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01/03/2017

Come sarà il mondo con Trump? Sabato convegno a Roma

Quali contraddizioni apre e quali conseguenze avrà sulle relazioni internazionali la vittoria di Donald Trump? Su questo, il prossimo sabato 4 marzo, a Roma, si terrà una conferenza pubblica di dibattito organizzata dalla Rete dei Comunisti, un momento di confronto che in qualche modo dà seguito al forum tenutosi a dicembre sul cambiamento della fase storica.

Alla Conferenza interverranno Ramón Labañino Salazar, Vicepresidente dell’Associazione Nazionale degli Economisti di Cuba, nonché uno dei cinque cubani detenuti ingiustamente nelle carceri statunitensi, Joaquin Arriola (Universidad del Pais Vasco), Luciano Vasapollo (Rete dei Comunisti), Bruno Steri (Partito Comunista Italiano), Giorgio Cremaschi (Eurostop), i collettivi comunisti Militant e Genova City Strike.

L’entrata in scena e l’elezione di Donald Trump suggellano, sanzionano una tendenza di natura internazionale che in realtà si è già ampiamente affermata negli anni scorsi: la globalizzazione è finita, e da tempo.

Trump non è la causa di un innalzamento della tensione sul piano interno statunitense e su quello internazionale, ma è il risultato di questa accresciuta tensione che ha riattizzato le mobilitazioni da parte dei membri delle minoranze etniche all’interno del paese. Come l’elezione di Trump, infatti anche il nuovo ciclo di lotte che attraversano gli USA (al netto delle reti legate direttamente al Partito Democratico e alla fondazioni legate a Soros) è il risultato di una profonda crisi del modello statunitense. La disoccupazione è in costante crescita e l'aumento delle diseguaglianze sociali, associate al fallimento delle politiche sociali delle precedenti amministrazioni, riportano alla luce vecchie contraddizioni e discriminazioni mai risolte dal "sogno americano".

La vicenda Trump quindi rappresenta la fenomenologia di un passaggio storico che non va sottovalutato e che è caratterizzato dall’accentuazione della competizione globale tra poli geopolitici e potenze di diversa natura.

Da uno scenario di competizione/collaborazione tra potenze e blocchi geopolitici si sta passando ad un altro scenario caratterizzato da uno scontro diretto ed aspro tra interessi irriducibili, che rende sempre più inefficaci e impossibili quelle istituzioni globali, quelle camere di compensazione che hanno caratterizzato la fase precedente. Il nuovo ordine mondiale, contraddistinto dal “tutti contro tutti”, mette in discussione in primo luogo i trattati multinazionali di diverso tipo – dal Fmi al Wto, passando per il Ttip e per il Tpp fino alla Nato – che hanno segnato la fase storica seguita alla Seconda Guerra Mondiale.

La crisi sistemica del capitalismo e la fine di un assetto che ha fugacemente segnato la breve fase seguita alla sconfitta e allo scioglimento del Campo Socialista hanno letteralmente dinamitato le élites liberali (di centrodestra o centrosinistra, non fa differenza) che hanno gestito Europa e Stati Uniti negli ultimi decenni. Le vecchie classi dirigenti sono state investite da una forte crisi di egemonia perdendo il controllo, almeno in parte, delle società che hanno a lungo gestito, e si trovano oggi a dover contrastare, spesso a partire da una condizione di debolezza, nuovi fenomeni politici espressione soprattutto delle classi medie impoverite dalla crisi ma anche di spezzoni delle classi alte tagliati fuori dalla cosiddetta globalizzazione.

A livello internazionale si affermano politiche nazionaliste sul fronte ideologico e protezioniste su quello economico, mentre si assiste all’aumento della spesa militare e alla crescente militarizzazione di ampi spezzoni dell’economia pubblica e privata.

Al tempo stesso, come detto, la Nato sembra entrare in crisi a causa del fatto che l’Unione Europea non può più accettare la tradizionale supremazia da parte di Washington. Già da molti anni gli Usa non hanno potuto disporre a piacimento, come in passato, del loro principale strumento di influenza e azione militare. E ora i nuovi assetti internazionali determinati dal lento ma evidente declino degli Stati Uniti e dall’affermazione di nuove potenze di caratura internazionale – come Russia e Cina – e regionale – come le petromonarchie sunnite o la Turchia – rendono sempre più complicato per Washington mantenere intatta la sua proiezione ed egemonia militare e politica in diverse aree del globo.

Viviamo una fase contraddistinta dalla mancanza e impossibilità di alleanze durature tra i vari soggetti della competizione globale, e dalla formazione di alleanze spurie, a geometria variabile, soggette a continui rivolgimenti di fronte.

Questo elemento e l’assenza di un Campo Socialista – che è altra cosa rispetto all’esistenza di paesi in cui movimenti progressisti e rivoluzionari, con tutte le contraddizioni e le difficoltà del caso, hanno avviato esperimenti di transizione al socialismo – delegittimano totalmente ogni visione o ipotesi campista, che rischia di portare le forze comuniste fuori strada, di schiacciarle sugli interessi di uno dei poli della competizione globale.

Uno dei quali, l’Unione Europea, è data spesso dagli analisti e dai commentatori come in via di disfacimento sull’onda delle contraddizioni interne tra paesi, tra interessi inconciliabili. Eppure – anche se occorre non essere deterministi e valutare anche la possibilità che l’Ue non regga il livello delle contraddizioni che è costretta ad affrontare – tutta la storia del processo di integrazione europeo ha finora dimostrato non solo di essere sopravvissuto alle varie crisi, ma addirittura di averne beneficiato. Ed oggi di fronte alla possibilità concreta che le ingerenze di Trump e le forze centrifughe di vario tipo mettano in discussione lo strumento, il contenitore, il contesto di cui le classi capitalistiche europee si sono dotate nei decenni scorsi per difendere e affermare i propri interessi all’interno e all’esterno dell’Unione Europea, è prevedibile una ulteriore accelerazione dei processi di unificazione, centralizzazione, gerarchizzazione. Il rilancio e la concretizzazione dell’esercito europeo all’indomani della Brexit e dell’elezione di Donald Trump dimostrano da questo punto di vista che le classi dirigenti europee sono più che coscienti dell’innalzamento del livello delle contraddizioni, e quindi dello scontro, nei confronti dei propri competitori internazionali.

E’ quanto mai necessario respingere quindi letture “crolliste” a proposito dei destini dell’Unione Europea. Così come occorre respingere e contrastare la chiamata alle armi, da parte dell’imperialismo europeo, indirizzata a quei settori sociali che, impauriti dall’aggressività delle politiche protezionistiche e nazionalistiche dell’amministrazione statunitense e intimoriti dall’inasprimento di una crisi economica tutt’altro che passeggera, possono essere portati a credere che l’antidoto possa essere rappresentato da un sostegno pieno e convinto ad una classe dirigente europea, ad una Unione Europea che si ammanta nonostante tutto di quei valori liberali e di civiltà opposti strumentalmente al ‘dispotismo russo’ o all’autoritarismo fascistoide statunitense.

Il rischio è quello di una riproposizione su scala continentale, da parte delle elites liberali europee, del deleterio meccanismo dell’antiberlusconismo. Se in Italia, nei decenni scorsi, in nome del contrasto e del fronte comune contro Silvio Berlusconi le sinistre europeiste hanno imposto al proprio popolo una politica di rinuncia e di collateralismo nei confronti dei diktat del processo di unificazione europeo – austerity, cancellazione della democrazia rappresentativa, attacco al welfare – con le conseguenze che conosciamo, ora le classi dirigenti europee sembrano utilizzare la già indetta crociata contro il Trumpismo per subordinare ai propri interessi settori sociali e politici che farebbero invece bene a perseguire una propria via indipendente e di classe.

Uno scenario simile pone le forze comuniste, anticapitaliste e antimperialiste di fronte ad una scelta di estrema responsabilità: sostenere le proprie borghesie, le proprie classi dirigenti, i propri stati nello scontro con i competitori internazionali, oppure lavorare alla ricomposizione di un blocco sociale in grado di rompere con l’imperialismo di marca europea e di inceppare l’infernale meccanismo della tendenza alla guerra?

Per quanto ci riguarda, rifuggendo ogni approccio da tifoseria, occorre lavorare da subito per contrastare il tentativo da parte del progetto imperialista europeo di beneficiare della legittimazione concessagli dal carattere populista e xenofobo del nuovo presidente statunitense, a partire dalla intensificazione della lotta contro l’esercito europeo – oltre che contro la Nato – e per la rottura dell’Unione Europea e dell’Eurozona.

Per confrontarsi su questo l'appuntamento è a Roma sabato 4 marzo dalle ore 10.00 al centro congressi "Cavour" (via Cavour 50 A).

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