Alla fine di una lunga stagione di arretramenti, Rifondazione Comunista affronta una vera e propria esplosione dell’organizzazione davanti alle elezioni regionali in Umbria.
Il segretario della Federazione di Terni, Lorenzo Carletti, si è dimesso dopo che il segretario regionale ha deciso di portare parte di ciò che resta di questo partito nella lista “Sinistra Civica Verde”, all’interno della coalizione costruita da Cinque Stelle e Pd.
In una lunga lettera Carletti spiega le ragioni di questo gesto, ricostruendo a suo modo la contraddizione storica che ha lacerato e distrutto il Prc: quella tra tensione a “rifondare” le ragioni e la cultura dei comunisti di questo paese (di cui non sé è avuta però traccia concreta, se non per una piccola serie di “pensate” bertinottiane di discutibilissima natura, fondamentalmente di impostazione liberal) e l’ansia di “governare a tutti i costi”, pur in estrema minoranza e senza alcuna possibilità di incidere sulle scelte sostanziali dei governi nazionale, regionale, locale.
Ricordiamo i “mal di pancia” del Prc di fronte alla scelta di Potere al Popolo! di non sciogliersi dopo la non brillante prova elettorale del 4 mazo 2018. E la decisione del gruppo dirigente di rompere con un tentativo di costruzione di una soggettività alternativa ed indipendente rispetto all’”offerta standard” del panorama politico italiano. Lo stesso Carletti, a Terni, aveva ampiamente rappresentato questa tendenza...
In quella circostanza molti dei “mal di pancia” vennero giustifica con argomenti “identitari” (l’assenza del simbolo, la necessità di marcare di più la propria specificità, ecc).
In molti casi, però, la ragione vera era nell’incapacità di uscire dalla “trappola governista”, ormai ridotta a poche situazioni locali, per cui si esiste come soggetto politico solo se “si elegge” qualcuno dei propri, non importa come e, quasi, con chi.
Anche questa tensione, volendo, trovava giustificazioni diverse. Quella più nobile era non paradossalmente di tipo economico. Senza parlamentari nazionali o regionali, senza consiglieri comunali, un partito non ha alcuna fonte di finanziamento all’altezza dei costi che deve affrontare (quelle delle lobby, ovviamente, in genere si tengono lontane dalle stanze dei comunisti). Le quote dei militanti, basse in virtù dello scarso reddito del “blocco sociale” di riferimento, non sono mai sufficienti neanche per l’ordinaria amministrazione (affitto di sedi, materiale di propaganda, bollette del telefono o della luce, spostamenti, ecc).
Le ragioni meno nobili, come sempre, riguardano invece le ambizioni dei singoli, e non sempre i consiglieri eletti o gli assessori sono stati immuni dalle tentazioni del micro-potere.
Il brusco ritorno al “bipolarismo obbligato” – con la crisi contemporanea di Cinque Stelle e Pd, la nascita del governo giallo-blu, ecc. – ha colto di sorpresa ciò che resta dei gruppi dirigenti nazionali e locali, del Prc. Riaprendo la solita diaspora tra difesa dell’identità da rifondare e “governismo” a tutti i costi.
In Umbria – dove le elezioni anticipate regionali sono state causate da inchieste giudiziarie sulla sanità, che hanno costretto la vecchia giunta Pd alle dimissioni – questo bipolarismo si è proposto in modo particolarmente rapido e brutale. Al punto che ciò che si suole chiamare impropriamente “la sinistra” è rappattumata con il “blocco civico”, mentre l’alternativa è rappresentata dalla lista di Potere al Popolo!, su cui converge anche quella del Pci. C’è poi anche il Pc (senza “i”) di Rizzo, abituato ad agitare la bandiera e basta.
Rifondazione è invece semplicemente sparita come soggetto.
L’Umbria è solo la prima regione in cui il nuovo scenario politico viene testato. Ma non ci sembra esistano dubbi sul fatto che questo scenario, tendenzialmente, costringa tutti a ragionare in termini di alternativa radicale oppure a seguire – in silenzio o strillando – il “sentiero poco luminoso” che ha portato gente come Gennaro Migliore dalla “pantera” a Matteo Renzi.
Su questa via pare già avviato il segretario perugino Oscar Monaco, disposto a scrivere che non trova nulla di scandaloso nella mozione del Parlamento Europeo che equipara comunismo e nazismo...
Se non fosse una cosa seria, verrebbe in mente l’immenso Totò che veniva picchiato da uno che lo chiamava “Pasquale”. Ma lui ci rideva sopra dicendosi “E mica so’ Pasquale, io!”. Come se gli schiaffi li prendesse un altro...
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La lettera di Carletti
#Dimissioni
Alle Compagne ed ai Compagni, a tutti coloro che hanno sostenuto la nostra lotta in questi anni.
Con questa lettera intendo comunicare le mie dimissioni da segretario politico della federazione di Terni del PRC. Tale dolorosa scelta si rende necessaria nel contesto che attraversa il nostro partito.
Non possiamo non registrare l’impossibilità nel praticare l’azione politica in totale assenza di una prospettiva chiara e di una visione in grado di restituire al PRC il ruolo che ha progressivamente perso negli anni. Vedo la nostra organizzazione schiacciata da una tendenza iper tatticista che ha consumato la nostra capacità di radicamento sociale, generando una sostanziale rinuncia all’autonomia progettuale ed organizzativa, in luogo di un atteggiamento che non produce alcun valore aggiunto e che nei fatti ha azzerato la nostra percezione.
Questa tendenza ha sostanzialmente rimosso la possibilità di rimettere al centro l’unica discussione necessaria: la ricostruzione di una forza politica comunista utile alle classi popolari ed alla ripresa di un movimento antagonista al pensiero ed al modello dominante.
La federazione ternana ha in questi anni lavorato duramente in questa direzione, mettendo al centro della propria analisi la ricostruzione di un profilo e di uno spazio della Rifondazione Comunista come laboratorio per l’alternativa, rompendo ogni elemento di compromesso con il governismo ad ogni costo, incoraggiando invece un profondo rinnovamento del nostro approccio alla militanza come argine alla progressiva ed irreversibile crisi progettuale e politica.
In questo quadro la discussione sviluppata in Umbria alla vigilia delle elezioni regionali ha fatto emergere ed esplodere tutte le contraddizioni sopra citate. L’apertura di una fase inedita, con l’accordo nazionale tra Partito Democratico e Movimento Cinque Stelle, l’imposizione del “patto romano”, di un metodo estraneo alla discussione ed alle prerogative del tessuto sociale e politico della nostra regione, la legittimazione di coloro i quali hanno portato la città di Terni, la regione Umbria ed il paese alla devastazione economica, politica e sociale rendono per me impossibile collocare la nostra storia e la nostra azione al servizio di una equazione politicista che ha come unico obbiettivo la contendibilità elettorale della regione alla destra e non la rimozione di quelle politiche scellerate che hanno generato gli attuali rapporti di forza.
La sinistra umbra non può in nessun modo essere strumento subalterno per l’affermazione di un nuovo bipolarismo dopo che per anni ne abbiamo teorizzato il suo abbattimento, praticando la proposta di uno spazio autonomo ed alternativo.
Non sono disponibile ad operare la tragicomica rilegittimazione di coloro che hanno distrutto questa regione e che adesso, con largo beneplacito, si apprestano a rappresentare con insopportabile trasformismo questa nuova fase.
In questo difficile contesto la discussione politica nel partito regionale ha fatto emergere tendenze inconciliabili. La federazione di Terni aveva supportato il tentativo di costruire una “coalizione civica, verde e sociale” per le regionali dell’Umbria, ma a condizione che essa avesse mantenuto la sua autonomia dai poli esistenti.
Se dal meridione dell’Umbria forte è stato in questi anni il segnale di rottura col centro-sinistra e le sue consorterie, altri settori del PRC non hanno mai cessato di praticare accordi elettorali che hanno reso meno credibile e piuù fragile tutta l’organizzazione.
Per questo non posso che ringraziare il segretario regionale che ha in questi anni svolto un ruolo di paziente mediazione e di garanzia, oltre che di efficace direzione politica, configurandosi come punto di riferimento irrinunciabile. Ma tale inconciliabilità ha effettivamente origine nell’inadeguatezza del gruppo dirigente nazionale, nell’incapacità di produrre una necessaria chiarezza sul nostro ruolo di fase, sulla nostra collocazione, su quale idea di organizzazione occorre concentrare la ricerca, la teoria e l’azione.
Continuo a pensare che il ruolo dei comunisti in questa fase sia quello di dar corpo ad un grande movimento di opposizione, che faccia leva sulla legittima rabbia popolare e che sia in grado di avanzare una visione concretamente orientata al socialismo. Il nostro obbiettivo deve continuare ad essere quello di dare teoria e forma al blocco sociale del lavoro e del precariato. Un proposito preminente ad ogni soluzione tattico elettorale.
Lorenzo Carletti
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