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08/07/2020

Il silenzio sul referendum

Nel suo quotidiano punto politico Stefano Folli ha affrontato sulle colonne di Repubblica il tema del referendum confermativo sulla riduzione del numero dei parlamentari.

Il titolo dell’articolo è apparso quanto mai significativo, quasi un riassunto della situazione che si sta vivendo “Il referendum del silenzio”.

Infatti è rimasto sotto silenzio l’accorpamento nel cosiddetto “election day” della data di svolgimento: un atto di perlomeno dubbia costituzionalità per diverse ragioni.

Sono rimasti inascoltati molti appelli di illustri giuristi e costituzionalisti sui rischi che il taglio lineare nel numero dei parlamentari potrebbe comportare sul piano della rappresentatività politica e territoriale nelle istituzioni della Repubblica.

Non è ancora decollato il dibattito sui rischi di ulteriore svuotamento di funzione e di ruolo del Parlamento stretto nella camicia di nesso della conversione dei decreti e obbligato ad esprimere voti di fiducia che consentono alla fine di proseguire la vita di un governo e di una legislatura condizionati dalla logica del “salvo intese”.

Uno svilimento di compiti e di funzioni che, da qualche parte, viene perseguito per arrivare a un mutamento nella forma di governo in modo da riuscire a formalizzare anche in Costituzione il ruolo del Capo messo direttamente di fronte alle masse, saltando l’intermediazione politica e puntando così a una soluzione presidenzialista di stampo chiaramente autoritario.

Nel suo articolo Folli invita il composito fronte del “NO” a darsi da fare prima che sia troppo tardi.

È necessario farlo anche se chi sostiene il NO sembra accusare una sorte di sindrome da minoritarismo.

Una sindrome registrata, almeno in partenza, nonostante che il “SI” sia sostenuto soltanto da una propaganda facilona portata avanti all’insegna del “taglio della casta”, un taglio semplicisticamente indiscriminato.

Intendo invitare anch’io a muoversi chi intende ragionare in profondità ed è contrario a questa operazione di riduzione della democrazia.

Lo faccio con convinzione rivolgendomi a una parte ben precisa dello schieramento favorevole a rifiutare questa operazione antidemocratica.

Mi appello, infatti, alla mobilitazione di quella che vorrei chiamare “sinistra costituzionale”: quell’idea di democrazia avanzata che ancora alberga nell’animo di militanti di diversi partiti oppure di compagne e di compagni che hanno abbandonato la militanza diretta, magari si sono perfino astenuti in qualche occasione elettorale, ma che sui temi della democrazia costituzionale sono ancora capaci di mobilitarsi e di farsi sentire.

Svolgo un esempio in questo senso: nel 2016 il referendum promosso dal PD a segreteria Renzi coltivava più o meno le stesse finalità e fu respinto con 20 milioni circa di voti contrari.

Orbene in quei 20 milioni ce n’erano sicuramente tanti orchestrati dalla strumentalizzazione politica condotta dalla destra della Lega e dalla destra del M5S: ma dentro alle elettrici e agli elettori che si erano espressi per il “NO” altrettanto certamente ci stavano 3 o 4 milioni almeno provenienti da sinistra, mossi da un sano spirito di difesa e affermazione della democrazia così come questa è stata indicata e intesa dalla Costituzione Repubblicana.

All’epoca a quelle elettrici ed elettori non fu fornita una risposta politica.

Oggi è il caso di farlo, di provvedere ad una mobilitazione, ad una richiesta di presenza, alla costruzione di una organizzazione.

Occorre un’intesa tra forze politiche, soggetti culturali, sindacati (sia confederali, sia di base), l’ANPI (ANPI che ancora una volta, come nel 2016, può rappresentare un fondamentale soggetto di riferimento).

È necessario mettere il referendum al primo punto della nostra agenda, facendo in modo che anche nelle Regioni e nei Comuni dove si vota per il rinnovo delle amministrazioni il tema referendario sia messo all’ordine del giorno con grande evidenza e chiarezza e svolgendo una campagna molto forte laddove sarà consegnata una sola scheda, appunto quella referendaria.

Servono, a mio giudizio, due cose da fare quasi subito:

1) Una mobilitazione a sostegno dei ricorsi preparati dal compagno Besostri e da altri costituzionalisti che, in sede giurisdizionale, affronteranno l’iniquità dell’accorpamento di data. Questa dev’essere la nostra priorità immediata;

2) La convocazione di una manifestazione nazionale d’apertura della campagna in modo da far emergere subito una presenza corposa e determinata a livello centrale sulla base della quale sviluppare una forte territorialità d’iniziativa.

La posta in gioco è troppo alta per definirci battuti in partenza e limitarci a giocare di rimessa: servono presenza sociale e soggettività politica.

La sinistra costituzionale è chiamata a battersi fino in fondo per assolvere a un dovere politico, civico, morale.

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