Salvo gli opportuni approfondimenti, la sostanza è comunque chiarissima e inequivocabile. Si
vuole introdurre la possibilità di stipula di un contratto di
lavoro a termine senza indicazione di alcuna causale con durata
lunghissima, fino a tre anni.
Si dirà, ipocritamente, che questo
vale solo per il “primo contratto” a termine tra lo stesso datore di
lavoro e il lavoratore, ma l’ipocrisia è evidente, perché a ben
guardare, il primo contratto a termine acausale sarà anche
l’ultimo, in quanto dopo i 36 mesi di lavoro scatterebbe la regola
legale, già esistente, secondo la quale continuando la prestazione
di lavoro il contratto si trasforma a tempo indeterminato.
Qual'è, allora, la formula
semplicissima che il Decreto offre e suggerisce al datore? Tenere
il lavoratore con contratto acausale e alla scadenza sostituirlo.
Dal punto di vista del lavoratore significa cercare ogni tre anni
un diverso datore di lavoro, e ciò all’infinito, concedendo a Dio la
dignità, e rassegnandosi ad una totale sottomissione a ricatti di
ogni tipo, sperando di essere confermato a tempo indeterminato una
volta o l’altra.
È evidente che così, lo stesso datore
di lavoro nel suo complesso diventerà una sorta di favola non
traducibile in realtà. Rispondo subito ad una prevedibile
obiezione: si dirà che però, secondo la bozza del Decreto,
i lavoratori a contratto a termine acausale non potranno
superare il 20% dell’occupazione aziendale: si tratta comunque di una
percentuale assai alta (attualmente i contratti prevedono il
10–15%), ed è evidente che quella “fascia” del 20% funzionerà
come una sorta di anello esterno all’azienda, nella quale finiranno
imprigionati i nuovi assunti e dal quale usciranno solo per entrare
in analogo anello di altra azienda.
Per i giovani e per i disoccupati,
dunque, vi è un solo futuro: restare per sempre precari triennali,
ora presso una azienda, ora presso un’altra, ma la stessa sorte attende
i lavoratori già stabili i quali magari si sentiranno grati a Renzi
per quella mancia economica nel caso dovessero per qualsiasi
ragione perdere quel posto di lavoro.
Va poi aggiunto che il rispetto
effettivo della percentuale massima di occupati a termine su un
organico è di difficile monitoraggio: come si farà
a sapere se l’azienda alfa di 100 dipendenti o con 100 dipendenti ha
già colmato la suo quota di 20 lavoratori a termine? I dati già ci
sarebbero presso i Centri per l’impiego, ma sono riservati.
Occorrerebbe istituire, presso i Centri per l’impiego, una anagrafe
pubblica dei rapporti di lavoro per ottenere l’indispensabile
trasparenza: sarebbe una dimostrazione minima di onestà da parte
del governo e dell’azienda, ma dobbiamo confessare tutto il nostro
scetticismo.
Resta da considerare la conformità
di questo decreto alla normativa europea in tema di contratto
a termine. Il pericolo di abuso che la normativa Ue connette alla
ripetizione di brevi contratti a termine, è tutto condensato nella previsione di un lungo contratto a termine acausale,
dopo il quale, se il datore consentisse di continuare la
prestazione vi sarebbe la trasformazione a tempo indeterminato,
ma poiché non la consentirà, vi sarà una condizione di
disoccupazione e sottoccupazione, perché il prossimo datore di
lavoro si comporterà nello stesso modo.
Il principio europeo che la
bozza del Decreto con vistosa ipocrisia ripete, per il quale la forma
normale del contratto di lavoro è quella a tempo indeterminato,
viene così non solo aggirato e violato, ma ridotto ad una
burletta e questo potrà essere fatto valere di fronte alla Corte di
Giustizia Europea. Per fortuna, nel nostro paese fra il tanto
diffuso conformismo anche tra le forze politiche e sindacali,
esiste la coscienza critica dei singoli operatori indipendenti.
Resta da esaminare lo scempio
del contratto di apprendistato che viene banalizzato, eliminando
qualsiasi severo controllo sulla effettività della formazione
professionale ed eliminando altresì quella elementare
regola antifrode per la quale non potevano essere conclusi nuovi
contratti di apprendistato dal datore di lavoro che non avesse
confermato a tempo indeterminato i precedenti apprendisti.
È evidente che una regola di questo genere andrebbe introdotta anche
per la possibile stipula di contratti a termine ed, invece, la
volontà di eliminarla ove già esiste, e cioè nell’apprendistato,
dimostra quali sono le vere intenzioni del governo di Matteo Renzi.
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