L’editoriale del Corriere della Sera del 3 marzo, dal titolo “I pericoli del declino americano” e firmato da Antonio Polito è un inno all’ignoranza (voluta, per carità, sia chiaro). Però elevata a proclama pubblico di genuflessione al colonialismo culturale; laddove la colonia è, come al solito, quella italiana.
D’altronde, il percorso “politico” dell’estensore del servizio riassume – in Wikipedia veritas, qualche volta – lo scompiglio patito da tutta una conventicola di personaggi, diventati “famosi” (“alla maniera di Erostrato”, avrebbe detto il buon Ilic’) passando dal giurare di “Servire il popolo” di brandiraliana memoria, al lagrimare di fronte a un “Servo del popolo” di ispirazione banderogolpista, senza saltare nessuna delle tappe d’obbligo sulla via euroliberale.
«L’impotenza della superpotenza rende il mondo più pericoloso, non più pacifico», assicura l’ex Senatore di PD-Ulivo. Non possiamo non concordare, anche se, con ogni probabilità, per ragioni opposte: il declino dell’imperialismo yankee lo rende davvero più pericoloso, soprattutto per i suoi tentativi via via più affannosi di non perdere la supremazia mondiale.
Lo rende più pericoloso anche per la vecchia Europa, dal momento che la crisi interna alla «superpotenza» la spinge sempre più a mandare all’attacco i maniaci della guerra di Francia, Gran Bretagna, Polonia, Germania, Italia, ecc., rimanendo a osservare come le economie europee sprofondino sempre più su binari di guerra, peraltro molto profittevoli per i monopoli militar-industriali, che – al pari di quelli finanziari – “non hanno patria”.
Dopo un passaggio d’obbligo su «L’impotenza della Casa Bianca a fermare Netanyahu» – come se Israele, di per sé, non sia da sempre il “cane da guardia” USA in Medio oriente; non se ne ricorda Polito? Quante volte lo avrà ripetuto anche lui, quando (forse) credeva.di “Servire il popolo” – eccoci al dunque: il Congresso americano deve approvare gli «aiuti militari a Kiev», se non vogliamo assistere alla «vittoria sul campo dell’aggressore».
E allora giù a tirar pietre contro «i “pacifisti” con la bandiera bianca» che auspicano la «resa di Zelensky»; perché, assicura il signor Polito, lo «scambio tra il sacrificio degli ucraini e la pace universale non funziona. Anzi. Guarda caso, proprio mentre vince, Putin torna a minacciare apertamente l’uso dell’arma nucleare».
Ma, al Corriere, hanno letto ciò che ha detto Vladimir Putin a proposito delle armi nucleari, oppure hanno fatto atto di fede di fronte a una velina trasmessa loro da Washington via Kiev?
E, a proposito del «sacrificio degli ucraini», dove guardavano quelli del Corriere nel 2014, 2015, ecc., mentre la junta nazigolpista insediata a Kiev dalla «superpotenza» dava avvio, su ordine di FMI e BM, alla campagna di affamamento del popolo ucraino e cominciava i bombardamenti terroristici sul Donbass?
In effetti, scrive il vero il signor Polito, quando proclama che «Solo degli ingenui, o degli ignoranti della storia, o peggio dei fiancheggiatori, potevano immaginare che un mondo in cui chiunque può andarsene in giro a occupare territori con la bomba atomica in tasca diventasse più sicuro»: in effetti non è forse esattamente quello che hanno fatto e fanno dal 1945 gli imperialisti yankee?
Ci permettiamo di rinverdire un ricordo di gioventù all’ex adepto del “Giusto nucleo d’acciaio”, nelle cui sedi, oltre all’obbligatoria foto di Aldo Brandirali in tunica verde “à la Mao”, campeggiava un’immagine del Presidente cinese.
Ebbene, già nel 1964 Mao scriveva che «Spadroneggiando dappertutto, l’imperialismo americano è divenuto il nemico dei popoli di tutto il mondo e si è sempre più isolato. Le bombe atomiche e all’idrogeno nelle mani degli imperialisti USA non potranno mai intimorire coloro che rifiutano di essere schiavi. L‘ondata di collera dei popoli del mondo contro gli aggressori americani è irresistibile. La loro lotta contro l’imperialismo USA e i suoi lacchè otterrà sicuramente vittorie sempre più grandi». Faticosamente, certo, e a duro prezzo, ma a volte ci si riesce...
Ma al Corriere pare siano convinti che la «“pax americana” è stata certamente imperfetta, spesso imposta con la forza, talvolta in modo ingiusto o crudele; ma ha garantito un lungo periodo di prosperità e sicurezza a tutti noi, ecc.». “Noi”, chi? Ai precari a 500 euro al mese, no davvero; ai leccapiedi stile Corriere certamente sì...
A quei signori non viene il dubbio che se per qualcuno e per un periodo di tempo abbastanza limitato si sono avute “prosperità e sicurezza” sia stato anche per la presenza di un campo socialista che, con tutti i limiti e le deviazioni che dovevano condurre al crollo del 1989-’91, faceva da contrappeso al brigantaggio neocolonialista euroamericano in Africa, Asia e America Latina, all’esterno e, nei singoli paesi, obbligava le classi dirigenti a trattare con un movimento operaio allora forte?
Per quei signori del Corriere, le aggressioni a Vietnam, Laos, Cambogia, le campagne di sterminio dei movimenti di liberazione in America Latina, i golpe sanguinari organizzati dalla CIA in giro per il mondo, dall’Iran, al Cile, all’Ucraina, non sono che il necessario tributo alla “pax americana” e dobbiamo dunque «smettere di credere, e di far credere, che il declino americano sia nel nostro interesse», perché questo non è altro che «il frutto della ben sperimentata tecnica russa della disinformazione». Strano, sembrava fosse un dato molto reale, ormai...
Dobbiamo farlo, dice ancora, perché «Per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra mondiale una minaccia armata alla nostra libertà, al nostro stile di vita, al nostro benessere, è alle porte del continente».
Di nuovo ci permettiamo di chiedere: da chi viene la vera minaccia armata? E poi, la libertà di chi e di far cosa? Il benessere di chi e sulla pelle di chi? Lo stile di vita di chi? Forse quello di quei già quasi duecento lavoratori morti sui cantieri dall’inizio del 2024?
Ma al Corriere sono sicuri che la minaccia venga da est e solo da est. Ora, più volte si sono ripetute le considerazioni sull’attuale “modello russo”, uscito dalla distruzione dell’Unione Sovietica. Ma non è di questo che si parla. Qui si parla di un concetto-base, a suo tempo forse conosciuto anche dall’ex brandiraliano: il famoso “sviluppo a balzi del capitalismo”, con l’ascesa di alcune potenze e il declino di altre e la conseguente fobia militarista di queste ultime nei confronti delle altre, da cui proviene, oggi, la «minaccia armata» che è anche «alle porte del continente».
Ma, al Corriere, l’unica panacea è quella sperimentata in ossequio alla centenaria esperienza di servire sempre e comunque il governo di turno; così, anche in questo caso, la smania di “Servire il popolo” si esprime nell’invocazione a mettere «da parte le differenze di politica interna che ci dividono in tempi normali. Dando fiducia, come avvenne all’inizio della vicenda repubblicana, a quelle forze politiche che garantiscono senza ambiguità la scelta di campo, la collocazione internazionale dell’Italia».
Avanti, tutti insieme, tutti stretti nell’abbraccio patriottico (si fa per dire: in realtà, per la “patria” a stelle e strisce), per una nuova crociata contro il barbaro orientale. Più armi a Kiev. Più soldi per le armi. Armiamoci e...
Sarebbe il caso che qualcuno, dalle parti di via Solferino, nel guardare a oriente, ridesse di tanto in tanto un’occhiata a un Jomini, a un Tarle o a un Clausewitz. Ne trarrebbe giovamento, davvero, la «pace universale».
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