauditi individualmente abbiano sostenuto gli attacchi
dell’11 settembre» ha detto il direttore della Central Intelligence
Agency aggiungendo che «Negli ultimi 15 anni i sauditi sono entrati nel
novero dei nostri migliori partner antiterrorismo».
È a dir poco sconcertante questa difesa ad oltranza degli alleati
sauditi se tiene conto delle 3mila vittime dell’11 Settembre e degli
ultimi sanguinosi attentati compiuti da militanti veri o presunti
dell’Isis che più parti ritengono finanziato in parte da cittadini
sauditi e di altre monarchie del Golfo, attraverso donazioni ad
istituzioni islamiche wahabite e salafite. Parla chiaro la
relazione annuale sul terrorismo diffusa nei giorni scorsi dal
Dipartimento di stato. Il documento mette in evidenza che gli sforzi
antiterrorismo degli alleati di Washington nel Golfo sono stati minimi e
che Paesi come l’Arabia Saudita, il Qatar e il Kuwait non hanno
bloccato le linee di finanziamento alle organizzazioni terroristiche
all’interno dei loro confini. I fondi per al Qaeda, Isis e
altre organizzazioni radicali continuano ad essere raccolti in questi
Paesi in molti modi, attraverso appelli sui social fino ai corrieri che
sfruttano i pellegrinaggi alla Mecca per muovere grosse somme di denaro
in contanti.
A proposito dell’istigazione all’odio religioso, il
Dipartimento di stato punta l’indice contro Riyadh sottolineando che i
libri di testo sauditi contengono riferimenti «sprezzanti e
intolleranti» nei confronti dei musulmani sciiti e dei non musulmani.
Riyadh aveva assicurato che le parti incriminate sarebbero state
completamente rimosse entro il 2014. Prima aveva garantito entro il
2008 ma poi non è cambiato nulla. Stesso discorso per le stazioni
televisive finanziate con fondi privati che continuano a trasmettere
programmi che istigano all’odio settario e all’intolleranza. Qatar e Kuwait sono sulla stessa linea.
I funzionari americani evidenziano come le “giurisdizioni permissive”
di questi due Paesi abbiamo permesso sino ad oggi la raccolta di fondi
per i gruppi terroristici in particolare per il Fronte al Nusra, il ramo
siriano di al Qaeda. Le autorità del Kuwait non hanno mai processato
un cittadino accusato del finanziamento di al Nusra. Quelle del Qatar
hanno fatto altrettanto nei confronti di due cittadini Abd al Latif al
Kawari e Saad al Kaabi responsabili di aver trasferito ingenti somme di
denaro ad al Qaeda. Eppure Barack Obama al vertice per la lotta al
terrorismo tenuto a Riyadh lo scorso aprile ha lodato gli sforzi dei
petromonarchi che pure il Dipartimento di stato nega nel suo rapporto
annuale.
A coprire le spalle ai sauditi non è solo l’Amministrazione
Obama. Anche le Nazioni Unite preferiscono tacere e incassare
finanziamenti. Riyadh ha minacciato di tagliare i fondi
all’organizzazione se non fossero stati rimossi dalla lista nera dei
gruppi che violano i diritti dei bambini nel conflitto in Yemen.
Il Segretario generale Ban Ki-moon quindi ha ceduto, rimuovendo
l’Arabia Saudita dalla lista nera. L’ha definita una delle decisioni
«più difficili e dolorose» che abbia mai preso ma, ha spiegato, «ha
dovuto considerare la possibilità che milioni di altri bambini avrebbero
sofferto in conseguenza del taglio dei fondi minacciato dall’Arabia Saudita».
Fonte
Indecenti tutti i soggetti in causa, nessuno escluso.
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