Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

08/07/2020

Francia, un rimpasto per salvare la pelle

A meno di due anni dalle elezioni presidenziali del 2022 il “rimpasto governativo” – la nuova composizione dell’esecutivo è stata comunicata alle sette di lunedì sera – è l’ennesimo tentativo di recuperare credibilità da parte del Presidente francese, specie dopo la batosta delle elezioni amministrative.

“Macron gioca Macron per tentare di salvare la fine del suo Quinquennio”, titolava il primo commento a caldo del prestigioso quotidiano francese Le Monde, affidato a F. Frezzos.

In questi anni la disaffezione civica verso il voto dei francesi è cresciuta esponenzialmente, nonostante l’Esagono sia stato attraversato da movimenti che hanno fortemente “ri-politicizzato” la società.

L’astensionismo è passato dal 25,44% nel secondo turno delle presidenziali al 57,36% delle legislative, e dal 49,88% delle europee dello scorso anno al 58,6% del secondo turno delle elezioni amministrative.

Ormai la Francia è divenuta un regime censitario “post-rappresentativo”, dove le classi popolari, i giovani e le periferie praticamente non votano più. A Seine Saint-Denis per esempio – comune della ex “cintura rossa” parigina, persa dai comunisti in favore dei socialisti – l’astensione è stata del 67,5%, con punte dell’80% in alcuni quartieri – quasi due operai su tre, così come i giovani tra i 18 e 34 anni, non si è recato alle urne.

E questo è un fenomeno che ha riguardato anche comuni come Marsiglia, dove comunque una composita lista di sinistra (“Printemps Marsailleise”) costruita attorno all’impegno militante di alcuni suoi animatori, con al centro alcune lotte importanti e vittoriose in città – contro il disagio abitativo e contro la partnership pubblico-privato nella scuola, per esempio – hanno posto fine a 25 anni di gestione clientelare della destra.

Nel corso di questi tre anni – dalla sue elezione il 7 maggio del 2017 – sono state numerose le defezioni di ministri anche di alto profilo in un governo che ha potuto contare su una solida maggioranza governativa – la creatura politica di Macron, LREM, aveva la maggioranza assoluta fino a poco tempo fa, oltre all’appoggio dei deputati di MoDem e UDI – e su una impalcatura istituzionale presidenzialista, che Macron ha interpretato da “monarca repubblicano”.

Come afferma Edwy Plenel di Mediapart: “il nostro presidenzialismo è un regime d’eccezione divenuto norma”, che fa di un uomo solo al comando l’arbitro in grado di fare e disfare senza alcun contrappeso, senza reale bilanciamento del suo operato, senza alcun vettore in grado di fare da cinghia di trasmissione per correggere la rotta.

Lui da un lato, rappresentante di un’oligarchia piuttosto opaca e sorda ai bisogni popolari, e dall’altra “le peuple”, che però non ha trovato un output politico adeguato, in grado di rappresentare l’estrema vivacità di ciò che si muove in piazza.

In questi tre anni l’agenda politica neo-liberista è sempre rimasta la stessa, nonostante il cambio di narrazione che ha cercato di adattarsi alle esigenze contingenti. In questa ultima trasformazione una maggiore enfasi sembra essere data alla questione ecologica – visto tra l’altro il “successo” dei verdi alle recenti elezioni amministrative – alla discriminazione razziale (tenendo conto delle mobilitazioni avvenute anche in Francia dopo la morte di George Floyd), oltre all’attenzione al settore sanitario, mobilitato dalla primavera del 2019 e quasi subito tornato in piazza con la fine del “confinamento”.

Il tentativo di dare una parvenza di maggiore dialogo e concertazione dopo la “marea gialla”, in quello che voleva essere l’“Atto II” della sua Presidenza, girando pagina, è stato un flop, come ammettono candidamente gli analisti.

Il segno di Macron resta infatti ferocemente neo-liberista. Ne sono una prova le sue dichiarazioni sulla volontà di portare a compimento la contestata riforma pensionistica, osteggiata da un inedito sciopero ad oltranza da parte dei ferrovieri e di quelli della metro parigina durante l’ultimo inverno, da una serie di scioperi generali e da massicce mobilitazioni in tutto l’Esagono.

La “sinistra” di LREM avrebbe voluto un approccio più “dialogante”, su questo e su tutta una serie di dossier che in questa difficile congiuntura implicherebbero un nuovo “patto sociale”, ma che una Presidente senza consenso, che si appoggia ad una creatura politica non radicata e senza alcun corpo intermedio di riferimento, non può costruire.

Numerose sono le crisi che ha conosciuto la Presidenza Macron già prima dell’emergenza Covid-19; dall’“Affaire Benalla”, passando per il movimento dei Gilets Jaunes e giungendo alle mobilitazioni invernali contro la “pensione a punti”.

Più la sua popolarità è calata, più ha guardato “a destra”, in un distillato di politiche liberiste, torsione autoritaria e notevole spinta repressiva.

Come ha dichiarato lo stesso Macron alla stampa regionale prima del rimpasto “credo che la direzione verso cui mi sono impegnato nel 2017 resti vera”.

Il cambiamento dell’esecutivo è avvenuto dopo le dimissioni presentate dal Primo Ministro E. Philippe, venerdì scorso, e il quasi contestuale annuncio della nomina di Jean Castex per questa carica.

L’ex capo del governo, dopo la sua riconferma elettorale come sindaco di Le Havre, nel secondo turno delle elezioni amministrative la settimana precedente, aveva consegnato “a sorpresa” le dimissioni, accettate dal Presidente.

Philippe, che proveniva dal gaullismo – dall’UMP – era stato collaboratore di Alain Juppé e faceva parte di quella compagine di politici di LR entrati a far parte della compagine governativa senza prendere la tessera di LREM, all’inizio aveva il ruolo di “bilanciare a destra” l’immagine di un presidente che era stato ministro durante la precedente presidenza del socialista Hollande.

In realtà sempre più quadri gaullisti, nel corso del tempo, hanno rimpolpato le file governative.

Castex, si inserisce in questo solco, un anonimo funzionario di destra – tra l’altro ex stretto collaboratore di Sarkozy durante la sua presidenza – un tecnocrate proveniente dall’ENA, che i francesi hanno conosciuto per l’elaborazione del piano di “de-confinamento” a partire dall’11 maggio.

A differenza del suo predecessore ha preso la tessera di LREM, e sembra volere essere un elemento propulsivo e coagulante della maggioranza parlamentare, guidando questo tentativo di “riassembramento”.

Una figura destinata ad essere in secondo piano rispetto a Macron – un “collaboratore” è stata la definizione data dalla stampa – che infatti anticiperà il suo Primo Ministro parlando il 14 luglio, prima che questo possa esporre ai deputati il suo progetto governativo, come sarebbe prassi, soprattutto considerato che enfatizza il suo ruolo di esponente della “maggioranza governativa”.

Come scrivono C. Pietralunga e A. Lemane sul quotidiano francese Le Monde, il 3 luglio: “c’è l‘impressione di una messa sotto tutela, rinforzata dalla scelta, per dirigere la cabina del primo ministro, di Nicolas Revel (…) vicino a Macron”. Un fedelissimo che aveva già cercato di “piazzare” a Matignon, incontrando però il diniego di Philippe.

Macron quindi vuole tenere saldo in mano il timone, timoroso dei segnali di riconfigurazione del paesaggio politico; a sinistra lungo l’asse Partito Socialista (PS) e verdi (EELV), ma anche dei suoi possibili avversari a destra tra LR, anche se RN (Le Pen) ha dimostrato di abbaiare senza però mai mordere.

Sono 9 i nuovi ministri, compreso il Primo Ministro; ed escono dalla compagine governativa alcuni nomi di peso come Castaner, Belloubet, Ndiaey, Pénicaud.

Il ministro dell’Interno C. Castaner è stato sostituito da G. Armanin, dopo il suo arrivo a place Beauvau il 16 ottobre del 2018. Uomo vicino al Presidente, era stato nominato dopo le dimissioni a sorpresa di G. Collomb, ex-notabile socialista, due volte sindaco di Lione, che ha perso alle recenti elezioni amministrative.

Eric-Dupont Moretti, avvocato proveniente dalle file della società civile, diviene “guarda-sigilli”; alla cultura va la ex-gaullista (UMP) Roselyne Bachelot, mentre Barbara Pompili, ex “verde” passata a LREM, diviene ministra dell’ecologia.

Membri della società civile, ex gaullisti e centristi, esponenti padronali, sono i protagonisti di questo rimpasto “gattopardesco” di ministri e delegati con un tocco di “rosa”: sono infatti sei le nuove ministre.

La scelta di Moretti – che sostituisce Belloubet – è un gesto di distensione verso gli avvocati, fortemente mobilitati contro la riforma pensionistica, ma è una figura piuttosto esposta, mediaticamente divisiva e osteggiata dai magistrati.

Il Presidente dei ricchi si conferma tale. Sarà la piazza a decidere il suo destino, come per ogni monarca giunto al crepuscolo.

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento