Le forze governative libiche sono entrate a Sirte, roccaforte dello
Stato Islamico nel paese. Questa mattina i militari hanno raggiunto il
centro della città: cadrà, dicono fonti militari, entro pochi giorni. Il
governo ha assunto il controllo della costa, così da impedire ai
miliziani islamisti di fuggire via mare.
Dopo Palmira in Siria e Ramadi in Iraq, con le controffensive
sulla siriana Raqqa e l’irachena Fallujah in corso, l’Isis non è mai
stato sotto pressione come oggi.
L’avanzata libica è stata
festeggiata subito dagli Stati Uniti (che stanno pesantemente
bombardando la zona per coprire le truppe di terra libiche), sia per la
probabile vittoria militare che per il significato politico che la città
riveste, avendo dato i natali all'ex dittatore Gheddafi.
A ciò si somma il raggiungimento del primo vero risultato militare
archiviato dal Gna, il governo di unità nazionale voluto dall'ONU e ad oggi preda dello scontento interno: “L’operazione non
durerà ancora molto – ha detto Mohamad Ghassri, portavoce delle forze
governative – Penso che potremo annunciare la liberazione di Sirte entro
due o tre giorni”. La città era caduta in mano islamista a febbraio del 2015, qualche mese dopo l’ingresso a Derna.
Il punto che il premier Serraj potrebbe segnare a breve ne rafforza
la posizione, sia all’interno che all’esterno. Soprattutto alla luce
delle dichiarazioni rilasciate la scorsa settimana: la Libia non
vuole un intervento militare esterno, un’operazione a cui l’Europa
punta da tempo sia per mettere in sicurezza (e quindi controllare) i
pozzi petroliferi, sia per fermare i flussi di profughi e migranti che
dal paese nordafricano si imbarcano per le coste italiane.
Dichiarazioni che si scontrano con i continui rapporti che arrivano
dalla Libia e che raccontano di truppe statunitensi, britanniche e
francesi già attive sul territorio.
Ovviamente la ripresa di Sirte, sicuramente importante, non
segnerà la fine del “califfato” nel paese. Il timore è che si possa
assistere ad uno scenario simile a quello attuale iracheno:
alla perdita di territori strategici, l’Isis reagisce con attacchi
terroristici nelle zone che non controlla ma dove sa arrivare con
facilità, come Baghdad e i suoi quartieri sciiti, target di numerosi
attentati e di centinaia di morti. In Libia potrebbe accadere lo stesso:
attacchi contro giacimenti petroliferi, in particolare, soprattutto nei
pressi di città come Misurata e Tripoli.
Inoltre, da tempo lo Stato Islamico è in grado di attrarre
nuovi miliziani nel territorio libico, molti dei quali provenienti dai
paesi sud-sahariani e altri ritiratisi dai campi di battaglia siriano e
iracheno per muoversi verso le nuove roccaforti. Ad oggi,
secondo i dati in mano alle intelligence straniere, l’Isis godrebbe di
circa 5mila miliziani in Libia, un numero che forse ne sottostima la
reale portata e che comunque potrebbe rafforzarsi dopo l’ordine
impartito da al-Baghdadi: in caso di eccessiva pressione tra Siria e
Iraq, meglio ritirarsi verso la Libia.
Ancora una volta a pagare le spese delle operazioni in corso contro lo Stato Islamico sono i civili: nei
giorni scorsi almeno 6mila famiglie hanno lasciato Sirte, cercando di
fuggire da quella che si prospetta come la battaglia finale.
Secondo quanto riportato dall’Onu, in moltissimi si sono rifugiati in
scuole, edifici pubblici, università nel tentativo di salvarsi dalla
furia islamista. Il bilancio totale è impressionante: sarebbero circa
435mila gli sfollati interni in Libia, su una popolazione totale di sei
milioni.
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