Per capire, bisogna sapere. E per sapere bisogna studiare, essere curiosi, non accontentarsi delle spiegazioni facili.
Soprattutto, in un mondo in rapidissimo mutamento, non bisogna mai – assolutamente mai – cedere alla “coazione a ripetere” che porta anche i più sinceri antagonisti del capitalismo a ripetere vecchie interpretazioni che non reggono più davanti alla realtà.
Con questo spirito andiamo sempre in cerca di spunti informativi importanti per illuminare il quadro fosco che abbiamo tutti davanti agli occhi.
Ancora una volta abbiamo trovato su Milano Finanza, non certo una lettura abituale nella compagneria, qualcosa che può aiutare a ripulire la mente da incrostazioni sedimentate almeno da 30 anni. E che erano anche giuste e rispondenti alla realtà, quando le abbiamo lasciate incistarsi e consolidare. Oggi non lo sono manifestamente più.
In fondo, se l’economia è il fondamento dei rapporti capitalistici, è sempre lì che bisogna guardare per scoprire le ragioni di salite e discese nella classifica delle “potenze”. Nel mondo e in Europa.
Buona lettura. E soprattutto buona riflessione...
Soprattutto, in un mondo in rapidissimo mutamento, non bisogna mai – assolutamente mai – cedere alla “coazione a ripetere” che porta anche i più sinceri antagonisti del capitalismo a ripetere vecchie interpretazioni che non reggono più davanti alla realtà.
Con questo spirito andiamo sempre in cerca di spunti informativi importanti per illuminare il quadro fosco che abbiamo tutti davanti agli occhi.
Ancora una volta abbiamo trovato su Milano Finanza, non certo una lettura abituale nella compagneria, qualcosa che può aiutare a ripulire la mente da incrostazioni sedimentate almeno da 30 anni. E che erano anche giuste e rispondenti alla realtà, quando le abbiamo lasciate incistarsi e consolidare. Oggi non lo sono manifestamente più.
In fondo, se l’economia è il fondamento dei rapporti capitalistici, è sempre lì che bisogna guardare per scoprire le ragioni di salite e discese nella classifica delle “potenze”. Nel mondo e in Europa.
Buona lettura. E soprattutto buona riflessione...
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La Germania si ritrova sola di fronte ai prezzi impazziti
La Germania si ritrova sola di fronte ai prezzi impazziti
di Guido Salerno Aletta – Milano Finanza
Non c’è solo inflazione in Germania, ma anche confusione: i prezzi nel complesso ricominciano a crescere, invece di diminuire, anche perché vengono meno un po’ alla volta i sussidi pubblici che in passato avevano contenuto l’aumento dei prezzi.
In giugno i prezzi sono aumentati del 6,4% rispetto a un anno fa, mentre a maggio l’incremento era stato del 6,1%: ma l’anno scorso, proprio a giugno, era stato introdotto il voucher mensile a 9 euro che consentiva la libera circolazione sui mezzi di trasporto locali.
Una misura durata tre mesi, fino ad agosto: essendo stata piallata la base di partenza, ora c’è un rimbalzo.
Anche i prezzi dei generi alimentari, che pesano per un 10% sul paniere, mostrano un andamento complessivamente molto elevato, con un +13,7% in ragione d’anno, una percentuale dunque assai più elevata della media dell’inflazione, con fortissime variazioni sia al rialzo sia al ribasso: in maggio, per esempio, il prezzo dello zucchero è aumentato del 70,8% rispetto a un anno prima, mentre quello del burro è diminuito del 23,3%.
Anche nel settore dei trasporti è accaduto lo stesso: +28% per i voli internazionali, ma -22,9% nei servizi combinati di trasporto.
Anche nel settore energetico è tutto un sali e scendi: il gas naturale è aumentato del 40,3% mentre il gpl è diminuito del 4,8%; la benzina super è diminuita del 12% mentre il diesel è diminuito quasi del doppio, del 21,3%.
Ci sono altri prezzi che scendono, quelli delle case, dopo che erano cresciuti eccessivamente negli ultimi due anni: nel primo trimestre di quest’anno sono diminuiti del 6,8% rispetto allo stesso periodo del 2022, proseguendo il calo del 3,4% iniziato nell’ultimo trimestre dell’anno scorso.
L’aumento dei prezzi, che tra il 2018 e la metà del 2020 era stato sempre contenuto tra il 5% e il 6% annuo, aveva cominciato ad accelerare fino ad arrivare al 12,6% nell’ultimo trimestre del 2021. E a tirare di più non erano le case nuove, ma quelle esistenti con un +13,4%: tassi a zero e liquidità immessa durante il biennio di pandemia avevano fatto la loro parte.
Conti in disordine anche alla Bundesbank
Il grande disordine regna anche nei bilanci della Bundesbank: ammontano a 650 miliardi di euro le perdite nel 2022 derivanti dalla combinazione tra costi di remunerazione dei depositi bancari e interessi negativi sulle detenzioni dei titoli di Stato tedeschi acquisiti per ragioni di politica monetaria.
Anche la questione delle minusvalenze latenti è seria, visto che in portafoglio ci sono titoli per 666 miliardi acquisiti sulla base del Qe e per 412 miliardi acquisiti sulla base del Pepp.
Non aveva affatto torto chi, nel Bundestag, si era lamentato della pericolosità dei tassi negativi: ma la Corte di Karlsruhe, dopo l’interlocuzione con la Bce, non se l’era sentita di mandare tutto all’aria. Era il prezzo da pagare per evitare lo scacco matto all’euro, il re nero sulla scacchiera tedesca.
C’è un’altra distonia, che consegue alla combinazione tra il vigoroso mercantilismo tedesco, fondato sulla creazione di una rete di Paesi subfornitori del suo apparato industriale, e le riforme Hartz che hanno assorbito la disoccupazione di massa nei settori a basso valore aggiunto protetti dalla concorrenza internazionale, senza aumentare in modo inflazionistico la domanda interna.
L’accumulo di una colossale posizione finanziaria internazionale netta, che alla fine dello scorso anno ha segnato un attivo di 2.750 miliardi di euro, comporta necessariamente l’effettuazione di investimenti diretti della Germania all’estero, nei Paesi subfornitori a basso costo della sua industria, che infatti sono stati pari a 135 miliardi di euro nel 2022. Gli investimenti diretti stranieri in Germania sono stati invece solo di 10,5 miliardi.
Una società divisa
La società tedesca è stata divisa tra una ristretta aristocrazia operaia, che ora rischia di perdere i suoi privilegi per la grande trasformazione in atto in una serie di settori fondamentali come quello della meccanica automobilistica, e un ampio sottoproletariato urbano, ghettizzato tra i mini-job nel comparto dei servizi e i sussidi pubblici.
È questa la manodopera a impiego flessibile, poco qualificato e a basso costo, su cui si è retta sul versante interno la competitività del sistema industriale tedesco che ha accumulato per vent’anni saldi commerciali strepitosi.
Per mantenerlo in piedi, ora la Germania non fa altro che continuare a investire nei Paesi che offrono le migliori opportunità di profitto.
Siamo alla fine del ciclo geopolitico che ha portato la Germania prima alla riunificazione e poi al ruolo di pivot indispensabile per assorbire nell’Unione europea i Paesi ex-comunisti: i suoi rapporti troppo stretti con la Russia e con la Cina le hanno fatto perdere il ruolo storico di antemurale dell’Occidente, a cui ogni debito era rimesso e ogni colpa perdonata.
A est c’è una nuova Cortina di Ferro che cala dal Baltico, passa dalla Polonia e arriva all’Adriatico.
La Germania è nel pieno della fase distruttiva del paradigma energetico e industriale, politico e sociale, su cui ha fondato la sua dominanza: se accetta con docilità, con rassegnazione, questa prospettiva è perché sa di essere da sola.
È il suo egoismo che l’ha perduta.
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