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10/06/2016

Libia - Sirte vicina alla liberazione, ma l'Isis non è sconfitto

Le forze governative libiche sono entrate a Sirte, roccaforte dello Stato Islamico nel paese. Questa mattina i militari hanno raggiunto il centro della città: cadrà, dicono fonti militari, entro pochi giorni. Il governo ha assunto il controllo della costa, così da impedire ai miliziani islamisti di fuggire via mare.
 
Dopo Palmira in Siria e Ramadi in Iraq, con le controffensive sulla siriana Raqqa e l’irachena Fallujah in corso, l’Isis non è mai stato sotto pressione come oggi. 

L’avanzata libica è stata festeggiata subito dagli Stati Uniti (che stanno pesantemente bombardando la zona per coprire le truppe di terra libiche), sia per la probabile vittoria militare che per il significato politico che la città riveste, avendo dato i natali all'ex dittatore Gheddafi.

A ciò si somma il raggiungimento del primo vero risultato militare archiviato dal Gna, il governo di unità nazionale voluto dall'ONU e ad oggi preda dello scontento interno: “L’operazione non durerà ancora molto – ha detto Mohamad Ghassri, portavoce delle forze governative – Penso che potremo annunciare la liberazione di Sirte entro due o tre giorni”. La città era caduta in mano islamista a febbraio del 2015, qualche mese dopo l’ingresso a Derna.

Il punto che il premier Serraj potrebbe segnare a breve ne rafforza la posizione, sia all’interno che all’esterno. Soprattutto alla luce delle dichiarazioni rilasciate la scorsa settimana: la Libia non vuole un intervento militare esterno, un’operazione a cui l’Europa punta da tempo sia per mettere in sicurezza (e quindi controllare) i pozzi petroliferi, sia per fermare i flussi di profughi e migranti che dal paese nordafricano si imbarcano per le coste italiane. Dichiarazioni che si scontrano con i continui rapporti che arrivano dalla Libia e che raccontano di truppe statunitensi, britanniche e francesi già attive sul territorio.

Ovviamente la ripresa di Sirte, sicuramente importante, non segnerà la fine del “califfato” nel paese. Il timore è che si possa assistere ad uno scenario simile a quello attuale iracheno: alla perdita di territori strategici, l’Isis reagisce con attacchi terroristici nelle zone che non controlla ma dove sa arrivare con facilità, come Baghdad e i suoi quartieri sciiti, target di numerosi attentati e di centinaia di morti. In Libia potrebbe accadere lo stesso: attacchi contro giacimenti petroliferi, in particolare, soprattutto nei pressi di città come Misurata e Tripoli.

Inoltre, da tempo lo Stato Islamico è in grado di attrarre nuovi miliziani nel territorio libico, molti dei quali provenienti dai paesi sud-sahariani e altri ritiratisi dai campi di battaglia siriano e iracheno per muoversi verso le nuove roccaforti. Ad oggi, secondo i dati in mano alle intelligence straniere, l’Isis godrebbe di circa 5mila miliziani in Libia, un numero che forse ne sottostima la reale portata e che comunque potrebbe rafforzarsi dopo l’ordine impartito da al-Baghdadi: in caso di eccessiva pressione tra Siria e Iraq, meglio ritirarsi verso la Libia.

Ancora una volta a pagare le spese delle operazioni in corso contro lo Stato Islamico sono i civili: nei giorni scorsi almeno 6mila famiglie hanno lasciato Sirte, cercando di fuggire da quella che si prospetta come la battaglia finale. Secondo quanto riportato dall’Onu, in moltissimi si sono rifugiati in scuole, edifici pubblici, università nel tentativo di salvarsi dalla furia islamista. Il bilancio totale è impressionante: sarebbero circa 435mila gli sfollati interni in Libia, su una popolazione totale di sei milioni.

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