di Michele Paris
La devastazione
provocata dal tifone Haiyan nelle Filippine non ha soltanto scatenato
una gara di solidarietà tra le popolazioni di molti paesi, ma ha anche
consentito ad alcuni governi, interessati a sfruttare l’importanza
strategica di questo paese-arcipelago del sud-est asiatico, di provare a
rafforzare la propria presenza in un’area del globo contrassegnata da
crescenti rivalità. In particolare, il Giappone sta sfruttando la crisi
umanitaria nelle Filippine per stabilire una partnership militare con il
governo di Manila, mentre gli Stati Uniti ne hanno approfittato per
dare un impulso probabilmente decisivo alle trattative in corso da tempo
per creare basi militari di fatto permanenti nel vicino meridionale
della Cina.
Prima dell’arrivo ai primi di novembre del più
potente tifone mai registrato sulla terraferma, i negoziati tra gli USA e
il governo del presidente Benigno Aquino su un accordo bilaterale per
consentire il posizionamento “a rotazione” di soldati americani nelle
Filippine sembravano essersi arenati sulla definizione di alcuni
dettagli e, soprattutto, in conseguenza dell’emergere di una certa
opposizione interna ad una decisione strategica che rischia di
complicare ulteriormente i rapporti già tesi con Pechino.
Due
giorni prima che il tifone Haiyan colpisse le Filippine, lo stesso
ministro della Difesa, Voltaire Gazmin, aveva riconosciuto pubblicamente
lo stallo, affermando che Manila e Washington non erano riusciti ad
accordarsi su alcuni punti del trattato, tra cui la responsabilità per
il controllo delle nuove basi militari da assegnare agli USA.
Così,
subito dopo il passaggio del tifone, il governo americano aveva
inizialmente offerto appena 100 mila dollari in aiuti ad un paese in
ginocchio. Il successivo 11 novembre, però, da Washington è giunto
l’annuncio che il sostegno finanziario a Manila sarebbe salito a 20
milioni di dollari, da recapitare assieme a circa 13 mila soldati
trasportati dal gruppo aeronavale di cui fa parte la colossale portaerei
USS George Washington.
La successione dei fatti suggerisce
dunque che gli Stati Uniti abbiano vincolato il loro impegno a favore
delle vittime del tifone alla ripresa delle trattative per l’accordo
sulla partnership strategica se non, addirittura, direttamente allo
stazionamento delle proprie forze armate in territorio filippino.
A
confermare il mutato atteggiamento anche del governo di Manila, il
ministro degli Esteri, Alberto del Rosario, qualche giorno fa ha accolto
una delegazione di parlamentari americani sottolineando l’importanza
dell’accordo sulla presenza militare USA nel suo paese. Il numero uno
della diplomazia filippina ha poi aggiunto che “l’assistenza umanitaria e
il soccorso in caso di disastri” saranno una parte fondamentale
dell’accordo stesso.
Quest’ultima
osservazione rivela come le conseguenze del tifone Haiyan siano state
utili anche al governo delle Filippine per superare le resistenze
interne alla partnership con gli Stati Uniti, avendo fornito l’occasione
per mascherare un accordo puramente strategico - e che ha in gran parte
a che fare con la rivalità tra Washington e Pechino in Estremo Oriente -
dietro la retorica umanitaria.
Meno preoccupato delle apparenze è
apparso invece un membro della delegazione proveniente dal Congresso
americano. Il deputato repubblicano dell’Arizona, Trent Franks, ha
infatti spiegato come le forze armate di USA e Filippine debbano
collaborare in maniera più stretta perché i due paesi “hanno in comune
potenziali rivali formidabili”, con un chiaro riferimento alla Cina.
I
negoziati sull’accordo bilaterale sembravano peraltro vicini alla loro
conclusione già lo scorso mese di settembre, quando alcune rivelazioni
sul suo contenuto erano apparse sulla stampa. Il trattato dovrebbe cioè
prevedere una base di comando USA a Oyster Bay, sull’isola-provincia di
Palawan, dove sorgeranno anche altre basi operative ed un sofisticato
sistema radar diretto con ogni probabilità verso la Cina.
Gli
americani dovrebbero anche tornare a Subic Bay, dove fino a poco più di
due decenni fa mantenevano la più grande struttura militare a stelle
strisce dell’area Asia-Pacifico, mentre, complessivamente, i soldati da
stazionare nelle Filippine “a rotazione” saranno più di 4 mila.
La
formula “a rotazione” in riferimento alla presenza militare americana
che dovrebbe entrare nell’accordo ufficiale serve ad aggirare il
divieto, previsto dalla Costituzione filippina, della creazione di basi
militari straniere permanenti sul territorio del paese.
Anche
se l’accordo bilaterale non è stato ancora firmato, i lavori per la
costruzione di nuove basi sono comunque già iniziati nelle Filippine, ad
esempio proprio a Oyster Bay, una località situata in posizione
strategica perché affacciata sul Mar Cinese Meridionale a meno di 200 km
dalle Isole Spratly, oggetto di un’aspra contesa territoriale tra
Manila e Pechino.
Come
già anticipato, gli Stati Uniti già disponevano nel recente passato di
imponenti basi militari nella ex colonia asiatica, tra cui, oltre a
Subic Bay, a nord di Manila, quella di Clark, sull’isola di Luzon.
Queste basi vennero però abbandonate tra il 1991 e il 1992 dopo che il
parlamento filippino negò il rinnovo delle concessioni a causa
dell’impopolarità della presenza americana.
I due paesi, i quali
avevano siglato un trattato di mutua difesa nel 1951, avrebbero in ogni
caso sottoscritto nel 1999 un accordo per consentire nuovamente una
certa presenza militare americana nelle Filippine, anche se su base
provvisoria.
In concomitanza con la “svolta” asiatica decisa
dall’amministrazione Obama per contenere l’espansionismo cinese, infine,
Manila è diventata una pedina fondamentale di questa strategia, così
che negli ultimi anni le forze navali statunitense hanno intensificato
le loro apparizioni nei porti filippini. Secondo i dati delle autorità
locali, ad esempio, a Subic Bay il numero degli attracchi di navi da
guerra e sottomarini a stelle e strisce è passato da 51 nel 2010 a 72
soltanto nei primi sei mesi di quest’anno.
L’intensificarsi della
cooperazione tra Stati Uniti e Filippine è coincisa anche con
l’elezione nel 2010 di Benigno Aquino, protagonista del totale
allineamento a Washington del suo paese dopo che la precedente
presidente ora finita in disgrazia, Gloria Macapagal-Arroyo, pur
mantenendo soprattutto inizialmente i tradizionali legami con gli Stati
Uniti, aveva rafforzato in maniera sensibile le relazioni economiche con
la Cina.
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