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06/03/2018

Egitto - Da sette giorni 2300 operai manifestano per il crollo dei salari

Una settimana di sit-in: 2.300 operai della National Cement Company egiziana, ad Helwan, stanno protestando da sette giorni contro la riduzione dei bonus mensili, un calo significativo, dal 390% dello stipendio minimo al 75%.
 
La compagnia è ferma dal 6 novembre dello scorso anno, spiega un ingegnere in condizione di anonimato all’agenzia indipendente Mada Masr, a causa di gravi perdite finanziarie (si parla di 11 milioni di euro di deficit), senza che nulla venisse comunicato ai lavoratori. Secondo Abdel Moneim al-Gamal, segretario del sindacato dei lavoratori nelle costruzioni, le perdite e il conseguente stop è da imputare alla corruzione interna alla National Cement Company e ha fatto sapere che domenica scorsa il sindacato ha dato ai vertici un ultimatum di 10 giorni per indagare sui casi di corruzione.

Altre fonti interne attribuiscono la crisi alla liberalizzazione dei prezzi dell’energia, a partire da novembre 2016, che avrebbe aumentato i costi di produzione perché la compagnia utilizza gas naturale e non si è ancora convertita a risorse alternative.

Agli operai è stata offerta la pensione anticipata, ma pochi dettagli sono emersi, spingendoli alla protesta. Una protesta comprensibile: lo stipendio base è pari a 1.500 sterline egiziane, 68 euro, che con i bonus mensili sale a 6.150, 282 euro. Con la riduzione dei bonus fino a maggio calerebbe a 206 euro e a partire da giugno a 120 euro al mese.

La protesta dei 2.300 operai ha fatto da sfondo silenzioso alla visita di Mohammed bin Salman, erede al trono saudita che ha scelto l’Egitto come prima tappa del suo tour mediorientale, il primo che compie da re in pectore. Pochi giorni prima dell’arrivo al Cairo, la Corte Costituzionale ha dato il via libera alla contestata cessione delle isole Tiran e Sanafir, sul Mar Rosso, che tante proteste – e tanti arresti – ha provocato in questi ultimi due anni contro il governo e il presidente al-Sisi, da quando nell’aprile 2016 l’ex generale accolse re Salman promettendogli la cessione di sovranità sulle due strategiche isolette.

Ieri dalla capitale Mohammed bin Salman e al-Sisi hanno confermato la forza dei rapporti tra i due paesi e promesso di cementarli ulteriormente, una solidità che negli ultimi anni post-golpe si è tradotta in ingenti aiuti finanziari da parte di Riyadh alla debole economia egiziana e la conseguente dipendenza del Cairo alle politiche regionali saudite, dalla guerra in Yemen a quella contro i Fratelli Musulmani.

I tre settori al centro della discussione sono stati petrolio, infrastrutture ed elettricità. In particolare, fa sapere Tarek al Molla, ministro egiziano del petrolio, la compagnia semistatale saudita Aramco fornirà 500mila barili di greggio ogni mese all’Egitto, mentre le reti elettriche dei due paesi saranno connesse per uno scambio di 3mila megawatt l’ora. E ancora il ponte Re Salman che attraverserà proprio Tiran e Sanafir per incrementare i flussi turistici, costo previsto di quattro miliardi di dollari; il progetto Neom, una mega città a cavallo tra Egitto, Giordania e Arabia Saudita, grande 26.500 km quadrati per un totale di 500 miliardi di investimenti; e un oleodotto che passerà anche questo per le due isole sul Mar Rosso e che attraverso il Canale di Suez raggiunga il Mar Mediterraneo e dunque l’Europa.

Sullo sfondo la creazione di un Fondo d’investimento congiunto tra Egitto e Arabia Saudita che parta da un capitale di 16 miliardi di dollari e che finanzi, come primi progetti, una centrale elettrica a Dairout, sud del Cairo, un impianto di trattamento delle acque e alcune piani residenziali in Sinai e lungo la costa.
Una serie di accordi vitali per la debole economia egiziana che cementano ancora di più la subalternità del Cairo.

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