Ancora uno scambio di prigionieri tra Mosca e Kiev. Sono tornati in patria gli ucraini Jurij Soloshenko e Gennadij Afanasev, condannati in Russia per terrorismo e spionaggio e Kiev ha rimesso in libertà i due giornalisti ucraini, Elena Glishchinskaja e Vitalij Didenko, arrestati lo scorso anno a Odessa con l’accusa di separatismo, per aver partecipato al congresso della “Rada popolare di Bessarabia”, in cui si era parlato di federalizzazione dell’Ucraina. Un tema, quello della decentralizzazione, sollevato ufficialmente però da sempre più soggetti: pochi giorni fa è stata la volta della regione di Zaporozhe, ma poco prima lo avevano fatto quelle di Odessa, Zhitomir, Kirovograd, Oltrecarpazi, per non parlare naturalmente delle regioni di Donetsk e Lugansk.
Come che sia, alla Rada non hanno perso tempo a qualificare i due giornalisti odessini come “agenti russi”. A farlo, è stato il solito Anton Gerashenko, consigliere del Ministro degli interni e patron semiufficiale del famigerato sito Mirotvorets, abituato a pubblicare nomi e indirizzi di quanti (giornalisti stranieri compresi) siano considerati “terroristi filorussi, separatisti, mercenari, criminali di guerra e assassini”, esortando così esplicitamente gli squadristi dei battaglioni neonazisti a “ridurli alla ragione”.
Intanto, alla riunione ieri del Gruppo di contatto sul Donbass, a Minsk, le posizioni si sono di nuovo allontanate, dopo che Kiev ha dichiarato l’indisponibilità a venire incontro alle Repubbliche popolari sulle questioni delle elezioni e dell’amnistia per le milizie. Il pretesto è quello della “sicurezza” in vista della consultazione elettorale che, a parere della junta golpista, può essere assicurata solo dall’armamento dei rappresentanti Osce: un’eventualità che DNR e LNR considererebbero come aggressione al proprio territorio.
E le reali intenzioni di Kiev spuntano di nuovo anche sul caso dell’omicidio del “dissidente liberale” russo Boris Nemtsov, il 28 febbraio 2015 a Mosca. Il giornalista ed ex agente dell’intelligence tedesca (BND), Wilhelm Dietl, ha presentato le conclusioni del gruppo “Ost-Objektiv”, di cui fanno parte ex alti funzionari dei Servizi tedeschi e austriaci che, in questo caso, si sono consultati anche con investigatori norvegesi, danesi e ucraini. Nel rapporto si dice che, con il delitto, i Servizi di sicurezza ucraini contavano di provocare incidenti a Mosca, avanzando artificiosamente la “pista cecena”. Secondo “Ost-Objektiv”, il SBU si servì dell’ucraina Anna Duritskaja, per convincere Nemtsov alla passeggiata notturna a due passi dal Cremlino, dove fu assassinato. Per la verità, già nei primissimi giorni successivi al delitto, addirittura un amico di lunga data di Nemtsov, Sergej Markov, aveva dichiarato che “tutti gli indizi conducono a Kiev, il cui obiettivo è quello di destabilizzare la Russia”. Markov aveva accennato al fatto che la Duritskaja, partner di Nemtsov, era stata in precedenza l’amante di Juri Bereza, comandante del battaglione neonazista “Dnepr-1”. Di regola, aveva detto Markov “il killer uccide anche i possibili testimoni; ma la Duritskaja non è stata toccata”.
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