C'è poco da girarci attorno: la
radicalizzazione della crisi apertasi nel 2008 ha fatto svanire, come
neve al sole, tutte le retoriche sull'Europa come le avevamo conosciute.
Sia quelle della "crescita", del mercato comune, che si è rivelata il
modo con cui le economie, e la finanza, dei paesi più ricchi
sottomettono il resto, sia quelle dell'Europa dei diritti. Continente
che, al contrario delle novelle sull'integrazione, si è dato dei livelli
di governance che comportano la rigida applicazione delle leggi della
globalizzazione. E quindi altro che diritti: smantellamento di ogni
protezione sociale, privatizzazioni e apertura ad ogni capitale di
rischio (per la società).
In questi anni è svanita anche la
retorica dell'Europa pensata dagli "strateghi", quella per cui "la
Germania deve cedere qualcosa pena l'esplosione dell'architettura
continentale che va contro gli interessi tedeschi". Come no: dopo la
crisi del 2008, la Germania ha ripreso a crescere proprio con la
ricchezza ricavata impoverendo i paesi Piigs europei e,
contemporaneamente, esportando nei paesi Brics europei. Si è dissolto
infine il mito, durato ben oltre ogni ragionevole dato di fatto, di una
socialdemocrazia europea, e in particolar modo tedesca, insofferente del
modello neoliberista. Si guardi, se ce ne fosse ancora bisogno, a come
la SPD è entrata nella grande coalizione: piena adesione al modello
neomercantilista tedesco, basato sull'assorbimento della ricchezza dei
paesi del sud Europa, che oltretutto danneggia l'economia globale in un
continuo gioco al ribasso sui prezzi.
Che fare? In questi giorni Grillo ha
lanciato la proposta di un referendum di uscita dall'euro. C'è chi
sostiene, come chi segue la Modern Monetary Theory, che ci sono metodi
più semplici per ritrovare sovranità economica e monetaria. C'è chi
aspetta un nuovo 1848 che pensa essere dietro l'angolo. Qualsiasi cosa
si pensi, l'attuale modello, economico e finanziario dell'Europa è
insostenibile. Ha davanti a sé almeno un decennio, ad esser cauti, di
stagnazione, deflazione, crisi ed enormi danni sociali.
In materia pubblichiamo un articolo di Mimmo Porcaro, dedicato al capolinea dell'euro. Da Controlacrisi.org e sinistrainrete.info.
Ne pubblicheremo altri. Una cosa è sicura: le bussole utilizzate, fino
ad adesso, per fare politica sono saltate. Fare politica di sinistra
radicale e di movimento richiede altri strumenti. Pena l'estinzione. Redazione - 2 dicembre 2013
***
E adesso, povero euro?
Mimmo Porcaro
Lasciamolo
dire al Sole 24 ore, un giornale che per la sua funzione non può
permettersi di raccontare troppe frottole: “Chi si illudeva che il
ritorno dei socialdemocratici al governo avrebbe ammorbidito le
politiche di rigore di Angela Merkel si ritrova smentito su tutta la
linea: niente allentamenti, né mutualizzazione dei debiti, né
solidarietà finanziaria Ue nell’unione bancaria se non come ultimissima
spiaggia. Silenzio sulla crescita europea (che non c’è). Invece
contratti Ue vincolanti sulle riforme degli altri”. Così Adriana
Cerretelli, addì 28 novembre.
Capito? Il PD ha sempre saputo che le
cose sarebbero andate così, e farà finta che sia ancora possibile
ottenere, assieme al rigore, la sospirata crescita. Non si tratta di
illusioni, si tratta di fare il proprio mestiere, che è, per il PD,
quello di tenere i lavoratori italiani dentro la gabbia del capitalismo
euroatlantico. Ma che dire della sinistra sedicente radicale, che ancora
continua a coltivare speranze analoghe? “Beh – mi si risponderà – ma
noi non speriamo certo nel rinsavimento della Merkel, contiamo piuttosto
sulla lotta dei lavoratori europei…” . Appunto: se la Grosse Koalition
tra socialdemocratici e conservatori è tirchia sull’Europa, è invece più
generosa sul fronte interno. I patti prevedono infatti l’instaurazione
di un salario minimo ed un allentamento delle restrizioni in tema di
pensioni. Poca cosa, certo: ma cosa rilevantissima perché in assoluta
controtendenza rispetto all’andazzo attuale. Insomma, diciamola chiara:
con i sovrapprofitti garantiti anche dal poter godere, grazie all’euro,
di una permanente svalutazione della propria moneta (quella svalutazione
che, chissà perché, per l’Italia dovrebbe essere peccato capitale), la
Germania finanzia il rafforzamento dell’adesione dei lavoratori tedeschi
al suo modello mercantilista. Cosicché lo “spazio europeo” dimostra
ancora una volta di non favorire affatto l’unità dei lavoratori, e
quindi la costituzione del fronte sociale che dovrebbe democratizzarlo.
Anzi.
Ma che ne è dell’altro paladino della
cosiddetta Europa sovranazionale, che ne è di quel Mario Draghi che
dovrebbe difendere l’euro (questo presunto “spazio avanzato” della lotta
di classe) contro la miopia della Germania? Vediamo, vediamo:... “Mario
Draghi non ha bloccato la proposta di alcuni membri dell’Esbr,
l’autorità per i rischi sistemici, di prevedere una valutazione del
rischio superiore a zero per i titoli di stato detenuti dalle banche. E,
ovviamente, che tali rischi siano ponderati in modo diverso di stato in
stato, con i titoli dei paesi virtuosi ad essere valutati più sicuri di
quelli dei Piigs.” Se questa scelta venisse confermata – continua
Investireoggi, un sito di consulenza finanziaria che, anch’esso, non può
raccontare troppe frottole – ciò “equivarrebbe a dire agli investitori
che anche per la BCE i BTP e i Bonos non sono così sicuri come i Bund
tedeschi. E perché mai dovrebbero acquistarli, se la stessa banca
centrale li declassa?”. Inoltre Weidmann, il presidente della Banca
centrale tedesca, “avverte Draghi che se intende andare avanti sulla
strada della supervisione bancaria unica e centrale, non sarà lui a
guidarla. La Germania uscirà dal cilindro [chiedo scusa per il pessimo
italiano, ma io non c’entro… M.P.] l’ennesimo organismo sovranazionale e
ufficialmente super-partes, per evitare che i bilanci delle sue banche
siano giudicati dal board della BCE, dove ormai i tedeschi sono finiti
in minoranza, come ha dimostrato l’ultimo voto di novembre con il taglio
dei tassi avversato dalla Bundesbank e da pochi altri. E la BCE potrà
anche scordarsi nuove misure di stimolo monetario, perché il discorso
del governatore tedesco era tutto improntato ad evidenziare i difetti di
simili provvedimenti, che non sarebbero tollerati da Berlino, dopo il
taglio dei tassi di meno di venti giorni fa”. Capito l’aria che tira?
Mario Draghi preferirebbe tenere in
piedi la zona euro, forse per evitare che una sua disgregazione ostacoli
il prossimo – e per noi micidiale – trattato di partnership
euro-americana. Ma Berlino, nonostante possa lucrare molto dalla moneta
unica, non le sacrificherà mai la propria autonomia strategica. Non c’è
niente da fare, dunque: la sinistra radicale (se davvero vuole essere
sinistra e se davvero vuole essere radicale) deve rassegnarsi a deporre
la vetusta retorica dell’Europa sociale, dei movimenti, della lotta di
classe continentale, per affrontare con coraggio i propri compiti
storici. Ossia la ridefinizione della posizione internazionale del
Paese. L’elaborazione di un nazionalismo difensivo e
democratico-costituzionale come base di un’alleanza del Sud, e poi di
un’Europa confederale. La riscoperta dei pregi dell’economia pubblica
contro le illusioni privatistiche (comuni anche a tanto “privato
sociale”, a tanta “economia alternativa”). La costruzione di un’alleanza
tra i lavoratori che oggi seguono il PD e quelli che oggi seguono il
centrodestra, su un programma che mescoli pianificazione per i grandi
gruppi e (vero) mercato per le PMI, innovazione scientifico-tecnologica e
democrazia industriale, valorizzazione dell’immenso patrimonio
paesistico-culturale dell’Italia ed espansione razionale del lavoro
pubblico.
Capiamolo una buona volta: lo rompano i
Piigs o lo rompa la Germania l’euro finirà. Saremo allora costretti a
riscoprire la serietà, la difficoltà, la durezza di una effettiva
posizione di sinistra, dunque socialista.
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