Una gara tra truffatori. Quella tra Mario Draghi e la Lega – accesa ieri con la polemica assenza dei ministri della Lega nel consiglio dei ministri che doveva dare il via alle legge delega sulla riforma del fisco – è la classica, sporca, sfida a chi prende meglio per i fondelli gli spettatori.
Al centro della polemica, al di là delle motivazioni di circostanza – “abbiamo ricevuto il testo mezz’ora prima della riunione”, lamenta il fascioleghista – facilmente smentite da fatto che se ne parla da mesi, c’è in primo luogo la riforma del catasto.
Ovvero della base su cui si possono calcolare le tasse da pagare sulla casa, dall’Imu per le seconde case alla Tari (la raccolta dei rifiuti), dalla tassa di successione all’imposta di registro per le compravendite. È noto a tutti che gli “estimi catastali” di ogni abitazione risalgono a 50 anni fa, quando i valori di mercato – complessivamente e delle singole aree geografiche – erano tutt’altri.
E va benissimo a tutti i proprietari di case – il 73% della popolazione possiede almeno una casa di proprietà – perché quei bassi valori consentono a tutti di pagare meno.
Naturalmente, proprio come le case, i proprietari non sono tutti uguali. Una folle politica della casa, che ha portato ad abolire di fatto la costruzione di alloggi popolari da dare in affitto calmierato, ha spinto tutti i lavoratori dipendenti ad acquistare almeno l’alloggio di residenza.
L’aumento continuo degli affitti – derivante proprio dalla mancanza di alloggi popolari – ha facilitato questa operazione, grazie a mutui ipotecari che alla fine costavano mensilmente meno di un affitto.
Abbiamo dunque una classica opposizione “interclassista” a qualsiasi revisione degli estimi catastali. Perché il 20% dei proprietari ha un reddito addirittura inferiore a 10mila euro lordi annui, il 94% ha introiti annuali che non superano i 55mila euro, mentre solo il 3% vanta proventi oltre i 75mila euro.
Più precisamente: circa il 42% ha uno stipendio da lavoro dipendente, in media 28.400 euro lordi; il 40,4% ha una pensione, mediamente di circa 20.480 euro; l’11% sono lavoratori autonomi, con un reddito di circa 29.800 euro.
Chi vive di redditi da patrimonio immobiliare sono invece solo il 6% (palazzinari e “pluriproprietari” che affittano).
Questa situazione sociale costituisce una platea elettorale enorme, in cui si può giocare qualsiasi partita perché una sola modifica viene avvertita da tutti come una ferita. Tanto per quelli che pagherebbero pochi euro in più quanto per quelli che dovrebbero mettere mano a cifre molto consistenti.
Solo per fare un esempio. Ci sono appartamenti “vista Colosseo” che risultano ancora accatastati come “case popolari” (perché lo erano, 50 anni fa, prima che la gentrificazione spingesse i lavoratori tutti oltre la cerchia delle mura aureliane).
È insomma una banalità dire che “bisogna rifare la mappa catastale e rivedere gli estimi”, come anche “accatastare gli immobili fantasma”. Il problema è: con quali criteri si fa questo lavoro? Semplicemente adeguando gli estimi ai “valori di mercato” (aumento vertiginoso della tassazione per tutti); oppure stabilendo una progressività impositiva per cui gli “immobili di pregio” pagano molto di più e quelli del “popolino” restano allo stesso livello (o addirittura diminuiscono). O altri ancora?
E qui entrano in gioco i truffatori di professione.
Tutti loro sanno, e sono d’accordo (non possono far altro, neanche volendo), che l’Unione Europea ha imposto – tra le 528 condizionalità per i prestiti del PNRR – anche la revisione degli estimi catastali per aumentare la tassazione sulle case.
La differenza nasce dal ruolo giocato. Mario Draghi e il fido Daniele Franco sono “tecnici” cui non interesse granché il consenso popolare; Salvini e soci, invece, vivono di quello e devono cercare di recuperare in qualche modo la mazzata presa al primo turno delle comunali.
Draghi agisce comunque con furbizia da navigato speculatore finanziario e quindi ha presentato una striminzita paginetta (una!) con dieci punti scritti molto vagamente, che dovrebbero rappresentare la “cornice” entro cui definire poi – da qui al 2026 – le “riforme” vere e proprie, da quella fiscale a quella del catasto, ecc.
La menzogna principale, clamorosa, riguarda la “rassicurazione” ripetuta a pappagallo da tutti gli opinion maker di regime: “Il contribuente medio non si accorgerà di nulla per quanto riguarda il catasto, resterà tutto come prima. Nessuno pagherà di più e nessuno pagherà di meno“. Fosse vero, perché fare la “revisione”?
Gli risponde – più che Salvini, ridotto nel suo angolo – il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, uno che “tecnicamente” ne sa forse più del premier, in materia. Il quale prima ricorda che “da un mese a questa parte si parla solo di catasto e della necessità di dare seguito alle richieste della Commissione europea. La quale – è bene evidenziarlo – nei suoi documenti indica espressamente l’aumento della tassazione sugli immobili quale obiettivo dell’aggiornamento degli estimi catastali da essa richiesto”.
E poi demolisce in due parole la menzogna di Draghi: “Rivedere gli estimi catastali e ottenere quel risultato [“Nessuno pagherà di più e nessuno pagherà di meno”, NdR] è impossibile, anche considerati i diversi tributi interessati (Imu, Irpef, imposta di registro, imposta di successione), oltre ai parametri Isee per le prestazioni sociali. Significa, allora, che il nuovo catasto non si applicherà subito? Se il senso dell’affermazione è questo, è evidente che l’appuntamento con i rialzi è solo rinviato”.
Sul resto, come potete vedere, ha già spiegato il senso Giorgio Cremaschi. Siamo governati da truffatori che lavorano conto terzi.
Solo che Salvini è un dilettante che si ferma alla “comunicazione” in stile “la Bestia”, con l’occhio ai “sciur Brambilla” della Bassa. Draghi lavora per mandanti più potenti...
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