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16/07/2023

Vilnius, o cara

Il recente summit della Nato a Vilnius non ha risolto il problema più importante per l’alleanza: evitare in Ucraina un bivio fatto di cronicizzazione della guerra da un lato e di escalation militare dall’altro.

In realtà già da prima del summit gli analisti della NATO, quelli a diretto contatto con la dimensione decisionale, si erano mostrati scettici sulla possibilità di evitare questo genere di bivio. Sia per il flop della controffensiva ucraina sia per le difficoltà logistiche e finanziarie nel sostegno materiale permanente a Kiev sia per la sostenibilità politica, nel lungo periodo, di una guerra permanente contro la Russia.

C’è anche un altro problema, tutto interno alla NATO, che consiglierebbe moderazione all’alleanza. L’offensiva in corso, sul cui fallimento ci sono le prime ammissioni di Zelensky, di ucraino ha giusto i soldati che sono mandati a morire al fronte. Logistica, monitoraggio, piani di attacco, tecnologie sono tutte di marca Nato. Il fallimento, quindi, è tutto occidentale mentre, beffa tra le beffe, gli unici successi significativi degli ucraini si sono registrati là dove si sono impiegate le vecchie armi di origine sovietica.

In poche parole la NATO e l’Ucraina, assieme, non sono in grado di garantire gli obiettivi che, almeno ufficialmente, si erano dati con l’offensiva: sferrare un colpo serio alla Russia nella prospettiva di ripristinare i confini del 1991 tra Mosca e Kiev. Proprio perché l’obiettivo è lontano la NATO, a Vilnius, ha tenuto quindi ufficialmente lontano Kiev dalla immediata prospettiva di una adesione all’alleanza atlantica.

In realtà, oltretutto, i rapporti tra NATO e Ucraina non sono così lineari dai primi anni 2000 come scrivevamo all’inizio del conflitto e, oggi, a maggior ragione a offensiva bloccata, riemergono tutte le criticità del rapporto strutturale tra alleanza e Kiev.

Altra questione riguarda gli armamenti: da Vilnius esce una prospettiva di riarmo ucraino fatta di patti bilaterali (bombe a grappolo via Usa, tank via Germania, missili via Francia) che aumenterà le potenzialità dell’arsenale di Kiev ma senza prefigurare un vero sbocco militare favorevole all’Occidente.

La NATO non riesce, almeno oggi, a risolvere il dilemma fatto di cronicizzazione della guerra, nella quale nessuno dei contendenti sferra l’offensiva finale, ed escalation ovvero rischio di intervento diretto da parte delle forze dell’alleanza con effetti catastrofici sul piano globale. Tra l’altro proprio Kiev, con il supporto di stati baltici e Polonia, è sospettata di pensare l’uso di questa carta come strumento della disperazione per evitare la dissoluzione del proprio paese.

In questo conflitto le difficoltà di Mosca sono reali e lo dimostra la lentezza delle offensive che si sono svolte dal febbraio 2022 ad oggi. Ma quello che è accaduto è che Mosca ha dimostrato capacità di resilienza sul doppio piano di guerra, sul campo ed economico-finanziario, mosso dall’Occidente e di resistenza sul terreno dello hybrid warfare, il conflitto fatto su diversi piani materiali e immateriali, nella quale i russi, va ricordato, sono precursori. La situazione oggi è tale per cui Nato e Ucraina non avanzano e la Russia, pur non sferrando colpi decisivi, non arretra. Quando si sbloccherà? Sicuramente quando Usa e Russia si metteranno davanti ad un tavolo di trattative. Il punto è che nessuna delle ragioni ucraine e dell’alleanza, sostanzialmente il ripristino dei confini del 1991, oggi è materialmente ottenibile e nemmeno avvicinabile. E in questa assenza di obiettivi raggiunti torna il bivio della storia temuto da Occidente e ucraini tra cronicizzazione della guerra ed escalation catastrofica.

Cosa rimane in uno scenario del genere? Il fatto che la NATO ha avviato un fondo finanziario di rischio, parole dello stesso segretario generale dell’alleanza, dedicato all’innovazione tecnologica in guerra. I fondi di rischio sono uno strumento, come dire, regale delle guerre finanziarie. La NATO finisce per occupare così, dopo il core business delle guerre finanziarie, anche una testa di ponte nella guerra finanziaria. E qui sul ritardo della politica in generale, e di quella italiana in particolare, rispetto a questi temi è meglio stendere decorosamente un velo e passare ad altro.

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