Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

07/11/2023

Salari sempre più poveri. E solo in Italia

C’è un record che appartiene solo all’Italia in mezzo alle prime 38 economie del mondo, riuniti convenzionalmente nell’Ocse. Mentre negli altri 37 paesi (diversissimi tra loro per modello economico e sistema politico) i salari reali crescono, qui da noi sono fermi.

Il che, in presenza di un’inflazione comunque importante, significa perdita di potere d’acquisto. Impoverimento secco, insomma.

I dati dell’Ocse sono impietosi, anche perché per il quarto trimestre consecutivo (quello tra aprile e giugno di quest’anno) l’aumento di reddito reale – superiore insomma al tasso di inflazione – è stato in media dello 0,5%. In Germania i redditi familiari sono saliti dello 0,5%, in Francia dello 0,1%, in Gran Bretagna dello 0,9% e negli Stati Uniti dello 0,5%.

Non molto, quasi impercettibile, ma pur sempre meglio di quanto avviene da noi, dove l’inflazione si mangia fette sempre maggiori di reddito in presenza di una dinamica salariale immobile.

La rilevazione Ocse fa seguito peraltro ad un’altra assolutamente simile, nel report precedente, pubblicato al termine di un trimestre anche più premiante per i redditi da lavoro (altrove, certo). Già allora “L’Italia è il Paese che ha registrato il calo dei salari reali più forte tra le principali economie Ocse”, visto che “alla fine del 2022 i salari reali erano calati del 7% rispetto al periodo precedente la pandemia” e “la discesa è continuata nel primo trimestre del 2023, con una diminuzione su base annua del 7,5%”.

Persino il Centro Studi di Mediobanca – certo non sospettabile di simpatie per il socialismo… – segnalava già due mesi fa che “la componente maggiormente penalizzata in termini di potere d’acquisto, con una perdita stimata intorno al 22%”.

Al contrario delle società industriali e terziarie italiane che “hanno segnato performance decisamente positive” sul fronte della marginalità e della redditività, con utili cresciuti del 26,2%, un valore aggiunto salito del 7,7%, un margine operativo netto aumentato del 21,9%.

Numeri non equivocabili che certificano come l’inflazione, se non contrastata da una “scala mobile” come quella rivendicata – e ottenuta – dai lavoratori dell’auto negli Stati Uniti sia un vettore di redistribuzione del reddito tutto a vantaggio delle imprese. Perché soltanto loro possono scaricare “liberamente” i maggiori costi sul prezzo finale delle merci.

È noto come sia il governo Draghi (con dentro Pd, Lega e M5S) sia quello della Meloni abbiano affrontato il problema dei redditi in calo per i lavoratori: con modesti tagli del “cuneo fiscale”. Ovvero con la monetizzazione immediata di una parte dei contributi previdenziali previsti in busta paga. Ovvero con una volgare “partita di giro” sui soldi che sono già dei lavoratori fatta a costo di scombinare definitivamente i meccanismi che presiedono al sistema pensionistico.

Riducendo infatti il “cuneo fiscale” si riduce l’accantonamento di risorse per pagare sia le pensioni in essere che, soprattutto, quelle future. Insomma: per “non disturbare le imprese” che fanno “liberamente” profitti, il governo accolla alla fiscalità generale dello Stato – che dovrà ripianare il buco creato nei conti Inps, oppure (come stanno già facendo) ridurre gli assegni pensionistici con un minore adeguamento annuale al costo della vita.

In altri termini, non è che il governo non si sia accorto che i lavoratori stiano perdendo reddito mese dopo mese. Lo sa benissimo e gli va bene così.

Oltretutto, sul piano dell’economia generale del paese, agisce in modo completamente ottuso, perché le categorie sociali che intende così favorire – imprese, commercianti, ecc. – si ritrovano con una “clientela” sempre più povera. Che dunque compra meno, anche se a prezzi più alti.

E non basterà certo favorire ancora di più la loro evasione fiscale – i lavoratori, come sappiamo tutti, non hanno neanche questa possibilità da miserabili – per compensare le future minori entrate. La discesa infernale verso il degrado produttivo e sociale è il loro orizzonte, checché dicano...

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento