“Stai buona, zingaraccia, che tra poco arriva la ruspa”. “Vada a riprendere i bambini, visto che le piace tanto”.
Sono le due esternazioni che il Ministro dell’Interno e vicepremier Matteo Salvini ha regalato nella giornata di mercoledì primo agosto. La prima è contenuta in un tweet, che riportava un commento che lo stesso leader leghista aveva rilasciato a SkyTg 24.
La vicenda, in sintesi: Il Giornale riporta la battuta di una donna che vivrebbe nel campo nomadi di via Monte Bisbino, periferia nord di Milano. Nessuna possibilità di verifica, nessun riferimento certo, una pura “voce” riferita da una testata decisamente inattendibile su questi temi. “A Salvini andrebbe tirato un proiettile in testa”.
Il nulla giornalistico diventa notizia solo “grazie” a chi temporaneamente ricopre la carica di ministro dell’interno. La risposta è – in pratica – il testo del tweet: “Ma vi par normale che una zingara a Milano dica “A Salvini andrebbe tirata una pallottola in testa?” Stai buona, zingaraccia, stai buona che tra poco arriva la RUSPA”.
Scritto in maiuscolo: RUSPA. Insomma, stai attenta, che la misura è colma. Ricorda un noto video di Goebbels in cui, parlando degli ebrei, diceva più o meno “la nostra pazienza sta per finire”.
La seconda esternazione è riferita alla vicenda della moto d’acqua della Polizia, messa a disposizione come gioco vacanziero per il figlio del ministro. In conferenza stampa Salvini così si è rivolto al giornalista che aveva provato a riprendere la scena: “visto che ti piacciono i bambini, valli a riprendere“. Un nemmeno troppo velato riferimento alla pedofilia. Accusa pesantuccia, se pur malamente mascherata da ironia.
Si è parlato spesso dell’irritualità, quantomeno, della comunicazione social di tanti politici, e peggio ancora rappresentanti istituzionali.
D’altronde twitter, facebook, instragram sono ormai strumenti di comunicazione di massa. Arrivano subito, e a tanti utenti/elettori.
Anche la scelta di abbandonare uno stile espressivo a volta istituzionale, altre volutamente anti-istituzionale è ormai sdoganata: aveva iniziato Pannella, hanno proseguito Berlusconi e Bossi, e i Cinque Stelle ne hanno fatto un mezzo di caratterizzazione politica, prima della “svolta” democristiana di Di Maio.
Qui però siamo oltre, ed è evidente. Più che voler evitare un linguaggio da “professorone”, la scelta di Matteo Salvini appare più ispirata al “me ne frego” di fascistissima memoria.
Dire ”zingaraccia” significa categorizzare come infima la categoria sociale, l’etnia della persona oggetto del commento, la “sub-umanità” (untermenschen) di quelli che i nazisti qualificavano come “popoli inferiori”.
Apostrofare un cronista in modo da lasciar spazio ad una interpretazione orribile (“ti piacciono i bambini”), potrebbe significare esporsi anche ad una querela, che un ministro di polizia affronterebbe comunque a carriera finita e fatti dimenticati.
Dunque niente: nessun paletto pare in grado di limitare i contenuti della continua campagna elettorale di Salvini. Una narrazione che tratteggia in modo sempre più netto un leader politico razzista, nazionalista, sessista, disinteressato nella sostanza a rispettare i paletti della democrazia – formale e sostanziale – pur di arrivare sempre più in profondità nella “pancia” del paese.
Che significa andare sempre più giù, sempre più in basso, avvicinandosi pericolosamente a quella sottile linea oltre la quale tutto può essere lecito e possibile.
Questo atteggiamento sistematico, poi, va ad unirsi ad altre particolarità caratteristiche: la passione a indossare una divisa, ad esempio, che altro non è che una palese captatio benevolentiae nei confronti delle forze di polizia, per trasformarle in “guardia del corpo personale”. Oppure all’assenza reale di voci autorevoli in opposizione, in un paese che di opposizione ne produce poca, eccezion fatta per le realtà di movimento antagoniste e per il sindacalismo di base.
Tralasciando la per nulla credibile “opposizione” all’interno del Parlamento, c’è da segnalare il silenzio del Quirinale (che alla forma ed alla sostanza di un governo dovrebbe prestare molta attenzione) e, di fatto, della complicità della stampa.
È acceso il dibattito sul silenzio dei giornalisti presenti in conferenza stampa mentre il ministro dell’Interno aggrediva con allusioni abnormi un collega: la critica è arrivata però soprattutto dai corrispondenti stranieri, che hanno notato come il giornalista sia stato lasciato solo.
Tutto questo, unito alla evidente strategia di parlare solo di quello che gli torna utile, e di modificare la narrazione della realtà sulla base di ciò che serve e non di ciò che è, un po’ dovrebbe preoccupare.
Spesso si sente dire che parlare di fascismo sia obsoleto, anacronistico, fantasioso. Eppure gli elementi per essere preoccupati ci sono, ed è la storia a dirlo. Dare per scontato che sia impossibile che il già precario e rosicchiato patrimonio di democrazia e libertà sia ormai dato di fatto potrebbe essere il più grande degli errori.
P.S. Abbiamo citato, per nulla a sproposito, Joseph Goebbels. Il braccio destro di Hitler era solito dire, rispetto la costruzione del consenso, “Ripetete cento volte una bugia e diventerà verità”. È apparso per qualche ora su facebook un post di una sezione della Lega Nord che commemorava la strage di Bologna, “attentato terroristico delle Brigate Rosse”.
Sappiamo bene che quella strage fu compiuta da mano fascista, ma non diamo per scontato che chiunque abbia letto quel post se lo ricordi o l’abbia saputo. Certamente chi lo ha scritto non lo ricordava, o faceva finta di non ricordarlo.
Per fortuna un po’ di memoria storica rimane, l’errore è stato segnalato ed il post è stato rimosso dagli autori con tanto di scuse. Ma indicare, ad esempio, l’immigrazione come uno dei principali problemi italiani non è che sia una mistificazione meno clamorosa.
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