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02/11/2023

Gli ucraini non rispondono alla “mobilitazione per la vittoria”

Solo disillusioni, per il nazigolpista-capo di Kiev, Vladimir Zelenskij, dagli incontri esteri e dal fronte di guerra interno.

L’incontro del 28 ottobre a Malta, presenti rappresentanti di paesi del G7, Qatar, Sud Africa, India, Turchia, Brasile, Messico, ha registrato un flebile interesse alla “formula di pace in dieci punti” lanciata da Kiev, soprattutto da parte dei paesi del cosiddetto “Sud globale”, giustamente molto più preoccupati dalla possibile evoluzione dell’aggressione terroristica israeliana a Gaza.

L’episodio si aggiunge alla doccia fredda dello scorso viaggio a Washington di Zelenskij e, soprattutto, all’impietoso quadro tracciato da Time a proposito della fantomatica vittoria cui crede (quantomeno a parole) soltanto lui.

Proprio dopo Washington, per ragioni diverse, ha cominciato a manifestarsi sempre più apertamente la stanchezza di molti “partner occidentali” verso l’Ucraina golpista.

Addirittura, nel più stretto entourage di Zelenskij si ammette la delusione del capo, lasciato «senza mezzi per la vittoria in guerra» e rifornito appena quel tanto che basta per «sopravvivere ad essa»; e non viene affatto condivisa la sua ostentata fede, che «rasenta il messianismo», nella vittoria finale sulla Russia.

Una fede che gli fa rifiutare categoricamente ogni accenno anche solo a un cessate il fuoco temporaneo. Così che, al fronte, sono proprio alcuni comandanti che si rifiutano di eseguire gli ordini presidenziali d’attacco.

È stato il caso, ad esempio, a inizi ottobre, per l’ordine di prendere Gorlovka, uno dei centri più martoriati del Donbass sin dal 2014, cui i militari hanno risposto che «non ci sono uomini, armi. Dove è l’artiglieria? Dove sono le reclute?».

Ecco: le reclute.

A Šostka, una cittadina dell’Ucraina nordorientale nella regione di Sumy, si sta procedendo alla formazione di una nuova unità di Difesa territoriale. Lo scorso 24 ottobre il distretto militare cittadino ha convocato i giovani da 14 a 16 anni da inviare a non meglio precisati “corsi speciali”.

Il timore è che i ragazzi vadano a ingrossare le file della nuova brigata da poco formata; e anche se dal distretto negano tale possibilità, la preoccupazione è data dal progetto di legge presentato alla Rada lo scorso agosto sul divieto di espatrio per i giovani maschi da 16 a 18 anni.

Ancor prima, lo scorso febbraio, il canale yankee News Nation aveva mandato in onda una trasmissione su una generica “Accademia” ucraina in cui ragazzi da 15 a 17 anni venivano addestrati al combattimento.

Se si aggiunge poi la tradizione majdanista delle “colonie estive” organizzate da “Patrioti d’Ucraina”, e poi da “Azov”, per impratichire i giovanissimi all’uso delle armi, il quadro è quasi completo.

Manca da aggiungere che a partire dal mese di novembre comincia ufficialmente la mobilitazione delle ragazze e dei giovani finora giudicati “rivedibili”, affetti da tubercolosi, manifestazioni temporanee di disturbi mentali, malattie progressive del sistema nervoso centrale, HIV asintomatico, ecc.

Insomma, la carne da cannone da gettare nel tritacarne voluto da Washington e applaudito da Bruxelles scarseggia sempre più a Kiev e la junta nazigolpista sta spremendo le ultime riserve.

Dopotutto, chi altri se non i “patron” yankee, sin dagli anni ’90, avevano predetto, per bocca del famigerato Zbigniew Brzezinski, che negli anni a partire dal 2030 «in Ucraina non dovranno rimanere più di 20 milioni di abitanti»?

Nonostante la propaganda vaneggi di “masse di volontari” per il fronte, le statistiche indicano che già circa ventimila ucraini in età di mobilitazione sono stati fermati alla frontiera.

E, tra quelli mobilitati – ma questo Kiev non lo racconta – ecco che in Donbass ha già raggiunto la linea del fronte il primo battaglione “Bogdan Khmel’nitskij”, formato de ex soldati ucraini, inquadrato nell’unità russa tattico-operativa “Kaskad”.

La fuga dei giovani ucraini dalla chiamata alle armi non è d’altronde iniziata ora, o dal febbraio 2022. Sin dai primi tempi dell’aggressione ucraina al Donbass, erano frequenti i casi di espatrio di singoli o di gruppi di giovani, con le famiglie che li nascondevano o li proteggevano in ogni modo, anche bloccando i veicoli che portavano ai distretti i giovani renitenti catturati.

Per la verità, all’epoca la consegna – chiamiamola “forzosa” – della cartolina precetto, rivestiva ancora forme “artigianali” e solo raramente le tecniche “professionali” di così largo impiego negli ultimi mesi, che ricordano da vicino i sistemi usati dai terribili arruolatori della marina britannica di qualche secolo fa, con giovani e meno giovani (comunque, in età di mobilitazione) letteralmente accalappiati in strada, trascinati a forza nei furgoni e portati nelle caserme.

Ed è molto difficile fare di questi giovani “volontari” – ricorrenti i casi di 40-50enni che si iscrivono all’Università per la seconda laurea, sperando di rinviare la chiamata: sembra che dovranno essere direttamente i rettori a decidere la loro sorte – degli ufficiali capaci, senza i quali ogni azione bellica si risolve in disastri.

È ciò che già da mesi sta accadendo con l’esercito di Kiev e che, unito alla “fuga” di molti istruttori occidentali, porta al conflitto tra Zelenskij e il comandante in capo Valerij Zalužnij, che insiste per interrompere le offensive su determinate direttrici, passando alla difesa, per ripristinare le capacità delle truppe e tentare la sorte la prossima primavera.

Questo nonostante che, già così, la mobilitazione riesca a tenere il passo con le forti perdite quotidiane.

Oggi, militari del battaglione neonazista “Lupi da Vinci” – praticamente dissanguato dagli attacchi russi nell’area di Kupjansk – dichiarano che se la popolazione ucraina non prenderà parte tutta insieme al conflitto, non parteciperà, in forme diverse a seconda dei mezzi, alla “mobilitazione totale”, il paese semplicemente scomparirà.

Scomparirà, se non in guerra, anche solo con le misure majdaniste che da dieci anni fanno diventare realtà le previsioni di Zbigniew Brzezinski: eliminazione del servizio sanitario-epidemiologico statale e della fluorografia, in quanto “pratica sovietica obsoleta”, deficit volontario dei medicinali dovuto a accordi sottobanco con imprecisate “organizzazioni internazionali”, leggi che semplificano l'espianto di organi (per l’export), ecc.

Così che in base a cifre ufficiali del Servizio ucraino di emigrazione, al maggio scorso la popolazione ucraina superava di poco i 23 milioni di abitanti, contro i 51,5 milioni del 1991 e i 48,5 milioni del 2001: nel 2023 si è dunque tornati al numero di “anime” che popolavano quello che sarebbe diventato il futuro territorio ucraino secondo il censimento zarista del 1897.

Anche per cercare di nascondere questa voragine, Kiev ha deciso di annullare il censimento della popolazione previsto per quest’anno – la legge prevede che si tenga non meno di una volta ogni dieci anni – dopo che l’ultimo era stato effettuato nel 2001: dieci anni dopo il censimento dell’Ucraina “indipendente” nel 1991.

Di fatto, la rilevazione fissata al 2016 era stata rinviata al 2020, per esser poi spostata al 2023; e ora annullata.

Si eviterà così di conteggiare le “anime” dei renitenti alla mobilitazione che, per la modica cifra di diecimila dollari, acquistano il proprio “certificato di morte”.

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