di Michele Paris
In una visita
di 48 ore in India nel pieno delle crisi in Ucraina e in Medio Oriente,
il segretario di Stato americano, John Kerry, sta cercando questa
settimana di gettare le basi per un rafforzamento dei legami con un
paese strategicamente cruciale e solo da qualche settimana guidato dal
governo del nuovo primo ministro di estrema destra Narendra Modi. L’ex
senatore americano è atterrato a Delhi nella serata di mercoledì e il
giorno successivo ha presieduto all’annuale “dialogo strategico” tra
Stati Uniti e India. Quella di Kerry è la prima visita di un membro di
alto livello dell’amministrazione Obama nel paese asiatico
dall’insediamento nel mese di maggio di Modi, con il quale gli USA
avevano evitato qualsiasi tipo di contatto per quasi dieci anni.
Al
leader del partito fondamentalista indù BJP (Bharatiya Janata Party)
nel 2005 era stato infatti negato il visto di ingresso negli Stati Uniti
a causa delle sue presunte responsabilità nel favorire le persecuzioni
anti-islamiche che nel 2002 fecero centinaia di vittime nello stato di
Gujarat, all’epoca guidato dallo stesso Modi.
Già prima delle
elezioni indiane, iniziate lo scorso aprile, il governo americano aveva
però lanciato segnali distensivi verso quello che veniva dato come il
più che probabile prossimo primo ministro, così che a febbraio
l’ambasciatrice USA a Delhi, Nancy Powell, aveva incontrato di persona
l’allora candidato Modi.
Lo stesso presidente Obama aveva poi
telefonato a quest’ultimo all’indomani dell’annuncio del successo
elettorale per congratularsi e invitarlo a Washington nel mese di
settembre. Il calcolo degli Stati Uniti nell’abbracciare il nuovo
governo di Modi e del BJP appare evidente ed è legato alla speranza di
trovare un partner più affidabile a Delhi per raggiungere i due
principali obiettivi di Washington nel sub-continente indiano, vale a
dire l’apertura di un mercato enorme per il capitalismo a stelle e
strisce e l’allineamento di una potenza emergente così importante alla
strategia anti-cinese messa in atto nel continente asiatico.
Che
Modi risulti alla fine più disponibile rispetto al governo del Partito
del Congresso su questi due fronti appare al momento tutt’altro che
certo, anche se i vertici bilaterali previsti nel prossimo futuro
contribuiranno a fare chiarezza sull’attitudine del nuovo leader
indiano. Dopo Kerry, la prossima settimana si recherà a Delhi anche il
segretario alla Difesa, Chuck Hagel, mentre, come già accennato, lo
stesso Modi sarà ricevuto alla Casa Bianca tra poco più di un mese.
Come ha ricordato un commento alla visita di Kerry pubblicato giovedì dal quotidiano The Hindu,
le relazioni tra Delhi e Washington non stanno attraversando il momento
migliore degli ultimi anni o, meglio, i rapporti bilaterali “non hanno
fatto segnare alcun passo avanti da dieci mesi”, cioè dall’incontro nel
settembre 2013 negli USA tra Obama e l’allora primo ministro, Manmohan
Singh.
Il raffreddamento delle relazioni era seguito in
particolare all’arresto a New York a dicembre di una giovane diplomatica
indiana, accusata di avere rilasciato false dichiarazioni nell’ambito
del procedimento per la richiesta di un visto di lavoro per una
domestica sua connazionale.
La vicenda, in seguito risolta, aveva
lasciato più di uno strascico polemico in India, dove in molti tra
politici e commentatori avevano espresso pubblicamente i propri dubbi
sull’affidabilità degli Stati Uniti e il desiderio di questi ultimi di
trattare il loro paese con il dovuto rispetto.
Se
le dichiarazioni ufficiali nei mesi successivi sono state
contrassegnate in genere da toni nuovamente distesi, le controversie che
il segretario di Stato Kerry si è trovato ad affrontare una volta
giunto in India la dicono lunga sulla strada che i due paesi dovranno
percorrere per appianare le loro divergenze.
La questione più
calda all’ordine del giorno - e che Kerry ha subito affrontato giovedì
con il ministro delle Finanze indiano, Arun Jaitley - è la decisione del
governo di Delhi di bloccare i lavori in corso per il raggiungimento di
un accordo sugli scambi internazionali all’interno dell’Organizzazione
Mondiale per il Commercio. L’India, in definitiva, chiede che alcune
delle proprie richieste vengano prese in considerazione in cambio dello
sblocco della “riforma” delle norme doganali internazionali, soprattutto
in merito ai sussidi sui prodotti alimentari.
In un articolo
firmato per il quotidiano indiano The Economic Times alla vigilia
dell’arrivo a Delhi, Kerry e la segretaria al Commercio, Penny Pritzker,
avevano invitato Modi a lasciare cadere le proprie resistenze
all’accordo sul commercio internazionale, indicando quest’ultimo come un
test dell’impegno della nuova leadership indiana per la
liberalizzazione dell’economia.
Giovedì, i colloqui non sembrano
però avere fatto registrare passi avanti tali da sbloccare la
situazione, tanto che il governo indiano si è detto pronto a far saltare
la scadenza del 31 luglio fissata per l’approvazione dell’accordo.
Da
lungo tempo rimane aperta invece la questione della partnership sul
nucleare civile, con gli investimenti americani in India congelati a
causa della mancata approvazione da parte del parlamento di Delhi di una
legge che limiti drasticamente i rimborsi economici a carico delle
compagnie straniere in caso di incidenti.
Sui media indiani,
inoltre, continuano a essere discusse in maniera polemica le rivelazioni
di Edward Snowden in merito alle attività di intercettazione delle
comunicazioni elettroniche da parte della NSA dei politici locali,
compresi quelli appartenenti al BJP, solo da poco al governo.
La
classe dirigente indiana si è sentita poi offesa qualche giorno fa,
quando l’annuale rapporto pubblicato dalla commissione americana per la
libertà religiosa nel mondo ha equiparato l’India ai paesi di “secondo
livello” come Afghanistan, Turchia e Russia, facendo riferimento
esplicitamente ai fatti di Gujarat del 2002 e all’inazione del governo
nel risarcire le vittime dei pogrom anti-musulmani.
Un
punto su cui l’amministrazione Obama appare più fiduciosa è piuttosto
la volontà del governo Modi di mettere in atto “riforme” di libero
mercato che spazzino via restrizioni e regolamentazioni che hanno finora
impedito o limitato gli investimenti delle grandi aziende americane in
India. Negli ultimi anni già il Partito del Congresso si era mosso in
questa direzione, apparendo però troppo esitante agli occhi del business
indigeno e degli ambienti economico-finanziari internazionali.
L’entusiasmo
mostrato da Kerry nella giornata di giovedì nei confronti del nuovo
governo è dunque legato in buona parte alla promessa di Modi di
facilitare l’afflusso di capitali esteri e di flessibilizzare il mercato
del lavoro. Come di consueto, lo stesso segretario di Stato USA ha
definito l’agenda ultra-liberista del BJP come un programma per la
creazione di posti di lavoro e per il miglioramento delle condizioni
economiche della popolazione indiana.
A livello più profondo, i
motivi di scontro tra Stati Uniti e India sono in ogni caso determinati
dal dilemma che attraversa la classe dirigente di quest’ultimo paese,
divisa tra l’abbraccio con Washington e il mantenimento di una politica
estera indipendente.
L’obiettivo americano è d’altra parte quello
di imbarcare l’India nella rete di alleanze asiatiche volta a
contrastare l’avanzata della Cina, approfondendo i legami economici e
militari, in particolare nell’ambito di un possibile “dialogo
trilaterale” che includa il Giappone, per il quale l’amministrazione
Obama si sta adoperando da tempo.
A questo proposito, Washington
sta cercando di sfruttare la tradizionale rivalità tra Delhi e Pechino,
anche se i due paesi - nonostante le contese di confine e la altrettanto
tradizionale alleanza tra la Cina e l’arci-rivale indiano, il Pakistan -
sono sempre più integrati economicamente e lo stesso Modi, quando era
alla guida dello stato di Gujarat, aveva stabilito significativi
rapporti commerciali con la Cina.
Con l’aggravarsi della crisi in
Ucraina, infine, appare sempre più evidente anche il tentativo
americano di attenuare il legame che dai tempi della Guerra Fredda
unisce l’India alla Russia/Unione Sovietica. In questo caso, l’obiettivo
strategico di Washington risulta però ancora più complicato a causa
proprio dei rapporti consolidati tra l’India e la Russia, con
quest’ultimo paese, tra l’altro, che è tuttora di gran lunga il primo
fornitore di armi di Delhi.
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