I reazionari sono degli stupidi che alzano pietre al cielo per poi farsele cadere sui piedi...
La massima di Mao Zedong si attaglia perfettamente all’attuale presidente Usa, Donald Trump, che ha aperto la “guerra dei dazi” pensando di poter abbastanza facilmente piegare la Cina ai propri desiderata. Che non riguardano solo le importazioni dalla Cina (non più tanto rilevanti come qualche anno fa), ma la struttura del sistema economico cinese, caratterizzato da una forte presenza di imprese pubbliche capaci di stare sui mercati internazionali, un po’ come si verificava in Italia ai tempi dell’economia mista ante-privatizzazioni (a firma Pd e Berlusconi).
I risultati per ora sono disastrosi. Ma per l’economia Usa, non (troppo) per quella cinese. Che ora risponde per le rime segando uno dei rami più forti che reggono il consenso elettorale di Trump: gli agricoltori del midwest e in generale degli stati rurali.
Le imprese cinesi hanno completamente interrotto l’acquisto di prodotti agricoli statunitensi. Non si tratta insomma di “dazi per ritorsione”, ma di diversificazione degli acquisti. Tutto secondo le “regole di mercato”: se mi serve soia o altri prodotti li compro dove mi pare, non per forza dagli Stati Uniti.
Lo ha annunciato lunedì il ministero del Commercio cinese che oggi ha reso noto che gli acquisti di prodotti agricoli statunitensi da parte di società cinesi sono stati sospesi; ma in ogni caso potrebbero anche venire applicati dei dazi all’importazione di beni di questo tipo già acquistati.
La mazzata è più forte in termini di consenso politico che di cifre economiche. La Cina è in effetti tra i primi acquirenti mondiali di prodotti agricoli statunitensi: nel 2018 era il quarto Paese, con 5,9 miliardi di dollari di acquisti, dopo Messico, Canada e Giappone. Gli agricoltori americani, già nel fine settimana, avevano lamentato una riduzione degli affari.
Il danno ai produttori privati significa già da solo una riduzione delle esportazioni yankee, ma non finisce qui.
Per non perdere definitivamente la fiducia dei farmers, infatti, Trump ha già dovuto metter mano al bilancio pubblico per sostenerne i redditi in picchiata: 28 miliardi di dollari in due anni.
Secondo l’American Farm Bureau, la Cina ha importato 9,1 miliardi di dollari di prodotti agricoli statunitensi nel 2018 (soia Sc1, latticini, sorgo e maiale LHc1), decisamente meno che nel 2017 quando le importazioni valevano 19,5 miliardi di dollari. Un altro miliardo e 300 milioni sono spariti nei primi sei mesi del 2019. E andrà peggio nei prossimi mesi, ritornando alla situazione del 2000 (tra il 2000 al 2017, le esportazioni agricole statunitensi in Cina erano aumentate del 700%; nel 2014 avevano superato i 24 miliardi di dollari).
È finito qui, l’elenco dei danni? Niente affatto. Con una domanda inferiore da parte della Cina, i prezzi della soia sono già scesi del 9% da quando è iniziata la guerra commerciale; e con una minore domanda di semi di soia, gli agricoltori finiscono per coltivare maggiormente altre colture, come il mais, il che si traduce in prezzi più bassi del mais perché c’è molta più offerta.
Adesso tutte le speranze Usa si reggono sull’epidemia di peste suina che ha decimato gli allevamenti di maiali in Cina. Questo, si pensa, dovrebbe almeno frenare il crollo degli acquisti di carne suina statunitense.
Ma non vi sembra singolare questa situazione? La prima potenza tecnologica esporta in Cina soprattutto prodotti alimentari non lavorati; e al tempo stesso cerca di limitare le importazioni di tecnologia cinese (il caso Huawei è solo la punta dell’iceberg).
Non sembrano proprio messi bene, i padroni del mondo...
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