Sembra tutto fuori controllo, negli Usa: la sensazione è che i rimedi di politica fiscale e monetaria che sono stati adottati per la crisi economica innescata dalla epidemia di Covid-19 siano andati oltre il segno, pompando eccessivamente l'economia ed innescando una serie di reazioni negative a catena.
La prima questione è rappresentata dall'inflazione dei prezzi al consumo, ivi compresi quelli dei prodotti energetici.
Ci sono numerosi fenomeni, concomitanti.
Innanzitutto, la ripresa della domanda interna americana,
sostenuta dalla spesa pubblica assistenziale, è stata sicuramente più
dinamica di quella dell'offerta di beni che dipendono per la loro
produzione dalle importazioni e dalla ricostituzione di una complessa
catena organizzativa. I singoli ingranaggi devono essere rimessi in
fase, dopo lo shock, ed ogni ritardo nelle forniture a monte si
riverbera amplificato su quelle a valle: basta la mancanza di un singolo
componente, anche se di piccola dimensione ma indispensabile, per
compromettere la produzione di un bene.
C'è inoltre la indisponibilità immediata di forniture energetiche, gas, petrolio e carbone,
su cui si innestano questioni sia tecniche ed economiche che
geopolitiche e di strategia: la contrazione della domanda, che è stata
determinata dalla epidemia, ha influito anche negli Usa sui prezzi dei prodotti petroliferi e sulla sostenibilità dello shale-gas
che ha un livello di equilibrio cifrabile attorno ai 60-70 dollari per
barile equivalente. Una dismissione, anche temporanea, di queste
produzioni energetiche parcellizzate tra migliaia di pozzi e centinaia
di piccoli produttori, non è immediatamente recuperabile: si dimostra
anche in questo caso l'effetto distruttivo della catena produttiva che è
stato determinato dalla pandemia. C'è dunque negli Usa una carenza di offerta di prodotti energetici che ha contribuito a far lievitare l'inflazione:
ne è prova il fatto che il governo americano ha deciso di immettere sul
mercato una quota delle riserve strategiche, per evitare un
contraccolpo ancora più elevato sui prezzi. Non c'è dubbio però che,
nonostante questa decisione, negli Usa il prezzo della benzina per gallone è praticamente raddoppiato a partire dall'inizio dell'estate.
C'è
un dato cruciale: il sostegno economico erogato con larghezza alle
famiglie americane, che pure è risultato indispensabile nel momento
peggiore della recessione, cifrato in 300 dollari per famiglia per
undici settimane a decorrere dalla fine di dicembre 2020, e quindi fino a
fine marzo 2021, ha reso i percettori dei sussidi meno propensi a riprendere il lavoro alle precedenti condizioni:
anche la carenza di manodopera ai livelli retributivi più bassi, con la
conseguente richiesta di mantenere le provvidenze per la
disoccupazione, può spiegare la lentezza nella ripresa della produzione.
Il dato che più fa riflettere è rappresentato dalla inflazione "core",
quella che non dipende dai fenomeni congiunturali come la dinamica dei
prodotti agricoli freschi e della stessa componente energetica: a fine
settembre, negli Usa è arrivata al livello più alto degli ultimi
trent'anni con il +4,3% su base annua, mentre la componente
congiunturale la portava attorno al 5%. Vero è che la stessa Fed ritiene che si tratti di un dato non strutturale, e che nei prossimi anni l'inflazione sarà appena superiore al 2% annuo.
Sulla dinamica della inflazione si gioca quindi una decisione cruciale:
c'è il pericolo che la Fed debba procedere alla riduzione degli stimoli
monetari prima che la ripresa si sia consolidata e che sia stata
riassorbita la disoccupazione riportandola al livello del 5% che viene
ritenuto ottimale. Si tratta di quel livello, definito "frizionale", che
evita tensioni salariali e che facilita il ricambio della manodopera
nelle imprese. Il punto cruciale è rappresentato dal livello dei tassi di interesse,
che sui titoli federali statunitensi a 10 anni gravita attorno
all'1,5%: è un tasso reale pesantemente negativo, visto il livello
attuale dell'inflazione, che può essere mantenuto così basso solo se le
aspettative inflazionistiche volgono al ribasso. In questo momento,
infatti, un rialzo dei tassi da parte della Fed sarebbe dirompente sia a livello economico,
perché aggraverebbe il costo del denaro per le famiglie e per le
imprese interrompendo la ripresa, ma soprattutto sul piano finanziario.
Un rialzo dei tassi potrebbe dar vita ad una preferenza per i bond
rispetto alle azioni, che hanno già raggiunto quotazioni molto elevate, e
che sarebbero ulteriormente penalizzate per le peggiori performance
economiche prospettiche delle imprese a causa dell'aumento del costo del
denaro.
C'è poi la questione del "tetto" al debito federale statunitense.
È veramente poco probabile la decisione di annunciare il "tapering",
la riduzione della liquidità mediante la vendita di titoli nel
portafoglio della Fed nel momento in cui il governo federale chiede di
alzare il tetto del debito federale, con una decisione congressuale che
si presenta quanto mai controversa nonostante la maggioranza democratica
che dovrebbe supportare le proposte presidenziali.
Il Segretario al tesoro Janet Yellen, già a capo della Fed, ha affermato che la mancata elevazione del tetto al debito pubblico federale sarebbe una prospettiva disastrosa:
non solo si bloccherebbe la macchina amministrativa ma si darebbe ai
mercati un segnale di ingovernabilità politica, proprio mentre ci sono
in discussione due diverse strategie di bilancio.
Mentre il Presidente Biden ha dovuto rinunciare alla messa ai
voti da parte del Congresso del piano di investimenti infrastrutturali
da 2.000 miliardi di dollari che aveva presentato a marzo
scorso, con un rinvio a tempo indeterminato, visto che l'accordo si può
trovare "in sei ore, sei giorni o sei settimane", la sinistra del partito democratico ha presentato al Congresso un piano monstre da 3.500 miliardi
di dollari, che prevede interventi assistenziali a favore delle
famiglie, nel settore della istruzione, della sanità, e della
transizione climatica. Ci sono le elezioni di mid-term a novembre del
2022, ed il partito democratico intende presentarsi al suo elettorato
con il carniere ben colmo: c'è in ballo il rinnovo dell'intera Camera
dei Rappresentanti e di un terzo del Senato federale.
La
Presidenza Biden si trova ad uno snodo decisivo del suo mandato, tenendo
aperti i rubinetti della spesa, con iniziative che andranno ad
influenzare la dinamica già elevata dell'inflazione.
La Fed, a sua volta, deve mirare al pieno impiego e sperare che l'inflazione non vada fuori controllo.
Non può tirare troppo presto i cordoni della politica monetaria: non
solo rischia di innescare una catastrofe sui mercati azionari ma di
compromettere anche la ripresa in Europa, perché i tassi americani più
elevati creerebbero le condizioni per un aumento, anche se non
simmetrico, da parte della BCE.
Inflazione, Tapering, Tetto al debito federale, Politica di bilancio espansiva
Incognite americane
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