di Stefano Mauro
L’attacco, con una serie
di raid aerei e missilistici, nella notte tra venerdì e sabato scorso
su tutto il territorio siriano – Damasco, Palmira e la zona del Golan –
ha riacceso le tensioni in tutta l’area mediorientale. Sembra, secondo
la tesi della stampa israeliana, che “Iran e Israele stiano testando le
loro capacità e stiano portando avanti un confronto a distanza in
territorio siriano”.
L’attenzione della stampa israeliana non sembra essere puntata sul
bombardamento, ma soprattutto, sull’abbattimento di un caccia di Tel
Aviv colpito dalla contraerea siriana.
Il quotidiano Haaretz in un editoriale di Chemi Shalev ha
scritto, infatti, che “importa poco di come e quanto Israele abbia
colpito la Siria, ma quello che rimarrà è l’immagine della carcassa
fumante del F-16 israeliano che ha dato un duro colpo all’immagine e
all’imbattibilità dell’aeronautica di Tel Aviv”.
La Siria, sempre secondo la stampa israeliana, sembra “essere
passata dalle minacce ai fatti” ed ha risposto in maniera efficace ed
inaspettata all’ennesimo attacco contro il suo territorio. Le
stesse dichiarazioni “trionfali” della DCA (contraerea siriana) sono
state accolte con entusiasmo da parte di tutto l’asse della Resistenza.
Libano, Iran, Hezbollah Hashd Shaabi iracheno (Unità Mobilitazione
Popolare a maggioranza sciita) e resistenza palestinese erano concordi
nel mettere in evidenza che l’abbattimento di un caccia israeliano
cambia gli equilibri nella regione visto che Israele ha perso il dominio
dei cieli in Medio Oriente.
Una risposta chiara, da parte di Bashar Al Assad, alle aggressioni di
queste ultime settimane. La Siria, infatti, è stata l’obiettivo di
attacchi da parte di americani, israeliani e turchi: campagne ed azioni
militari che cercano di compensare le sconfitte di questi ultimi mesi
legate alla volontà di Washington di dividere il territorio siriano in
maniera permanente.
Secondo Damasco e Mosca, per voce dello stesso ministro degli esteri Lavrov, “gli USA continuano ad armare, direttamente o attraverso le loro milizie, Hayat Tahrir Al Sham
(coalizione di gruppi con a capo Al Nusra, ndr)”. Un jet russo SU- 25 è
stato colpito dalle milizie jihadiste nella zona di Idlib grazie, ad
esempio, a sofisticati sistemi di missili terra-aria di produzione
americana con l’obiettivo di far capire a Damasco e Mosca che i cieli
siriani non sono più sicuri per i loro aerei.
In quest’ottica di destabilizzazione e nel tentativo di
essere uno dei principali protagonisti dell’area si può leggere la
strategia di Tel Aviv. “Israele cerca di essere presente –
secondo le parole di Abdel Bari Atwan sul quotidiano online Rai Al Youm –
al tavolo dei negoziati per il futuro della Siria e del Vicino Oriente
dopo la caduta di Daesh”. Uno degli obiettivi prioritari della politica israeliana è quella di isolare l’Iran, la cui influenza è cresciuta notevolmente nella regione, e di contrastarlo, insieme all’Arabia Saudita, principalmente in Siria e Libano.
“Israele vuole la pace – ha dichiarato il premier Netanyahu in
seguito al consiglio di crisi dopo i fatti di sabato – ma noi
continueremo a difenderci dai tentativi dell’Iran di posizionarsi in
Siria o altrove, minacciandoci”. La motivazione dell’attacco di
sabato, relativa allo sconfinamento di un drone iraniano nello spazio
aereo israeliano, è stata definita “ridicola e banale” dalle stesse
autorità russe che controllano quei cieli. Sabato, al
contrario, il dipartimento di stato USA ha sostenuto il diritto sovrano
di Tel Aviv di “difendersi contro le attività militari iraniane in Siria, che rappresentano una minaccia continua alla sicurezza di Israele”.
Sul versante libanese le cose non sembrano essere meno tranquille.
Alle minacce del ministro della difesa israeliano, Avigdor Lieberman,
sulla sovranità del blocco 9 (ricco di idrocarburi ed in territorio
libanese) e sulla costruzione del muro lungo il confine settentrionale, è
arrivata la risposta del comandante delle forze armate libanesi Joseph
Aoun. “Siamo pronti a rispondere in qualsiasi maniera, anche
militarmente, alla costruzione del muro che viola gli accordi ONU” – ha
dichiarato sul quotidiano Al Akhbar – “visto che non si tratta di un contenzioso, ma della difesa della nostra sovranità territoriale”.
Frasi e dichiarazioni che non fanno presagire niente di buono.
Secondo Atwan, in caso di conflitto, “Israele si troverebbe a combattere
su numerosi fronti (Libano, Siria e Gaza) con esiti che non sarebbero
così sicuri”, soprattutto alla luce dei fatti dello scorso sabato.
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