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05/10/2021

Incognite Americane

di Guido Salerno Aletta

Sembra tutto fuori controllo, negli Usa: la sensazione è che i rimedi di politica fiscale e monetaria che sono stati adottati per la crisi economica innescata dalla epidemia di Covid-19 siano andati oltre il segno, pompando eccessivamente l'economia ed innescando una serie di reazioni negative a catena.

La prima questione è rappresentata dall'inflazione dei prezzi al consumo, ivi compresi quelli dei prodotti energetici.

Ci sono numerosi fenomeni, concomitanti.

Innanzitutto, la ripresa della domanda interna americana, sostenuta dalla spesa pubblica assistenziale, è stata sicuramente più dinamica di quella dell'offerta di beni che dipendono per la loro produzione dalle importazioni e dalla ricostituzione di una complessa catena organizzativa. I singoli ingranaggi devono essere rimessi in fase, dopo lo shock, ed ogni ritardo nelle forniture a monte si riverbera amplificato su quelle a valle: basta la mancanza di un singolo componente, anche se di piccola dimensione ma indispensabile, per compromettere la produzione di un bene.

C'è inoltre la indisponibilità immediata di forniture energetiche, gas, petrolio e carbone, su cui si innestano questioni sia tecniche ed economiche che geopolitiche e di strategia: la contrazione della domanda, che è stata determinata dalla epidemia, ha influito anche negli Usa sui prezzi dei prodotti petroliferi e sulla sostenibilità dello shale-gas che ha un livello di equilibrio cifrabile attorno ai 60-70 dollari per barile equivalente. Una dismissione, anche temporanea, di queste produzioni energetiche parcellizzate tra migliaia di pozzi e centinaia di piccoli produttori, non è immediatamente recuperabile: si dimostra anche in questo caso l'effetto distruttivo della catena produttiva che è stato determinato dalla pandemia. C'è dunque negli Usa una carenza di offerta di prodotti energetici che ha contribuito a far lievitare l'inflazione: ne è prova il fatto che il governo americano ha deciso di immettere sul mercato una quota delle riserve strategiche, per evitare un contraccolpo ancora più elevato sui prezzi. Non c'è dubbio però che, nonostante questa decisione, negli Usa il prezzo della benzina per gallone è praticamente raddoppiato a partire dall'inizio dell'estate.

C'è un dato cruciale: il sostegno economico erogato con larghezza alle famiglie americane, che pure è risultato indispensabile nel momento peggiore della recessione, cifrato in 300 dollari per famiglia per undici settimane a decorrere dalla fine di dicembre 2020, e quindi fino a fine marzo 2021, ha reso i percettori dei sussidi meno propensi a riprendere il lavoro alle precedenti condizioni: anche la carenza di manodopera ai livelli retributivi più bassi, con la conseguente richiesta di mantenere le provvidenze per la disoccupazione, può spiegare la lentezza nella ripresa della produzione.

Il dato che più fa riflettere è rappresentato dalla inflazione "core", quella che non dipende dai fenomeni congiunturali come la dinamica dei prodotti agricoli freschi e della stessa componente energetica: a fine settembre, negli Usa è arrivata al livello più alto degli ultimi trent'anni con il +4,3% su base annua, mentre la componente congiunturale la portava attorno al 5%. Vero è che la stessa Fed ritiene che si tratti di un dato non strutturale, e che nei prossimi anni l'inflazione sarà appena superiore al 2% annuo.

Sulla dinamica della inflazione si gioca quindi una decisione cruciale: c'è il pericolo che la Fed debba procedere alla riduzione degli stimoli monetari prima che la ripresa si sia consolidata e che sia stata riassorbita la disoccupazione riportandola al livello del 5% che viene ritenuto ottimale. Si tratta di quel livello, definito "frizionale", che evita tensioni salariali e che facilita il ricambio della manodopera nelle imprese. Il punto cruciale è rappresentato dal livello dei tassi di interesse, che sui titoli federali statunitensi a 10 anni gravita attorno all'1,5%: è un tasso reale pesantemente negativo, visto il livello attuale dell'inflazione, che può essere mantenuto così basso solo se le aspettative inflazionistiche volgono al ribasso. In questo momento, infatti, un rialzo dei tassi da parte della Fed sarebbe dirompente sia a livello economico, perché aggraverebbe il costo del denaro per le famiglie e per le imprese interrompendo la ripresa, ma soprattutto sul piano finanziario. Un rialzo dei tassi potrebbe dar vita ad una preferenza per i bond rispetto alle azioni, che hanno già raggiunto quotazioni molto elevate, e che sarebbero ulteriormente penalizzate per le peggiori performance economiche prospettiche delle imprese a causa dell'aumento del costo del denaro.

C'è poi la questione del "tetto" al debito federale statunitense.

È veramente poco probabile la decisione di annunciare il "tapering", la riduzione della liquidità mediante la vendita di titoli nel portafoglio della Fed nel momento in cui il governo federale chiede di alzare il tetto del debito federale, con una decisione congressuale che si presenta quanto mai controversa nonostante la maggioranza democratica che dovrebbe supportare le proposte presidenziali.

Il Segretario al tesoro Janet Yellen, già a capo della Fed, ha affermato che la mancata elevazione del tetto al debito pubblico federale sarebbe una prospettiva disastrosa: non solo si bloccherebbe la macchina amministrativa ma si darebbe ai mercati un segnale di ingovernabilità politica, proprio mentre ci sono in discussione due diverse strategie di bilancio.

Mentre il Presidente Biden ha dovuto rinunciare alla messa ai voti da parte del Congresso del piano di investimenti infrastrutturali da 2.000 miliardi di dollari che aveva presentato a marzo scorso, con un rinvio a tempo indeterminato, visto che l'accordo si può trovare "in sei ore, sei giorni o sei settimane", la sinistra del partito democratico ha presentato al Congresso un piano monstre da 3.500 miliardi di dollari, che prevede interventi assistenziali a favore delle famiglie, nel settore della istruzione, della sanità, e della transizione climatica. Ci sono le elezioni di mid-term a novembre del 2022, ed il partito democratico intende presentarsi al suo elettorato con il carniere ben colmo: c'è in ballo il rinnovo dell'intera Camera dei Rappresentanti e di un terzo del Senato federale.

La Presidenza Biden si trova ad uno snodo decisivo del suo mandato, tenendo aperti i rubinetti della spesa, con iniziative che andranno ad influenzare la dinamica già elevata dell'inflazione.

La Fed, a sua volta, deve mirare al pieno impiego e sperare che l'inflazione non vada fuori controllo. Non può tirare troppo presto i cordoni della politica monetaria: non solo rischia di innescare una catastrofe sui mercati azionari ma di compromettere anche la ripresa in Europa, perché i tassi americani più elevati creerebbero le condizioni per un aumento, anche se non simmetrico, da parte della BCE.

Inflazione, Tapering, Tetto al debito federale, Politica di bilancio espansiva

Incognite americane

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