Quando un avversario è bravo occorre riconoscerlo e Renzi, indiscutibilmente ha delle qualità:
è un combattente che non si arrende mai, è rapidissimo nel capire le
situazioni e nel reagire, è un ottimo comunicatore e, se non ha visione
strategica, non gli manca furbizia tattica e lo ha dimostrato una volta
di più. Mi spiego.
Il Piano A di Renzi prevedeva la vittoria al Referendum e la marcia trionfale successiva. E’ andata come è andata ed è passato al piano B: restare il segretario
che fa le liste e che si ripresenta come candidato Presidente del
Consiglio, sterminando gli oppositori nei gruppi parlamentari. Ma per
fare questo aveva bisogno del voto subito evitando l’insidiosissimo
appuntamento con il congresso del partito, dove le fila degli oppositori
(Franceschini, Bersani, Emiliano, Rossi, forse Martina) vanno
infittendosi di ora in ora. Non fosse stato per la scadenza della Corte
Costituzionale, avrebbe chiesto il voto a gennaio.
Ma, come è noto, Mattarella si è messo
per traverso con la storiella della nuova legge elettorale. Il
Presidente ha un forte potere discrezionale in materia (dovremmo pensare
di regolamentarlo, perché è decisamente troppo ampio), gioca su una
serie di ottimi pretesti, ha dalla sua la voglia di vitalizio dei
parlamentari e le importanti nomine da fare, ma, soprattutto, ha dietro
di sé tutti i poteri forti europei che non vogliono elezioni italiane a
rischio 5 stelle, prima che votino Francia e Germania e questo in un
momento in cui, per la crisi bancaria, non è il caso di irritare Ue e
Bce.
Dunque, a questo punto, le elezioni
subito sfumano e deve fare il congresso, probabilmente non si vota prima
di settembre e, forse, si può tirare la corda sino al 2018 (anche se
Renzi farà di tutto per non superare l’autunno).
L’uomo di Rignano non è tipo da scoraggiarsi ed ecco pronto il piano C:
restare segretario, varare regole da legge truffa per il congresso e
restare padrone del partito. Le regole sono tali da renderlo controllore
monopolistico del voto dei circoli e non si può dire che le garanzie
abbondino. D’altro canto, con la maggioranza di cui gode in Direzione,
Renzi le regole se le cambia come gli pare, inoltre può sempre ricattare
gli altri con la minaccia di una scissione (e fa già circolare i
sondaggi sui voti che otterrebbe da solo).
I suoi avversari non esistono:
Cuperlo è una realtà anagrafica, Bersani ha la velocità di un bradipo,
Franceschini è capace di concepire congiure di corte, ma in uno scontro a
viso aperto, vale meno di un soldo bucato e fuori corso. Il loro
destino è quello di essere massacrati e uscire di scena alle elezioni
dove non verranno ripresentati.
L’unico che potrebbe fare qualcosa
sarebbe D’Alema che, non a caso, è stato uno dei più efficaci
propagandisti del No, ma il “conte Max” ha un difetto: quando vince,
quando dovrebbe schiacciare l’avversario, resta a dirsi “Massimo sei
bravo!”, si compiace della sua abilità e perde il momento magico. Anche
ora sta accadendo: subito dopo il risultato referendario, ha teso la mano a Renzi, facendogli capire che non ne voleva la defenestrazione e
quasi si è proposto come mediatore fra il segretario ed i suoi
oppositori.
Pessima idea: Renzi lo ha snobbato e non
si degnato neppure di rispondergli. Sinché è in tempo, D’Alema può fare
solo una cosa: avviare la scissione, tirarsi dietro quel corteo di
molluschi dei bersaniani e, possibilmente, far mancare a Gentiloni i
voti al Senato. Potrebbero rendersi inevitabili le elezioni, ma, a
questo punto con le regole del nuovo Consultellum o con quelle del
vecchio se passasse il “lodo foglio”.
E questo potrebbe bastare per portare in Parlamento una pattuglia di
suoi uomini che sarebbero sempre di più di quelli che gli lascerebbe il
fiorentino, che intanto sta lavorando ad una nuova intesa con
Berlusconi.
Filtrano voci di un nuovo sistema
elettorale sul modello del Mattarellum: una quota di proporzionale (che
forse basta al Cavaliere) ed un’altra di collegi uninominali. Un
sistema sicuramente peggiore del Procellum e dell’Italicum, che, in un
sistema tripolare, non garantirebbe neppure la vittoria di uno dei
competitori, ma che per Renzi avrebbe diversi vantaggi.
In primo luogo metterebbe in difficoltà
il M5s che se la cava sempre male in dimensione locale, quando
l’immagine del candidato prevale su quella del simbolo. In secondo
luogo, anche se il suo partito non riuscisse ad avere la maggioranza
assoluta dei seggi (cosa possibilissima sia alla Camera che al Senato),
potrebbe sempre ripiegare sull’accordo con Fi, mentre il M5s non ha
alleati (almeno nelle aspettative). Per ora questo gli garantirebbe la
sopravvivenza a Palazzo Chigi.
Un piano che funzionerà? Le variabili
sono molte, soprattutto perché siamo nel pieno del sisma, però intanto
va riconosciuto che le sta provando tutte. Chapeau!
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