Proprio un bel governo del cambiamento ci ha regalato una compagine, il Movimento 5 stelle, che era partita, col 32%, per essere il centro del sistema politico ed è arrivata, in poche settimane, a fare la ruota di scorta della Lega. Un partito che ha quasi la metà dei voti del Movimento 5 stelle. Ma che, a differenza del M5S, ha le idee chiare su come muoversi e cosa fare.
Cosa ci sia, di cambiamento, in un governo dove c’è l’ex avvocato di Andreotti (Bongiorno), l’ex diplomatico del governo Monti (Moavero), l’ex estensore del programma di Forza Italia con Brunetta (Tria), l’allieva del democristianissimo Scotti (Trenta) e anche un ex, di nuovo famoso del governo Ciampi (Savona) ce lo devono spiegare Di Maio e soci. E magari, già che ci sono, ci spieghino cosa ci sia di dinamico in un esecutivo dove si tenta un equilibrio tra eurofili ed euroscettici, due pianeti diversi (Moavero e Savona). Ci sarà, quello sicuro, la dinamica delle polemiche, delle inversioni di rotta per la gioia dei giornalisti e di chi specula in borsa giocando sulla volatilità.
Ci sarebbe da chiedere quanto ci sia di innovativo in un governo dove il presidente del consiglio è vicino alla Cei e devoto di Padre Pio, il ministro della famiglia è un noto omofobo e nemico della educazione gender (sic), quello dell’educazione è un fan dell’educazione privata, di quella pubblica intesa come produzione di carne da macello del mercato. Notevole davvero, un bel governo del cambiamento. Altro che green economy, economia circolare, ripubblicizzazione di questo o quel servizio. Il modello economico che si intravede è quello della Lega anni ’90: primato della fabbrichetta, riforma delle tasse che favorisce i consumi dei ricchi e, ciliegina, anche aumento dell’Iva (come sostiene Tria) in modo, paradossale, da colmare in parte il buco di bilancio dovuto alla flat tax. Così le persone normali pagano tre volte: con una riduzione delle tasse quasi nulla, la polpa spetta ai ricchi, con la diminuzione delle prestazioni dello stato sociale causa flat-tax, con l’aumento dell’Iva. Ci saranno momenti drammatici, anche perchè la congiuntura economica internazionale non promette niente di nuovo, e non solo per il rischio guerra dei dazi. Ci saranno però momenti comici. E per questo candidiamo, come main actor, Barbara Lezzi. Ministro per gli affari del mezzogiorno. Ministero nato, oltre che per piazzare la Lezzi, dopo le polemiche sul fatto che nel comico contratto di governo non c’era una parola sulle politiche per il sud. Questo ministero non realmente citato nel programma, ovviamente, non ha portafoglio. Ma ha la Lezzi. Ormai leggendaria nella stampa mainstream per le gaffe tipo “il Pil quest’anno è aumentato grazie ai condizionatori d’aria”.
Buon ultimo, per la parte finale dello spettacolo, Matteo Salvini. Messo agli interni, se mantiene metà della promesse elettorali, tra sgomberi di occupanti case e centri sociali, manganellate ai manifestanti, licenza di sparare e respingimenti in mare dei profughi si candida a fare spettacolo. E tanto più questo governo sarà paralizzato, dai veti delle sue componenti o dall’impossibilità a procedere, tanto più dovrà fare spettacolo.
Diciamoci una cosa, il M5S ha dato una grossa fregatura ai suoi elettori. Ha speso il 32% che aveva per piazzare una parte del proprio gruppo dirigente. Su un programma, leghista, molto diverso sia dalle attese dell’elettorato che dalla squadra di governo che si era formata appena prima dalle elezioni. Potrebbe essere questa la prova di governo che finirà per sgonfiare la bolla elettorale chiamata M5S. Tra scelte di destra e disillusioni reali.
Redazione, 1 giugno 2018
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