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12/12/2019

Francia - “Sono 25 anni che perdiamo, questa volta possiamo vincere!”

Mercoledì 11 dicembre il Primo Ministro Edouard Philippe ha esposto in maniera dettagliata la proposta di riforma del sistema pensionistico al Consiglio Economico, Sociale e Ambientale (CESE).

E.Philippe ha dichiarato: “il progetto di legge della riforma delle pensioni sarà pronto alla fine dell’anno”, aggiungendo: “noi lo sottoporremo al Consiglio dei Ministri il 22 gennaio. E sarà discusso in Parlamento alla fine del mese di febbraio”.

L’effetto immediato delle dichiarazioni governative è stata la critica unanime di tutti i sindacati e delle opposizioni politiche di sinistra, da La France Insoumise al Partito Socialista, passando per il PCF ed i Verdi, oltre al NPA.

Il porta-voce del NPA, Olivier Besancenot, ha dichiarato: “non vorrei mai essere quel padre che dirà a suo figlio di aver salvato la ‘mia’ pensione sacrificando la sua. La lotta continua!”

Anche la destra e l’estrema destra criticano le intenzioni governative.

Le organizzazioni sindacali all’unisono hanno chiamato ad amplificare il movimento, in particolare rispetto ad una nuova mobilitazione prevista per il 17 dicembre.

Per la prima volta dalle manifestazioni contro la riforma pensionistica nel 2010, tutti i sindacati chiamano insieme alla mobilitazione.

Il clima però è ben più incandescente di quello di circa 10 anni fa.

Proprio mercoledì la Francia era al settimo giorno consecutivo di sciopero “ad oltranza” di una parte rilevante del settore dei trasporti nell’azienda ferroviaria, la SNCF, e nella metro parigina, la RAPT.

Una astensione dal lavoro che non ha conosciuto riduzione dell’impatto nonostante duri da una settimana, ha mantenuto alta la partecipazione dei lavoratori e compatto il fronte sindacale del settore.

Picchetti, assemblee generali e azioni di sensibilizzazione stanno caratterizzando l’azione degli cheminots e dei lavoratori della metro della capitale.

Nonostante i notevoli “disagi” e la congestione del traffico viario, la popolazione continua ad essere solidale con gli scioperanti, come mostrano recenti sondaggi.

Martedì si era svolto il secondo giorno di sciopero “inter-professionale” dopo quello del 5 dicembre, cui hanno partecipato parte del personale del trasporto aereo, il settore della scuola, i lavoratori della compagnia elettrica EDF, oltre ai lavoratori delle raffinerie spinti dalla combattiva Federazione dei Chimici della CGT.

Sempre martedì è stato il primo giorno di sciopero “al oltranza” dei medici “interni” del settore ospedaliero (gli specializzandi, in pratica), ultima porzione a mobilitarsi nel comparto che, a cominciare dalle lotte iniziate dal personale del pronto soccorso questa primavera, fino alle recenti iniziative, ha conosciuto un inedito protagonismo ed una forma di coordinamento orizzontale tra ospedali che ne è divenuta l’ossatura organizzativa.

Una altra componente rilevante della mobilitazione di martedì è stata quella studentesca, sia delle medie inferiori che delle università: le organizzazioni giovanili UNEF, FIDL, MNL, UNL sono organiche all’intersindacale che ha promosso le mobilitazioni.

Si è mobilitata cioè quella fascia di popolazione che, dopo avere conosciuto nella prima metà del quinquennio macroniano differenti riforme regressive dell’istruzione ed un peggioramento della precarietà, sarà il soggetto più colpito dallo stravolgimento del sistema pensionistico.

Secondo quanto affermato dal Primo Ministro questo mercoledì infatti sarà la generazione nata dal 2004 ad essere la prima ad entrare nel nuovo sistema pensionistico a tutti gli effetti...

Le università interessate dalla mobilitazione di fatto sono “ferme” – alcune sono state chiuse preventivamente per impedirne l’occupazione – mentre gli istituti secondari investiti dall’azione studentesca vengono bloccati.

La repressione si è indirizzata particolarmente sugli studenti medi, così come era successo nelle giornate di picco del movimento studentesco, il dicembre dell’anno scorso.

Questo giovedì, già prima degli annunci governativi, l’inter-sindacale che raggruppa oltre alle organizzazioni studentesche anche CGT, FO, FSU, Solidaires aveva previsto una nuova giornata di sciopero – decisa martedì – ed azioni locali in preparazione del nuovo appello allo “sciopero inter-professionale” per il martedì 17 dicembre.

Le dichiarazioni governative non hanno fatto altro che gettare ulteriore benzina sul fuoco, facendo affermare addirittura al segretario della CFDT Laurent Berger (l’unico sindacato fin qui a “dialogare” con Macron”) che è stata “oltrepassata una linea rossa”, in particolare rispetto all’allungamento dell’età pensionabile per chi sarà interessato dall’ipotesi della riforma – cioè tutti coloro nati dal 1975 in poi– dai 64 anni ai 62 attuali, per potere godere della pensione piena.

La CFDT è teoricamente favorevole a una riforma del sistema pensionistico di tipo “universale”, con l’abolizione dei 42 regimi speciali che la compongono, e si era fin qui astenuta dalle mobilitazioni; ma, come ha dichiarato il suo segretario – il primo a parlare dopo gli annunci governativi – ora deciderà iniziative a riguardo.

La sua federazione di settore nelle ferrovie era stata co-promotrice dello sciopero ad oltranza e si sarebbe defilata nel caso in cui il governo avesse approvato la cosiddetta clausola del “nonno”, escludendo i lavoratori attivi da tale riforma, ma prevedendola solo per quelli più giovani.

Bisogna ricordare che dal 1 gennaio, nonostante una lotta durata mesi con scioperi programmati “ad intermittenza”, che avevano caratterizzato tutta la primavera del 2018, i neo-assunti delle ferrovie francesi perderanno il loro statuto speciale a causa della privatizzazione “strisciante” dell’azienda.

Anche il sindacato dei quadri CFE-CGC, che aveva partecipato al primo sciopero inter-professionale, astenendosi invece dalle mobilitazioni di questo martedì, in attesa della dichiarazioni dell’esecutivo, è stato deluso dagli annunci...

François Homméril, presidente del sindacato, ha ribadito a Le Monde che sicuramente la sua Confederazione è “dentro il movimento” e che “chiama alla mobilitazione del 17 dicembre” con sciopero e manifestazione.

Persino i sindacati di polizia si sono espressi contro!

Andiamo con ordine, analizzando prima i dati di adesione allo sciopero e le mobilitazioni di martedì, poi le dichiarazioni del Primo Ministro che danno un profilo più marcato al progetto di riforma pensionistica, e in ultimo le varie reazioni politico-sindacali. Considerato il “muro contro muro” a cui il governo ha deciso di andare incontro, lo scenario di uno scontro più esacerbato è ora il più probabile.

*****

Lo sciopero di martedì ha visto un’adesione sostanzialmente immutata, anche se in leggero calo, rispetto a quello del giovedì precedente, ed una partecipazione ridotta alle manifestazioni solo se confrontata con quella – straordinaria – della settimana precedente. L’ordine di grandezza inscrive comunque la partecipazione alle manifestazioni alla pari delle più riuscite giornate di mobilitazioni contro la Loi Travaille – il “job act” francese – durante il quinquennio presidenziale precedente.

La determinazione risulta assolutamente immutata, e ampio lo spettro dei temi invocati nelle manifestazioni, segnale di un malessere che non è indirizzato solo contro l’ipotesi di una riforma pensionistica per quanto importante, ma contro la politica dell’Esecutivo nel suo insieme.

Le ragioni di questo calo – tranne che nel settore dei trasporti – sono dovute al minor tempo di preparazione, essendo stato annunciato dall’intersindacale venerdì solo in tarda mattinata, al “costo” che l’astensione del lavoro comporta e ad alcune ragioni specifiche come, nel nelle scuole primarie, l’obbligo di comunicare 48 ore prima la propria astensione dal lavoro, a differenza del sistema secondario dove non esiste questo regolamento.

Lo sciopero si radica in alcuni comparti, ma non si “generalizza”, soprattutto nel privato.

Come al solito siamo di fronte alla guerra dei numeri sulla partecipazione sia allo sciopero che alle manifestazioni.

889.000 contro il milione e mezzo del giovedì precedente per la CGT, 339.000 questo martedì contro i 806.000 di giovedì scorso per il governo.

Per dare un ordine di grandezza, Il 31 marzo del 2016, nel picco delle mobilitazioni contro la “loi travaille”, le autorità contavano 390.000 partecipanti.

Rimane pressoché immutato il dato della “diffusione” territoriale, e tutto l’Esagono è stato costellato da mobilitazioni.

A metà mattinata di martedì il ministro dell’istruzione Jean-Marie Blanquer al microfono di “France Inter” da le seguenti cifre: 12,5% scioperanti nella scuola primaria e 19,5% in quella secondaria.

Cifre di molto inferiori a quelle ufficiali del giovedì precedente: 51% nella primaria e 49% nella secondaria.

I dati ufficiali, dettaglia a “Rapport de Force” Claire Guéville, del sindacato maggiormente rappresentativo nella scuola – la SNES-FSU – sono ricavati dal calcolo su tutto il personale dell’istruzione, e non solo degli insegnanti.

Così che per il sindacato, nella scuola secondaria si sono astenuti dal lavoro il 62% degli insegnanti, in flessione dal precedente 75%, realizzando il secondo sciopero maggioritario nel giro di meno di una settimana.

Resta da segnalare che alcuni insegnanti – diciamo una “minoranza qualificata” – aveva fatto sciopero anche venerdì, seguendo le indicazioni delle assemblee generali che si sono svolte giovedì...

Nei trasporti la mobilitazione, specie dei macchinisti (77,3%) e dei controllori (55,4%), è stata alta, e la situazione di paralisi è stata grosso modo quella conosciuta nei giorni precedenti, ripetutasi mercoledì stesso.

La stop non è totale perché l’azienda conta su una squadra – la cosiddetta “pool fac” – che di fatto sostituisce i lavoratori in sciopero, così come normalmente copre le mancanze di organico dovute alla malattia, rendendosi sempre disponibile all’azienda.

Nella RAPT solo le due linee automatizzate hanno circolato normalmente, mentre il 50% dei tram e bus di superficie non ha viaggiato, anche grazie ai blocchi effettuati in sette dei 25 depositi della capitale, comunque “rimossi” dalle forze dell’ordine entro le nove di mattina. I blocchi sono il frutto di una azione solidaristica di altri settori in lotta, considerata la forte penalizzazione disciplinare che comporterebbe per i lavoratori effettuarli.

Circa un terzo dei lavoratori dell’energia, stando alle cifre della EDF, hanno scioperato e si sono verificati tagli d’elettricità “mirati” e casi di abbassamento di regime per tutta la giornata.

Per ciò che riguarda l’unico settore del privato che ha scioperato in massa, sette raffinerie su 8 sono rimaste bloccate, mentre circa meno di un quinto del traffico aereo ha subito gli effetti dello sciopero.

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L’unica reazione pubblica positiva alla descrizione dettagliata della riforma pensionistica del Primo Ministro Francese è stata quella della Confindustria d’Oltralpe, il Medef.

Il suo presidente, Roux de Bézieuz, ha detto che è stato raggiunto un buon equilibrio tra una riforma che è redistributiva e il fatto che “bisogna, quando è possibile, che si lavori per più tempo”.

Basterebbe questo, insieme alla sponsorizzazione esplicita della riforma da parte dei tecnocrati di Bruxelles, per qualificarla.

Il nuovo Commissario UE al Mercato Unico, Thierry Breton, ha dichiarato il 9 dicembre che “la commissione europea giudica necessarie tutte le riforme che bisogna portare avanti in tutto il continente, e in particolare questa”.

E Philippe ha confermato l’impianto complessivo della riforma, proposta nella campagna presidenziale del 2017 e abbozzata nel rapporto Delevoye, pubblicato in luglio.

Ha solo spostato i tempi di “attuazione” e delimitato gli interessati, promuovendo una vera e propria “frattura generazionale” tra chi è nato prima del 1975 – che non sarà toccato dalla riforma – e chi è nato dopo, che entrerebbe nel processo di transizione tra il regime attuale e quello “nuovo”.

La riforma, che inizialmente doveva entrare in vigore dal 2025, a partire dai nati dal 1963 in poi, comincerà “più tardi” per i nati dopo il 1975.

“Coloro che sono a meno di 17 anni dalla pensione” non saranno interessati.

Coloro che andranno in pensione dal 2037, invece, saranno contabilizzati secondo i regimi vigenti fino al 2025, ma secondo il sistema riformato da quella data in poi.

Non si tratterebbe più di portare ad un “punto di equilibrio” il sistema pensionistico dal 2025, anno in cui secondo un rapporto pubblicato in novembre dal Consiglio di Orientamento delle Pensioni (COR) il deficit del sistema potrebbe raggiungere una cifra oscillante tra i 7,9 e i 17,2 miliardi di euro.

La logica “budgetaria” sarebbe solo leggermente meno stringente...

È stata cambiata la parte sulle pensioni autonome di alcune professioni liberali, diluendo nel tempo il drenaggio dalle casse di queste a profitto del regime universale.

Il sistema pensionistico attuale, con i suoi 42 “regimi speciali” dovrebbe essere superato in direzione di un sistema “a punti”, teso a livellare verso il basso le prestazioni pensionistiche, con l’allungamento dell’età pensionabile (a cominciare dal 2027) ai 64 anni, dai 62 attuali, come pivot per poter godere della pensione piena, che verrà calcolata non secondo il periodo retributivo migliore durante la vita attiva, ma sull’arco della propria carriera lavorativa complessiva. Verrebbe introdotto un criterio di bonus/malus in caso di posticipo/anticipo, in modo da scoraggiare i pensionamenti anticipati e prolungare “volontariamente” la permanenza sul lavoro.


Alcune eccezioni per l’età pivot sarebbero previste per alcune professioni più usuranti.

Sia la CFDT che l’UNSA, i due sindacati “riformisti”, parlano di linea rossa oltrepassata, e hanno chiamato mercoledì sera ad unirsi al movimento; così come la CFTC, la centrale sindacale di ispirazione cristiana che, oltre a criticare l’innalzamento dell’età pensionabile, ribadisce la necessità di “tenere conto di tutte le situazioni di lavoro realmente usurante” per procedere a delle compensazioni.

E questi dovevano essere i “potenziali” alleati dell’Esecutivo!

Edouard Philippe durante 20 heures, la trasmissione di TF1, ribadisce di essere “fermo” sul principio della riforma ma non “chiuso” al dialogo. Ed invita i partner sociali favorevoli ad un regime pensionistico universale a proporre “un percorso che permetta di arrivare ad un equilibrio”.

Intanto questi scendono in strada...

Da parte di coloro che hanno fin qui condotto la lotta è un coro di critiche unanimi e di comuni inviti ad intensificare il movimento, a cominciare dai ferrovieri e dai lavoratori della RAPT.

Philippe Martinez, segretario della CGT, forse è il più esplicito quando dice che il Primo Ministro: “ha preso in giro tutti”.

Un bel servizio di “Franceinfo” sulla manifestazione parigina del 10 dicembre, prende il titolo da una dichiarazione di una delle persone intervistate: “il male è più profondo”.

Concordiamo. Il malessere della società francese è più profondo e l’ha mostrato chiaramente un anno e passa di “marea gialla” e di contestuali mobilitazioni politico-sociali in molti settori e su un ampio spettro di tematiche.

Questa volta, come ha detto il ferroviere francese in una assemblea generale a Gare de l’Est: “possiamo vincere”.

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