di Francesco Dall'Aglio
La meritoria (a volte) funzione “ricordi” di Facebook mi ricorda, appunto, che un anno fa si discuteva di una offensiva ucraina, all’epoca nella regione di Cherson, in apparenza molto simile a quella che stiamo vedendo adesso.
Dopo un periodo di tempo relativamente lungo passato a cercare di infrangere le difese russe, si era aperta una prima breccia molto piccola e in apparenza poco promettente, continuamente battuta dall’artiglieria russa (vedi la mia carta allegata, appunto di un anno fa).
Le differenze, però, finiscono qui, e non solo perché le truppe ucraine ci hanno messo molto meno tempo a riprendere la regione, cosa che invece al momento non appare prossima.
Soprattutto, non è stata la breccia nei campi di Suhi Stavok a provocare, alla fine, la ritirata russa da Cherson, ma una decisione del comando russo non motivata da una minaccia immediata, ma dalla percezione (del tutto corretta) che le cose avrebbero potuto sensibilmente peggiorare fino al disastro vista la situazione di inferiorità numerica abbastanza marcata e, soprattutto, le difficoltà logistiche di approvvigionare un contingente tramite solo due ponti su Dneper costantemente battuti dall’artiglieria e dai missili nemici.
Questo, unito all’ancor più precipitosa ritirata dal fronte di Kharkiv a settembre, causata da motivazioni ancora differenti (scarsità numerica, scarsa qualità di molti dei reparti schierati, mancanza di un piano di difesa organizzato, carenze serissime nella catena di comando) ha diffuso la percezione che le truppe russe, qualora messe alla prova da un assalto concentrato, non sono in grado di resistere e devono inevitabilmente ritirarsi.
Questa percezione è del tutto errata, ma forse spiega come mai le FFAA ucraine e i loro handler NATO stanno insistendo da quasi tre mesi nel tentativo di replicare, con più forze, lo stesso schema di Cherson, e come mai prima ancora che l’offensiva iniziasse il clima generale era di entusiasmo assoluto.
Se si sono ritirati da Cherson e da Kharkiv a causa di un’offensiva sì massiccia, ma condotta con meno uomini e mezzi di questa e senza le superarmi occidentali, a maggior ragione si ritireranno ora, devono aver pensato, e hanno agito e stanno agendo di conseguenza.
“Di conseguenza”, però, al loro ragionamento, non alla realtà dei fatti.
Il problema, appunto, è che le truppe russe non si sono ritirate da quei due settori perché non hanno retto il colpo.
A Cherson hanno retto benissimo e inflitto perdite pesanti finché non è stata la costrizione logistica a farli ritirare, non la rottura del fronte o un crollo del morale. A Kharkiv invece hanno girato le spalle non appena hanno capito che la situazione era seria, sapendo di non avere i mezzi per resistere efficacemente.
Qui però hanno sia i mezzi per resistere che il numero che il morale, e soprattutto linee logistiche stabili (un’altra percezione errata dovuta alla campagna di Cherson: le linee logistiche russe sono fragili, non ci vuole niente a metterle in crisi tra HIMARS e droni.
Non è così, mi pare sia ormai chiaro, e infatti l’offensiva non avanza. Replicare sempre lo stesso schema perché una volta ti è andata bene non è, purtroppo, una ricetta valida per il successo, come gli eventi di questi mesi stanno dimostrando.
C’è da chiedersi, volendo fare un po’ di storia controfattuale, cosa sarebbe successo se i russi NON si fossero ritirati da Cherson e avessero continuato a resistere, scommettendo di poter mantenere funzionanti le linee logistiche. Ma la storia controfattuale non ci interessa, se non per esercizio intellettuale.
Ci interessa quella che vediamo svolgersi nella realtà, e quella ci dice che anche se probabilmente qualcuno ha pensato fossero la stessa cosa, si tratta di due controffensive radicalmente diverse e non solo per i risultati finora raggiunti.
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