Dopo quasi due anni di inimicizia e competizione, giunte quasi al punto di rompere il Consiglio di Cooperazione del Golfo, pare che gli ultimi giorni del 2014 abbiamo ricomposto la frattura tra le due potenze regionali arabe più importanti: Qatar e Arabia Saudita.
La riconciliazione sembra essere avvenuta almeno sull’elemento di contesa più grave tra le due petromonarchie, cioè la relazione con il regime militare laico – e autoritario – imposto in Egitto dal colpo di stato guidato dal generale Al Sisi ormai diciotto mesi fa e che ha defenestrato il regime islamista salito al potere grazie alle prime elezioni convocate dopo la rimozione del dittatore Hosni Mubarak. Dopo il golpe, l’Arabia Saudita aveva riconosciuto e accolto di buon grado la mossa del generale Abdel Fattah al Sisi, mentre il Qatar ha continuato a osteggiarlo sostenendo invece i Fratelli Musulmani nel frattempo dichiarati fuorilegge dal governo del Cairo.
Dopo una contesa assai violenta tra Doha e Riad, alla fine i sauditi l’hanno spuntata anche grazie alle pressioni esercitate sul Qatar dagli altri emirati che chiedevano al piccolo ma potente stato di rientrare nei ranghi di un’integrazione regionale formata dai cosiddetti paesi arabi ‘moderati’ che negli ultimi anni ha fatto passi da gigante. I progressi nella ‘trattativa’ sono stati recenti ma molto rapidi. Nei fatti il Qatar ha ceduto su tutte le richieste avanzate dall’Egitto e perorate dal principale sponsor del Cairo, l’Arabia Saudita, rinunciando a condurre una politica internazionale e alleanze regionali distinte e separate rispetto a quelle pianificate dal Consiglio di Cooperazione del Golfo e dall’insieme dei paesi arabi ‘moderati’.
La prima vittima del cambiamento di strategia accettato dal Qatar è stata la politica di un potente strumento di comunicazione e propaganda nelle mani di Doha, cioè il canale satellitare panarabo Al Jazeera. La rete Al Jazeera Mubashir Misr diretta specificatamente alla popolazione egiziana e pervicace sostenitrice delle posizioni dell’opposizione islamista al regime di Al Sisi è stata chiusa. Il Qatar, che più volte ha definito “golpista” il capo del nuovo governo egiziano, ha dovuto riconoscere tramite un suo funzionario che “la sicurezza dell’Egitto è molto importante per la sicurezza di tutta la regione”. Anche altri canali informativi e propagandistici a disposizione della piccola petromonarchia hanno rapidamente modificato il proprio messaggio smettendo di qualificare Al Sisi come “capo del golpe militare in Egitto”, utilizzando un più neutro “il presidente eletto dopo il golpe”.
Recentemente il responsabile dei servizi segreti qatarioti ha visitato la capitale egiziana, gettando nel panico la leadership dei Fratelli Musulmani del Cairo e non solo. Anche perché nei prossimi giorni dovrebbe svolgersi un incontro tra gli alti livelli dei due governi che potrebbe condurre a un completo abbandono dell’opposizione egiziana da parte di Doha con gravi conseguenze per le opposizioni islamiste ad Al Sisi già sottoposte a una repressione selvaggia dopo la destituzione con la forza del presidente Mohamed Morsi.
A preoccuparsi sono anche molti leader islamisti egiziani che negli ultimi mesi si sono rifugiati in Qatar e che potrebbero essere espulsi o addirittura arrestati se la riconciliazione tra Doha e Riad sulla questione egiziana dovesse andare in porto completamente. Ad esempio Yusef al Qaradawi, presidente dell’Unione Mondiale degli Scienziati Musulmani, che finora ha utilizzato le reti televisive del Qatar per attaccare il regime militare egiziano e che il Cairo accusa di incitamento alla violenza chiedendo di poterlo processare in patria. Secondo indiscrezioni l’88enne Qardawi, che ha la doppia cittadinanza egiziana-qatariota, potrebbe aprire una lunga lista di dissidenti di cui il Cairo chiederà l’estradizione a Doha anche se probabilmente il Qatar potrebbe decidere di espellere lui ed altri in Gran Bretagna o in Turchia.
In conseguenza del nuovo corso il regime di Doha dovrebbe anche cessare di sostenere le milizie islamiste libiche, che l’Egitto considera una minaccia ai suoi interessi e alla sua sicurezza nel nord Africa e che combatte tramite il sostegno al generale libico Haftar. Nel frattempo Riad ha aperto i rubinetti degli aiuti militari e finanziari diretti al regime militare egiziano e nei prossimi mesi l’Arabia Saudita potrebbe addirittura organizzare una conferenza internazionale di sostegno all’Egitto anche allo scopo di rafforzare la sua egemonia in tutta l’area.
Il cedimento del Qatar rappresenta un grave danno per Ankara, rimasto di fatto l’unico paese dell’area a sostenere ancora attivamente i Fratelli Musulmani in Egitto e in tutto il quadrante. Recep Tayyip Erdogan, a capo di un governo e di una corrente espressione del ramo turco dei Fratelli Musulmani, è sempre più isolato, così come il movimento palestinese Hamas. Il cambio di linea da parte di Doha potrebbe avere conseguenze anche in Siria, dove la cosiddetta opposizione islamica moderata al governo di Damasco, rappresentata per lo più dai Fratelli Musulmani e da altri gruppi simili, potrebbe risultare ulteriormente indebolita a vantaggio delle organizzazioni islamiste ancora più radicali.
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