“Cristina quale è il tuo sogno?
Fare un libro con Pepe Mujica, ma ha detto di no a chiunque.
Bene. – rispondo – Allora chiamiamo l’ambasciatore Alvarez”.
È nata così l’avventura più improbabile della mia vita, scrivere un libro con Pepe Mujica, per noi un mito, il tupamaro diventato presidente dell’Uruguay, talmente schivo da aver sempre rifiutato di fare un libro con chiunque.
Pochi mesi dopo uscì La Felicità al Potere, il primo che abbia mai accettato di fare, l’unico quando era ancora presidente. A me toccò il compito più difficile: scrivere la sua biografia, che, avendo accettato di firmare con noi, diventò una autobiografia.
Il perché abbia voluto farlo me lo spiegò lo stesso Pepe quando venne a Roma: “Sai, mi ha detto Alvarez che se foste stati in Uruguay sareste stati dei tupamaros come noi, ed allora, perché no?”
Di lui si conosce, ora, praticamente tutto ma allora dovetti imparare lo spagnolo per riuscire a scrivere, in italiano non c’era quasi nulla.
Pepe era tremendamente umano, saranno stai gli undici anni trascorsi da ostaggio nelle prigioni militari, la capacità che aveva di amare la vita ed il popolo più di ogni altra cosa, di lui mi è rimasta impressa nella mente la frase che ripeteva spesso: “Sai, Massimo, non puoi entrare in un supermercato e comprare cinque anni di vita, ed allora perché affannarsi per possedere cose e rinunciare a vivere per consumare beni di lusso?”
Quando va via una persona di una statura morale e politica così alta perdi sempre qualcosa, anche se, vista la nostra estrazione politica marxista, non sempre il confronto è semplice e lineare. La bellezza di lottare per la nostra classe si trova anche nel confronto dialettico, a volte anche aspro.
Per capire fino in fondo il suo pensiero, le sue scelte politiche, la sua stessa vita devi essere probabilmente sudamericano; con lui ho imparato una verità fondamentale: che il nostro modo di concepire la lotta antagonista, di classe, non è slegato dalle specificità di un popolo.
Come sempre, quando qualcuno dotato di una bellezza etica e morale così grande non c’è più senti di aver perso una parte della tua storia. Mi viene in mente uno slogan che ha accomunato le grandi stagioni della lotta antagonista, quelle del '68 e del '77: Pepe è vivo e lotta insieme a noi. Le nostre idee non moriranno mai.
Buon viaggio Pepe, non hai mai comprato il tempo della tua vita.
Fare un libro con Pepe Mujica, ma ha detto di no a chiunque.
Bene. – rispondo – Allora chiamiamo l’ambasciatore Alvarez”.
È nata così l’avventura più improbabile della mia vita, scrivere un libro con Pepe Mujica, per noi un mito, il tupamaro diventato presidente dell’Uruguay, talmente schivo da aver sempre rifiutato di fare un libro con chiunque.
Pochi mesi dopo uscì La Felicità al Potere, il primo che abbia mai accettato di fare, l’unico quando era ancora presidente. A me toccò il compito più difficile: scrivere la sua biografia, che, avendo accettato di firmare con noi, diventò una autobiografia.
Il perché abbia voluto farlo me lo spiegò lo stesso Pepe quando venne a Roma: “Sai, mi ha detto Alvarez che se foste stati in Uruguay sareste stati dei tupamaros come noi, ed allora, perché no?”
Di lui si conosce, ora, praticamente tutto ma allora dovetti imparare lo spagnolo per riuscire a scrivere, in italiano non c’era quasi nulla.
Pepe era tremendamente umano, saranno stai gli undici anni trascorsi da ostaggio nelle prigioni militari, la capacità che aveva di amare la vita ed il popolo più di ogni altra cosa, di lui mi è rimasta impressa nella mente la frase che ripeteva spesso: “Sai, Massimo, non puoi entrare in un supermercato e comprare cinque anni di vita, ed allora perché affannarsi per possedere cose e rinunciare a vivere per consumare beni di lusso?”
Quando va via una persona di una statura morale e politica così alta perdi sempre qualcosa, anche se, vista la nostra estrazione politica marxista, non sempre il confronto è semplice e lineare. La bellezza di lottare per la nostra classe si trova anche nel confronto dialettico, a volte anche aspro.
Per capire fino in fondo il suo pensiero, le sue scelte politiche, la sua stessa vita devi essere probabilmente sudamericano; con lui ho imparato una verità fondamentale: che il nostro modo di concepire la lotta antagonista, di classe, non è slegato dalle specificità di un popolo.
Come sempre, quando qualcuno dotato di una bellezza etica e morale così grande non c’è più senti di aver perso una parte della tua storia. Mi viene in mente uno slogan che ha accomunato le grandi stagioni della lotta antagonista, quelle del '68 e del '77: Pepe è vivo e lotta insieme a noi. Le nostre idee non moriranno mai.
Buon viaggio Pepe, non hai mai comprato il tempo della tua vita.
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“È finito il mio ciclo. Sinceramente, sto morendo e il guerriero ha diritto al suo riposo”.
Il 9 gennaio scorso, José Alberto Mujica Cordano (Montevideo, 1935-2025), Pepe Mujica, ex guerrigliero tupamaro, ex deputato, ex presidente dell’Uruguay, si congedava così pubblicamente dopo aver annunciato che la metastasi del suo cancro all’esofago, scoperto nel 2024, aveva “colonizzato” il fegato e che non avrebbe più rilasciato interviste né accettato cure palliative. Questo martedì 13 maggio la sua vita è giunta definitivamente al termine.
A 89 anni, il veterano politico ha lasciato istruzioni per essere sepolto accanto alla sua cagna Manuela nella sua casa, la fattoria di Rincón del Cerro, alla periferia di Montevideo.
Di umili origini, floricoltore che abbandonò gli studi secondari per lavorare nei campi, discendente di baschi e italiani, Mujica entrò nel Movimento Nazionale Tupamaro (MLN-T), un’organizzazione armata di sinistra nata sull’onda della rivoluzione cubana, all’inizio degli anni ’60. Fu ferito da sei colpi di arma da fuoco in scontri con la polizia. Trascorse 15 anni della sua vita in prigione e da due di quelle carceri riuscì a fuggire.
Nel 1971 fu protagonista, insieme al leader e fondatore dei Tupamaros, Raúl Sendic, e ad altri dirigenti storici – Eleuterio Fernández Huidobro, Jorge Manera Lluberas e numerosi militanti – di una spettacolare fuga dal carcere di Punta Carretas, ricostruita nel film La notte dei 12 anni dell’uruguaiano Álvaro Brechner.
Senza sparare un colpo, in silenzio, strisciando attraverso un tunnel di 40 metri dalle loro celle, in un’operazione complessa durata 20 minuti, 106 militanti dei Tupamaros, dell’OPR-33, delle FARO e cinque prigionieri comuni, distribuiti su tre piani diversi del penitenziario, riuscirono a fuggire attraverso l’uscita situata in un’abitazione privata precedentemente occupata da un commando tupamaro di supporto.
Mujica fu nuovamente arrestato nel 1972 e riconquistò la libertà nel 1985, con il ritorno della democrazia in Uruguay. [Ad attendere lui e gli altri Tupamaros che uscivano dalla prigione c’erano 150.000 persone in festa, e Montevideo contava allora poco più di un milione di abitanti... ndr]
Insieme ad altri vecchi dirigenti tupamaros e ad altri gruppi della sinistra radicale, Mujica creò quattro anni dopo il Movimento di Partecipazione Popolare (MPP), che entrò a far parte della coalizione di centrosinistra Fronte Ampio, nata all’inizio degli anni ’70.
Il Fronte Ampio ha vinto per la quarta volta le elezioni presidenziali nel novembre 2024, portando come candidato presidente Yamandú Orsi, delfino di Mujica, e Carolina Cosse come vicepresidente, sostenuta da diverse forze della sinistra radicale facenti parte della coalizione.
Nel Fronte Ampio confluiscono una trentina di partiti, movimenti e correnti di sinistra, socialisti, comunisti, trotskisti e democristiani. Nel loro programma comune si definiscono progressisti, antimperialisti, antirazzisti e antipatriarcali.
Pepe Mujica è stato deputato per il Fronte Ampio, senatore, ministro dell’Agricoltura durante il governo di Tabaré Vázquez e arrivò alla presidenza dell’Uruguay nel 2010 dopo aver vinto le primarie di questa variegata coalizione.
I governi del Fronte Ampio, quelli del socialista Tabaré Vázquez (2005-2010 e 2015-2020) e quello di Pepe Mujica (2010-2015), ruppero definitivamente il sistema bipartitico, l’alternanza decennale tra il Partito Nazionale e il Partito Colorado.
Nonostante l’impulso dato a un programma di misure sociali progressiste fin dal primo governo del Fronte Ampio, le divisioni al suo interno emersero presto.
Tabaré Vázquez pose il veto a una proposta della maggioranza della coalizione, approvata in Parlamento, per legalizzare l’interruzione della gravidanza, e tornò a opporsi a una proposta legislativa del Fronte Ampio per abolire la Legge sulla Prescrizione, che aveva garantito l’impunità per i crimini commessi sia da militari e poliziotti che da civili durante la dittatura militare.
Tabaré Vázquez accettò solo che alcuni responsabili di quei crimini non fossero coperti da quell’amnistia.
Mujica sostituì Vázquez nel 2010 dopo la seconda vittoria elettorale del Fronte Ampio e impresse un carattere più progressista al governo. Durante il suo mandato furono legalizzati l’aborto, il matrimonio tra persone dello stesso sesso e l’Uruguay divenne il primo paese al mondo a legalizzare la vendita controllata e il consumo di marijuana, regolamentata dallo Stato.
“Abbiamo applicato un principio molto semplice”, disse Mujica, “riconoscere i fatti. L’aborto è vecchio come il mondo”. “Ora la donna non va direttamente in clinica per abortire. Questo accadeva quando era clandestino. Qui passa da uno psicologo e poi è ben accudita”.
Riguardo al matrimonio tra persone dello stesso sesso sosteneva: “Dicono che sia moderno, ma è più antico di tutti noi. È una realtà oggettiva. Esiste e non legalizzarlo sarebbe torturare inutilmente le persone”. “Che ognuno faccia quello che vuole con il proprio culo”, disse in un’intervista.
E lo stesso disse riguardo al consumo di marijuana: “È uno strumento per combattere il narcotraffico, che è un crimine grave, e per proteggere la società”. Mujica precisava: “Ma attenzione, gli stranieri non potranno venire in Uruguay a comprare marijuana; non esisterà il turismo della marijuana”.
Nonostante fosse un piccolo paese di 3,5 milioni di abitanti senza particolare rilevanza a livello internazionale, durante i governi del Fronte Ampio, e in particolare durante il mandato di Mujica, l’Uruguay ebbe una partecipazione attiva nei nuovi organismi regionali dell’America Latina e dei Caraibi delle prime decadi del XXI secolo, in cui al potere coincisero più governi di stampo progressista che mai nella storia della regione.
Forze progressiste di diverse caratteristiche arrivarono al potere in Argentina, Uruguay, Cile, Brasile, Paraguay, Bolivia, Ecuador, El Salvador, Venezuela o Nicaragua, e a differenza delle turbolenze, divisioni interne e gravi deviazioni ideologiche che caratterizzarono molti di quei processi, il Fronte Ampio riuscì a mantenere una relativa stabilità interna nonostante le differenze tra le formazioni che lo compongono.
Mujica attribuiva quelle deviazioni in altri paesi a personalismi e al distacco di molti governanti dai movimenti e dalle maggioranze sociali che li avevano portati al potere.
Negli ultimi anni fu molto critico non solo con Daniel Ortega o con Nicolás Maduro, ma si mostrava anche arrabbiato con Cristina Kirchner o con Evo Morales per non accettare che “il loro tempo fosse finito” e ai quali raccomandava di farsi da parte e passare il testimone alle nuove generazioni.
“Nella vita c’è un tempo per arrivare e uno per andarsene”, diceva Mujica. “Un buon leader è colui che non solo fa cose buone ma ha la capacità di creare una buona squadra in grado di continuarle”.
Mujica non smise mai di vivere insieme alla sua compagna Lucía nella sua umile fattoria di 20 ettari a Rincón del Cerro, zona rurale vicina alla capitale uruguaiana, anche quando fu presidente.
Lavorava personalmente la terra con il suo trattore e vendeva i suoi prodotti, perché per anni donò il 90% del suo stipendio a opere sociali e il 5% al Movimento di Partecipazione Popolare (MPP). Sosteneva che con i pochi soldi che gli rimanevano, lo stipendio da senatrice della sua compagna e i prodotti che vendeva, avevano abbastanza per vivere entrambi.
Una volta morta la sua compagna di tutta la vita, l’ex tupamara ed ex senatrice Lucía Topolansky, la fattoria passerà nelle mani del MPP, come deciso dalla coppia.
La vita austera del vecchio guerrigliero, la sua semplicità, il suo linguaggio diretto, la sua lotta contro la corruzione e lo spreco, il suo impegno sociale, la sua capacità di parlare e bere mate sia con la gente comune che con i leader delle grandi potenze, e la sua tolleranza e costante ricerca di consenso con chi difendeva altre posizioni ideologiche, gli valsero il rispetto anche di molti politici e persone con posizioni diametralmente opposte alle sue.
Nonostante ciò, la sua vita politica pubblica non fu esente da dure critiche da parte di settori che condivisero la militanza con lui nei Tupamaros e di militanti di altri gruppi di sinistra. Non furono pochi quelli che sostennero che Mujica fosse stato assorbito dal sistema contro cui aveva combattuto fin dalla gioventù.
Nel maggio 2007 fece alcune dichiarazioni riguardo al suo passato da guerrigliero: “Sono profondamente pentito di aver preso le armi con poca esperienza e di non aver evitato così una dittatura all’Uruguay”.
L’adattamento del vecchio guerrigliero ai nuovi tempi; la sua peculiare forma di fare politica dall’emiciclo, prima come deputato, poi come senatore e infine come presidente, fu vista spesso da quei settori più radicali della sinistra come un abbandono dei valori ideologici dei Tupamaros.
Le critiche che ricevette da settori della sinistra, alcune molto dure, si concentrarono su diversi aspetti delle sue posizioni politiche: sul fatto che non ci fossero stati progressi significativi nella redistribuzione della ricchezza durante il suo mandato, sui suoi cambi di posizione riguardo ai militari, o sulle sue differenze con il movimento femminista.
Nel 2019, dopo essere stato eletto senatore, fece alcune dichiarazioni controverse e aggressive al settimanale uruguaiano Voces. “Il movimento femminista è abbastanza inutile”, arrivò a dire. Mujica riconosceva il machismo, denunciava la società patriarcale, ma sosteneva che il femminismo non potesse sostituire la lotta di classe. “Le classi sociali le vedo anche all’interno dello stesso movimento femminista”, affermava.
Forse la dichiarazione che provocò più critiche all’interno del movimento femminista uruguaiano fu quando parlò, nella stessa intervista, dei ruoli della donna in casa: “La donna ha responsabilità con i suoi figli, che non sono quelle dell’uomo. Cerca di fare qualsiasi cosa per dar loro da mangiare e proteggerli. La donna è sempre una madre. E noi andiamo per il mondo sempre bisognosi di una, perché, altrimenti, non sai nemmeno dove abbiamo la camicia”.
Un’altra delle critiche che Mujica e Topolansky ricevettero dalla sinistra fu a causa delle loro opinioni sui militari e sul loro rapporto con le forze armate durante il loro mandato.
Uno dei dibattiti che per anni è rimasto all’interno del Fronte Ampio riguarda la posizione da adottare rispetto alla Legge 15.848 sulla Prescrizione della Pretesa Punitiva dello Stato, approvata nel 1986 durante il governo di Julio María Sanguinetti, leader del tradizionale Partito Colorado, conservatore, che vinse nel 1984 le prime elezioni dopo il ritorno della democrazia.
Attraverso questa legge furono amnistiati i crimini commessi dalla dittatura militare tra il 1973 e il 1° marzo 1985, quando Sanguinetti assunse il potere.
Di fronte alle critiche del Fronte Ampio e di settori della società, Sanguinetti sottopose a referendum popolare nel 1989 la continuazione o l’annullamento di questa legge sull’impunità. La paura di sollevare i militari e che tornassero al potere potrebbe essere, secondo alcuni analisti, la ragione per cui il referendum confermò la legge.
Mujica denunciò all’epoca il presidente Sanguinetti per aver utilizzato la controversa legge per ostacolare le indagini sui casi di prigionieri scomparsi. Durante la sua presidenza, Sanguinetti decise di coprire con quella legge casi come quello dell’arresto del militante comunista Álvaro Balbi, detenuto nel 1975, condotto al Battaglione di Fanteria 13, dove il giorno seguente fu trovato morto.
Una volta al potere, Mujica annullò quella decisione di Sanguinetti, che era stata criticata anche dalla Corte Interamericana dei Diritti Umani.
Nel 2009, con Tabaré Vázquez al potere, il Fronte Ampio promosse nuovamente un nuovo referendum, e si ripeté lo stesso risultato. Gli uruguaiani decisero a maggioranza di mantenere la legge.
Mujica criticò sempre il fatto che in quel referendum la domanda sulla Legge sulla Prescrizione non fosse posta come una votazione indipendente, ma fosse inclusa come una votazione secondaria nella stessa giornata delle elezioni generali; una semplice casella da spuntare che molti elettori lasciarono vuota. “Non bisogna concludere che la maggioranza degli uruguaiani sia con i repressori”, disse Mujica, “ma quello che vogliono è voltare pagina, guardare avanti, non indietro”.
Nel 2011, con Pepe Mujica già presidente, il Fronte Ampio portò in votazione al Congresso la proposta di un terzo referendum sulla legge per tentare di abolirla.
Mujica fu criticato da gran parte dello stesso Fronte Ampio per aver respinto quella proposta che prima aveva sostenuto. La sua posizione fu simile a quella adottata da un altro ex leader storico dei Tupamaros, Eleuterio Fernández Huidobro: “Anche se non siamo d’accordo, dobbiamo rispettare ciò che i nostri cittadini hanno già detto in due referendum, si deve rispettare la volontà popolare”.
Tuttavia, Mujica disse che in nessun caso avrebbe usato la sua prerogativa presidenziale per porre il veto all’iniziativa presentata dalla sua formazione politica e che avrebbe rispettato la disciplina di voto. Entrambi votarono a favore dell’abrogazione della Legge sulla Prescrizione. I loro voti erano decisivi, si sapeva che sarebbe stata una votazione molto risicata.
Tuttavia, la proposta legislativa non passò. Si verificò un pareggio a 49 voti perché un deputato dello stesso Fronte Ampio, Víctor Semproni, ex importante leader sindacale ed ex guerrigliero tupamaro, il cui voto era contato, si assentò dalla votazione, per cui l’iniziativa non passò e la Legge sulla Prescrizione rimase in vigore. Semproni fu poi sanzionato dal Tribunale di Condotta Politica del Fronte Ampio.
Fernández Huidobro, da parte sua, rinunciò al suo seggio di senatore del Fronte Ampio in segno di rifiuto alla posizione che aveva accettato, ma che non condivideva con la coalizione. In seguito divenne ministro della Difesa del secondo governo di Tabaré Vázquez e arrivò a criticare molti dei suoi ex compagni e le organizzazioni per i diritti umani per “stigmatizzare” i militari. “Sono malati che parlano sempre male delle Forze Armate e dei militari”.
Le sue dichiarazioni, fatte in un discorso per la Giornata dell’Esercito, il 18 maggio 2015, portarono la Mesa Política del Fronte Ampio a emettere un duro comunicato e tre delle organizzazioni della coalizione, La Vertiente Artiguista, Casa Grande e il Partito per la Vittoria, a chiedere le sue dimissioni da ministro. Denunciavano che la posizione dell’ex capo tupamaro cancellava tutta la lotta per la memoria storica.
Pepe Mujica evitò di entrare in quella polemica, ma la sua posizione sull’argomento era già nota, almeno dal 2008, quando disse che non si dedicava “a coltivare l’oblio né a coltivare la memoria”. “Ho deciso di impegnarmi con quello che credo sarà il mondo dei miei nipoti, in cui io non ci sarò”.
E nel 2014 fece alcune dichiarazioni a La República sui militari della dittatura in carcere che riaccesero il dibattito all’interno del Fronte Ampio: “Io non ho combattuto per avere anziani in prigione. Preferirei che morissero nelle loro case (…) Perché dobbiamo tenere un uomo di 85 anni in carcere? Lasciateli che la morte li trovi in un angolo e date loro gli arresti domiciliari!”.
Roberto Montoya – El Salto
Fonte
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