Il partigiano “che si trovava sul camion, ricorda benissimo che alcune persone sollevarono il tendone e fra queste un gruppo di donne, note nel paese come ‘Le Repubblichine’, sputarono addosso ai cadaveri e ai feriti, complimentandosi poi coi fascisti per l’operazione”.
Mi tornano spesso in mente queste righe, relative a un rastrellamento fascista contro una piccola formazione partigiana; mi tornano in mente anche perché l’episodio lo ricordava ogni tanto uno di quei partigiani feriti, nostro stretto parente (non è mai stato chiarito ufficialmente, com’è che il capo della Provincia optasse per risparmiare i feriti catturati: tra i molti “si dice”, anche la sua furbizia di ingraziarsi i futuri vincitori, pur se il fronte era ancora lontano); mi vengono in mente ogni qualvolta si assiste, pure indirettamente, a scene come quelle di Torre Maura e di Casalbruciato, o come, ora, di Lampedusa.
Ammetto di aver visto appena un brevissimo filmato, riproposto da Neues Deutschland, in cui si inquadra Carola Rackete scortata verso l’auto della Guardia di Finanza e si sentono le grida di “venduta, venduta”; tutti gli altri “complimenti” al suo indirizzo li ho letti su vari post, ma il filmato non inquadra le persone impegnate a “sputare addosso” alla Rackete quei “vezzeggiativi”.
Ma, anche se quelle degne persone fossero state inquadrate, dal solo filmato nulla avrei potuto sapere di loro: mestiere, appartenenza sociale, origine; nulla, tranne che ci troviamo sui lati opposti della barricata.
La stessa cosa, ma al contrario, potrei dire all’indirizzo di Carola Rackete: contro quelli che ora sembrano sapere tutto di lei, potrei dire che non la conosco (non mi dice nulla il mestiere del padre, non mi dice nulla il fatto che lei abbia navigato in Artico e Antartico), tranne che, nella vicenda di Lampedusa, ci troviamo sullo stesso lato della barricata; tranne che, chi oggi “sputa addosso” a lei, domani sarebbe pronto a fare complimenti a chi mi avesse sparato addosso.
Sinceramente, non so se Carola Rackete sia “un’eroina del progresso dell’umanità”, come qualcuno ha scritto; che “disobbedendo agli ordini disumani degli aguzzini che governano l’Italia ... ha dimostrato di essere una vera rivoluzionaria”.
So però che difficilmente potrei definire compagno, o anche solo “compagno di viaggio”, chi “sputa addosso” a quanti osino agitare “lo spettro del Governo Fascioleghista”, chi qualifica come “servi dei servi del pensiero unico mondialista e neoliberale” quanti, semplicemente, non accettano di essere etichettati quali “sinistrati arcobalenanti” perché fanno “incursione ai comizi di Salvini”, o addirittura quanti hanno “scientemente deciso di stare, con sicumera, dalla parte del ... Regime dei padroni”.
Così che, par di capire – ma potremmo sbagliarci, visto che, ci si dice, ci saremmo “persi nei meandri del vuoto pneumatico della vostra assenza di analisi, della vostra incapacità di capire” – par di capire, dicevo, che ai comunisti non rimarrebbe oggi altra alternativa: o si sta dalla parte dei fascioleghisti, che ogni tanto dicono no all’Europa, ma solo quando devono difendere gli interessi di bottega della propria classe di riferimento, che non è certo quella di chi soffre il super-sfruttamento della piccola e piccolissima industria, oppure si viene cancellati “dalla storia”.
Di grazia: quali interessi di classe stava difendendo il Governo Fascioleghista mentre inveiva contro Carola Rackete? Quali interessi di classe rappresentavano coloro che a Lampedusa sputavano contro Carola Rackete?
Perché, volenti o nolenti, coscienti o incoscienti, si seguono sempre precisi indirizzi di classe, di una classe: che non sempre è la classe cui si appartiene. Oppure, ancora una volta, gli interessi primari, gli interessi “nazionali”, di coloro che dicono di essere contro il “Regime dei padroni”, non sono altro che gli interessi italici proprio di quei padroni?
Più modestamente, quello che mi (chiedo scusa per esprimermi in prima persona) interessa oggi è il comportamento di chi, a Lampedusa, “non ottenebrato da questa grottesca e feroce globalizzazione”, era lì a “offendere, insultare e sputare” contro la “borghese Carola Rackete”, per aver attraccato al molo di un italico porto.
Non vedendoli e sentendone soltanto le voci, me li sono immaginati come tanti botoli a guinzaglio, portati a passeggio e aizzati contro “l’estraneo che sta forzando” la recinzione di casa, quasi a mettere in atto la “legittima difesa”, digrignando i denti e abbaiando.
Come si sa, il botolo è di natura codardo; da solo, non si azzarderebbe mai ad attaccare qualcuno; ma, se avverte il guinzaglio e chi lo tiene, allora prende “coraggio” e si avventa e si precipita a “insultare e sputare”. Il botolo non è, di per sé, una razza canina; è un essere che può riunire diverse razze; se il padrone sa imporsi nei suoi confronti, allora il botolo si fa timido e più piccolo di quanto già non sia.
Chi abbaiava sul molo di Lampedusa, non abbaiava per sé: c’era là dietro il padrone che teneva il guinzaglio e gli infondeva quel “coraggio” che, di per sé non ha. Quasi come il cane-uomo Poligraf Poligrafovič che, per sedurre l’impiegata dell’ufficio per la lotta ai gatti randagi, sua sottoposta, le racconta che la cicatrice in testa se l’è fatta sul fronte anti-Kolčak, e non è invece conseguenza dell’operazione all’ipofisi fattagli dal professor Preobraženskij: un’operazione che gli aveva fatto assumere le sembianze dell’omuncolo, ma che gli aveva inevitabilmente lasciato il cuore del cane.
Come “Le Repubblichine” del gennaio ’44, “forti” del guinzaglio della Compagnia OP repubblichina, sputavano sui cadaveri e i feriti, ma mai avrebbero avuto il coraggio di affrontare i giovani partigiani, così i botoli che abbaiavano a Lampedusa, a dispetto della voce feroce, liberati dal guinzaglio se la sarebbero data a gambe. Gentuccia.
Nella UE è stata commessa “un’ingiustizia”, ha detto Carola Rackete, perché l’Italia è stata abbandonata nella questione dei rifugiati. Ma una “ingiustizia molto più grande” sussiste tra gli emisferi settentrionale e meridionale della terra. Una persona.
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