Messaggi di cordoglio sono giunti alla famiglia e al partito di Jalal
Talabani dagli alleati di sempre così come da tutti i principali
avversari politici. Il presidente kurdo-iracheno ha proclamato il lutto
nazionale e il giorno successivo lo stesso premier iracheno al Abadi ha
deciso di seguire l’esempio di Barzani. Nelle stesse ore i maggiori
leader mondiali hanno ricordato con parole di stima l’ex presidente
dell’Iraq e fondatore dell’Unione Patriottica del Kurdistan (Puk).
Talabani, dal 2005, anno della
sua elezione alla presidenza dell’Iraq, aveva assunto un ruolo di
mediazione tra le istanze kurde e quelle irachene e, grazie ai legami di
lungo corso con Teheran, era riuscito a cementare una rete di alleanze
trasversali che attraversava i confini del Krg passando per
Sulaymaniyya. L’eredità dell’anziano leader rimane oggi nelle
mani del suo partito, nato alla metà degli anni ’70 come scissione del
Kdp oggi al Governo, della moglie e dui due figli. Il primo, Bafel, uomo
di intelligence fuori dalla scena politica ufficiale e il secondo,
Qubad, attuale vice primo ministro del Governo regionale del Kurdistan
iracheno.
Una linea di successione solida che
dovrebbe portare a non temere uno sconvolgimento degli equilibri interni
alla galassia politica kurdo-irachena nonostante la dipartita di
Talabani. Il contesto in cui la scomparsa è avvenuta rischia, però, di
cambiare in maniera sostanziale l’evolversi degli eventi. Il
voto referendario del 25 settembre ha consolidato il potere del Kdp e
della famiglia Barzani, riportando nettamente il potere decisionale
verso Erbil.
Il Puk e le altre forze di opposizione,
come Gorran ad esempio, dopo un’iniziale titubanza hanno deciso di non
opporsi al voto e schierarsi a favore del nuovo progetto di
indipendenza. Nonostante questo, gli oneri e gli onori della
vittoria sembrano essere nelle sole mani del governo in carica che, con
la legittimità acquisita con il voto, potrebbero decidere di restringere
ulteriormente gli spazi di apertura verso le opposizioni. Le
prime avvisaglie si sono già palesate. La costituzione di una nuova
entità, il Political Leadership of Kurdistan – Iraq, che gestisca il
processo post-referendario ha incontrato l’opposizione sia di Gorran sia
del Puk che, per bocca della moglie di Talabani, Hero Ibrahim Ahmed, ha
definito l’istituzione del nuovo organo come un “grave errore” dovuto
all’errata valutazione della situazione contingente.
La dirigenza del Krg ha, però,
proseguito per la sua strada mentre all’orizzonte si profilano le
elezioni del prossimo mese. Dopo più di due anni di rinvii, il primo
novembre dovrebbero, infatti, tenersi le elezioni parlamentari e
presidenziali per il governo della regione autonoma. Non ancora
un atto di secessione, ma un tentativo da parte di Barzani e del Kdp di
capitalizzare il sostegno ottenuto con il referendum. In questo
senso, la debolezza del Puk, incapace in questa fase di essere reale
alternativa al partito di governo, potrebbe essere amplificata dallo
sbandamento dovuto alla scomparsa di Talabani.
A questo si aggiunga che il contesto d’area non è favorevole alla stabilità politica interna del Krg. L’interdipendenza
con gli eventi che coinvolgono la popolazione curda negli altri
territori dell’area, in Siria così come in Turchia o in Iran, la
competizione tra il modello proposto dal Kdp e quello diffusosi grazie
all’azione del Pkk e del Pyd e la chiusura totale dei confini a seguito
del risultato referendario pongono i partiti locali davanti a scelte
politiche cruciali.
Per un’eventuale rottura con l’attuale (e probabilmente anche futura) maggioranza di governo, le opposizioni, e il Puk in particolare, necessiterebbero di solide relazioni interne e internazionali, di un progetto organico per fare fronte ai numerosi bisogni della società locale e, probabilmente, anche di un leader capace di rendere questo processo accettabile dentro e fuori dai confini del paese.
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