A quanto pare, dopo il M5s, Sel, il Pci (già Partito dei comunisti italiani) ora anche Berlusconi si pronuncia a favore del reddito di cittadinanza.
Tanta convergenza appare un po’ sospetta, vi pare? Magari varrebbe la
pena di chiedersi se tutti intendano la stessa cosa. Tutti fanno
riferimento “all’Europa” ma in Europa esistono sistemi abbastanza
diversi e l’indicazione chiarisce poco. Qui non vogliamo passare in
rassegna le diverse soluzioni adottate, ci limiteremo solo ad alcune
osservazioni generali.
Partiamo da una premessa:
se si sta pensando ad un modello una tantum per venire incontro alle
situazioni di sofferenza sociale esistenti, ad esempio un assegno di
5-600 euro per 18 mesi, anche allo scopo di riattivare il mercato
interno e permettere a molte aziende di ripartire ed assumere, non
avremmo nulla da eccepire, salvo fare i conti per capire dove prendiamo i
soldi (ovviamente distraendoli da altre destinazioni attuali). Sin qui
tutto bene, ma questo non è il reddito di cittadinanza, reddito
garantito o comunque lo si voglia chiamare. Con questa espressione si
intende un sussidio stabilmente concesso a chi non raggiunga un certo
livello ritenuto necessario alla sopravvivenza. In alcuni casi il
contributo è concesso per un certo periodo di tempo (in genere uno o due
anni), in altri non prevede particolari limiti di tempo, ma il
beneficiario deve accettare le offerte di lavoro che gli vengono fatte
(magari con la facoltà di rifiutare le prime due offerte). In alcune
situazione il reddito non è compatibile con altre forme di reddito,
lavoro incluso, in altre l’assegno statale è una integrazione del
salario da un lavoro precario o comunque sottopagato. Come si vede le
forme sono diverse, e quindi ma qui facciamo un discorso in generale su
uno schema base che prevede un reddito costante per un tempo prolungato.
Il primo problema che si pone è se l’assegno sia
compatibile o no con un altro reddito da lavoro ovviamente basso.
Naturalmente l’assegno statale si immagina sia piuttosto contenuto,
diciamo 5 o 600 euro al mese con i quali nessuno può vivere, per cui,
proibire che contemporaneamente si possa svolgere altro lavoro significa
solo incrementare il lavoro nero e spingere il lavoratore ad accettare
lavori senza versamenti di sorta. Immaginiamo invece che si conceda di
affiancare un lavoro all’assegno statale. Il risultato sarebbe solo
quello di spingere i datori di lavoro a tenere bassi i salari e
l’assegno avrebbe solo una funzione adattativa del lavoratore alle
condizioni di sotto salario. Peggio ancora se il reddito statale fosse a
tempo: nessun datore di lavoro accetterebbe di assumere il lavoratore
integrandone il salario essendo molto più facile licenziarlo e trovare
un altro dipendente che goda di un periodo di reddito garantito.
In ogni caso, il risultato sarebbe una ulteriore spinta al sotto salario, magari attraverso i voucher, spostando parte dell’onere adattativo sulle casse pubbliche.
In secondo luogo, si pone il problema di chi avrebbe diritto al
reddito statale; andando subito al sodo: solo cittadini italiani o anche
immigrati regolari? Va da sé che se il contributo fosse dato agli
immigrati, questo scatenerebbe da un lato un’ulteriore spinta ad
immigrare nel nostro paese, e dall’altro prevedibilmente rafforzerebbe
le spinte xenofobe. Escludere gli immigrati significherebbe creare una
stratificazione sociale per cui ad una massa di bianchi poveri ma
assistiti, corrisponderebbe una sotto classe di immigrati costretti a
lavorare con un reddito ancora inferiore per reggere la concorrenza
degli italiani.
C’è poi il problema della fascia di età alla quale
corrispondere il reddito. In primo luogo da che età? Anche agli studenti?
Mi farebbe piacere ma non facciamo prima a ripristinare il presalario
abolito negli anni settanta su pressione del Pci? A tutti gli ultra
diciottenni? Anche a un figlio di papà che però risulti vivere da solo?
E’ ovvio che oltre i sessanta si tratterebbe semmai di aumentare le
pensioni sociali, ma che facciamo con il cinquantenne che ha perso il
lavoro e stenta a trovarne un altro? Magari in questo caso si potrebbe
procedere con una sorta di prepensionamento. Insomma, qui il problema è
quello dei trenta – quarantenni che non lavorano ed è da capire se questa
sia la strada giusta.
C’è poi un altro problema da risolvere: i contributi pensionistici da chi sarebbero versati? Il datore di lavoro li verserebbe sulla base
del salario che versa e che abbiamo detto essere tendenzialmente basso,
mentre appare poco immaginabile che lo Stato paghi gli oneri sul
reddito garantito perché si tratterebbe di una spesa aggiuntiva
insostenibile e poco giustificabile: ti do un reddito in cambio di
nessun lavoro, poi ti metto su anche i versamenti pensionistici, per
cui, in teoria un cittadino che nascondesse altri redditi, passerebbe
dalla condizione di assistito in servizio a quella assistito in
pensione.
Insomma stiamo ponendo le premesse della sostanziale abolizione del sistema pensionistico
(salvo che per i pochi fortunati che riusciranno ad avere un lavoro più
o meno regolare) e per una generazione per la quale si prepara una
vecchiaia di stenti.
Ancora: gli assistiti che fossero richiesti per fare un lavoro
pubblico dovrebbero farlo senza compenso? Infatti, alcuni propongono il
reddito garantito in cambio di lavori di interesse sociale e con questo
pensano di aver avuto una pensata geniale. Mi spiace deluderli:
esperienza fatta e fallita 40 anni fa con la legge 285/77 che fu un
autentico disastro. Non è il caso di ripetere.
Non mi sembra che quella del reddito garantito sia la scelta migliore
e tutto sommato, pare che si tratti di una misura antipopolare, utile
solo a far digerire il sistema di diseguaglianze che si è formato. Ma
questo fa parte delle considerazioni politiche che rinviamo ad un
prossimo pezzo.
Questo mondo sta diventando decisamente strano:
pretendiamo dai giovani lavoro senza retribuzione (fra stage, tempo di
lavoro a scuola, volontariato ecc.) però si pensa di dare un reddito in
cambio di nessun lavoro che è comunque una forma di marginalizzazione
delle nuove generazioni.
I giovani non devono chiedere reddito ma lavoro.
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