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La Lega e il Movimento 5 Stelle sono certamente i grandi vincitori di queste elezioni.
Il Movimento 5 Stelle è passato da 8,6 milioni di voti (25,5%) a 10 milioni (32,3%). La Lega, che ha avuto un brutto punteggio nel 2013, è passata da 1,3 milioni (4%) a 5,4 milioni (17,6%). È lei che garantisce il suo risultato alla coalizione di “centro-destra” che guadagna quasi 8 punti dal 29,18% al 36,9%, mentre Forza Italia perde 3 milioni di voti e passa da 7,3 milioni (21, 5%) a 4,3 milioni (14%). Oggi l’Italia è divisa in due: blu al Nord, giallo al Sud. Il Movimento 5 Stelle vince tutti i seggi uninominali in Sicilia e prende oltre il 50% a Napoli. Il PD, che realizza il suo risultato peggiore (18,7%), riesce nell’impresa di perdere due delle storiche roccaforti rosse: Umbria ed Emilia Romagna. La coalizione di “centro-sinistra” è passata dal 29,5%* al 23.01% e all’interno della coalizione il PD, arrivato al 25%, ha perso più di 6 punti.
Questa mappa è in parte quella di un’Italia dominata dai populismi e dalla xenofobia, dalla paura e dall’aggressività, ma è anche quella di un’Italia che rifiuta la politica portata avanti dal centro-destra e dal centro-sinistra e ha votato in maniera massiccia per il Movimento 5 Stelle. Le politiche anti-sociali, l’abbandono del territorio agli interessi particolari, la collusione tra amministrazioni e criminalità organizzata hanno esacerbato la rabbia.
La strumentazione del razzismo da parte delle destre populiste, della xenofobia e del “pericolo immigrazione” da parte di tutte le principali forze politiche, hanno permesso il risultato senza precedenti della Lega, un partito apertamente razzista. Il suo leader Salvini ha chiesto di sgomberare le strade dagli immigrati: ricordiamo che un ex candidato della Lega recentemente si è impegnato in una caccia ai migranti con armi da fuoco nelle strade di Macerata. È al Nord, piuttosto prospero economicamente e dove i servizi pubblici funzionano molto meglio, che il voto per la Lega è il più forte. Questo voto non è essenzialmente popolare, non è solamente la reazione di una classe vittima della deindustrializzazione, è anche un voto della classe media e di una parte dell’élite economica, di una classe di piccoli e medi imprenditori. Va anche detto che, nel Nord, la Lega amministra dei territori (città e regioni) da diversi decenni. Il che le conferisce una sorta di “rispettabilità”.
Le regioni povere del Sud hanno votato invece massicciamente per il Movimento 5 Stelle, percepito come l’unico movimento anti-sistema capace di rimandarli “tutti a casa”, come direbbe Beppe Grillo. I “Cinque Stelle” sono riusciti ad incanalare la rabbia contro la violenza sociale e ambientale, contro la corruzione delle élite e le collusioni mafiose. Questo è perfettamente leggibile attraverso la geografia del voto. È nel Sud dell’Italia che realizzano i punteggi migliori e risultati molto importanti. Laddove, giustamente, la disintegrazione dello Stato sociale è la più drammatica, laddove il territorio viene consegnato senza mezzi termini agli appetiti di un capitalismo brutale e senza regole. Il Movimento 5 Stelle si afferma come il primo partito del Sud Italia. Il loro elettorato, spesso popolare, ha voluto punire i partiti che hanno orchestrato le politiche che sono responsabili della loro situazione.
Ma il messaggio del Movimento 5 Stelle è essenzialmente l’anti-politica e l’uso delle molle dell’anti-sistema, che si fonde con un risentimento anti-casta superficiale, senza attaccare le ragioni strutturali che producono “la casta” e ne sostengono la politica. È una miscela di critica virulenta del sistema, della sua corruzione e dell’endogamia della sua classe politica, di battaglie giuste ma segmentate e le cui questioni sono depoliticizzate, e un discorso che risponde alla richiesta di sovranità. Vogliono uscire dall’euro e riformare l’Europa senza prefigurare alcun metodo per arrivarci. Pretendono di regolare il problema dell’immigrazione attraverso un maggiore controllo dei flussi migratori e una migliore ripartizione dell’impegno tra i paesi membri d’Europa senza specificare nuovamente come intendono raggiungerlo. Se ci si attiene alle dichiarazioni di Beppe Grillo o di alcuni membri del suo movimento, le soluzioni previste sono essenzialmente xenofobe e populiste. Promettono l’introduzione di un reddito minimo garantito di 780 euro, il “reddito di cittadinanza”, senza fornire alcuna indicazione su come realizzarlo. Infine, rivendicano l’orizzontalità della loro organizzazione e l’esemplarità democratica, cosa che molti contestano.
A guardare meglio, non propongono nulla che possa essere considerato come un tentativo di trasformare i rapporti di forza che ci impone questo ordine neoliberale. Ma il Movimento 5 Stelle siede in Parlamento, ha vinto nei territori e governa due grandi città, Torino e Roma. Il che gli conferisce una sorta di rispettabilità. Il fatto che i suoi parlamentari abbiano accompagnato alcune riforme del precedente governo e che le amministrazioni di Torino e Roma non siano brillanti non erode il consenso anti-sistema di cui gode. Nient’altro che i dissidi al suo interno. Molti si dicono che, rispetto a ciò che li ha preceduti, è ben lontano dall’essere peggio e poi “non li abbiamo visti al lavoro. Bisogna dare loro una possibilità”.
Ieri, il Movimento 5 Stelle è emerso però anche come l’unico possibile baluardo contro il fascismo e l’estrema destra. Il voto utile è paradossalmente una delle molle del loro risultato di oggi. Hanno fatto una campagna su questo tema, specialmente la scorsa settimana.
Il campo politico italiano è principalmente diviso in tre blocchi ed è questo che rende praticamente impossibile la formazione di un governo immediatamente. Il centro-destra non ha la maggioranza, il Movimento 5 Stelle tantomeno. Ma entrambi sostengono di essere in grado di formare il prossimo governo. Salvini, il cui partito diventa il primo del centro-destra, pretende di formare un governo con gli altri partiti della coalizione senza avere una maggioranza. Di Maio, il leader del Movimento 5 Stelle, primo partito in Italia, sembrava dire oggi che potrebbero governare con l’appoggio esterno del PD, ma Renzi ha rifiutato la richiesta.
Non è certo, tuttavia, che Renzi, molto debole e segretario dimissionario, abbia ancora l’autorità necessaria per imporre questa scelta ai membri del suo partito. Se le cose rimanessero così, il presidente della Repubblica potrebbe formare un governo tecnico che abbia il compito di guidare il paese fino alle prossime elezioni.
L’Italia che lotta contro il saccheggio dello Stato sociale e la depredazione dei territori, l’Italia dei centri sociali, delle lotte ambientali e della sinistra antagonista si risveglia intontita. I suoi punteggi sono estremamente bassi e persino inferiori rispetto alle ultime elezioni. Potere al Popolo raccoglie 0,36 milioni di voti (1,12%) e Liberi e Uguali 1,1 milioni (3,3%). Se il confronto con le ultime elezioni per la Camera dei deputati nel 2013 avesse senso, la lista “Rivoluzione Civile” di Antonio Ingroia riceveva 765.000 voti ed faceva 2,25%, mentre SEL (Sinistra Ecologia Libertà – Nichi Vendola ) era al 3,2% con poco più di 1 milione di voti.
Nel mezzo del marasma, Potere al Popolo ha iniziato un percorso. Il loro risultato è molto debole ma il movimento esiste. Prima delle elezioni nessuno avrebbe scommesso che sarebbero riusciti a raccogliere le 25.000 firme necessarie per presentarsi e invece hanno raccolto più del doppio di quel numero. Prima delle elezioni nessuno avrebbe scommesso sul fatto che avrebbero potuto presentare dei candidati in tutti i collegi per la Camera e il Senato e invece l’hanno fatto. Le nomine sono state decise dalle assemblee locali che hanno riunito diverse migliaia di persone in appena due mesi di esistenza. La loro campagna è stata breve, molto breve, quando ci si deve battere contro le forze neoliberiste e conservatrici e i movimenti populisti che pretendono di combatterle con l’unico vero programma di sostituirle. È una lunga strada.
Tuttavia, Potere al Popolo dovrà porsi la questione dei mezzi a sua disposizione e della sua strategia politica. Chiaramente, il messaggio che porta avanti è in gran parte reso inascoltabile dal discorso anti-sistema e dal dinamismo del Movimento 5 Stelle, e dalla rude esplosione dei populismi reazionari del “centro-destra”. Soffre anche della confusione delle ideologie provocate dal tradimento del PD di Matteo Renzi. Quattro sfide che dovranno essere affrontate allo stesso tempo.
La democrazia sociale crolla, ma il suo crollo elettorale non giova alla sinistra antagonista. Se Potere al Popolo è stato in grado di suscitare un nuovo slancio, è perché incarna la speranza di un movimento che va oltre quei cartelli di partiti che non dicono niente a nessuno. E se Potere al Popolo ha forse ricominciato a raccontare qualcosa, è perché indica le responsabilità, riformula la critica progressista della nostra società capitalista contemporanea in termini che articolano tutti i livelli del dibattito e che propone di trasformare radicalmente. Ma questo impulso dovrà essere quintuplicato.
* SEL faceva parte della coalizione nel 2013, mentre non è il caso di LeU oggi.
** L’autrice è deputato regionale di France Insoumise nell’Ile de France.
Traduzione a cura di Andrea Mencarelli dell’articolo originale pubblicato su: https://blogs.mediapart.fr
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