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22/01/2015

L’Italia di fronte alla terza ondata di crisi

Se la politica istituzionale italiana fosse un film starebbe in un genere horror-demenziale. Ad alto budget, costo quasi la ricchezza di un paese, ed in fondo con poche idee. L’alleanza Renzi-Berlusconi che cannibalizza i resti dei rispettivi partiti che, ancora oggi, credono di essere reciprocamente alternativi. Una elezione del presidente della Repubblica che, comunque vada, produrrà una persona inadeguata e commissariata dall’esterno. E si parla di una entità esterna che non sa assolutamente che cosa fare, altro che le invasioni di They Live di Carpenter o i Visitors. Non a caso da giorni i tg mainstream vivono di emergenza terrorismo islamico visto che ogni altro argomento (come la serissima vicenda dello sganciamento euro-franco svizzero con crollo borsa di Zurigo) diventa politicamente ingestibile e neanche raccontabile.

Renzi da Davos ha offerto, ad una platea mondiale che sta cercando la ricetta di un capitalismo che esce dalla crisi (che è un po’ come l’assassino che si mette sulle tracce del colpevole dell’omicidio che ha commesso), addirittura le riforme elettorali ed istituzionali. Insomma, il mantra di ogni numero domenicale di Repubblica o del Corriere da oltre trent’anni rivenduto con hashtag lavoltabuona. Ma forse quella delle “riforme” è la volta buona davvero. In ogni caso, non nel senso sperato da una opinione pubblica fuori dal tempo e dallo spazio globali. E qui bisogna capirsi: quando, a ridosso delle elezioni 2013 come dell’insediamento del governo Renzi, le previsioni più demenziali sul pil fioccavano sui maggiori giornali la realtà sembrava essersi eclissata. Dal marketing a favore di Monti a quello, ancora più sfacciato, per Renzi i media italiani, a reti unificate, hanno sparato previsioni di Pil pazzesche se solo le magiche “riforme” fossero entrate in essere. La realtà, guardando le previsioni di Citigroup (rivelatesi fondate), si incarica invece di raccontare non un film ma i fatti: investimenti in declino entro un pil globale in frenata significava inesorabilmente almeno tre anni di recessione (l’ultimo, il 2014, visto pudicamente da Citigroup a 0,0 ed andato ben peggio).

Queste previsioni si basavano su una analisi fatta recentemente, e a nostro avviso correttamente, anche dal sito walkingdebt: l’Italia è stata travolta da una prima ondata di crisi (quella successiva a Lehman) tutta fatta di cause esterne; poi da una seconda, (quella contemporanea alla crisi debito sovrano), dove invece le difficoltà dell’economia interna si sono fatte sentire con forza. In entrambi i casi, per quanto oggi investire non significhi creare automaticamente un saldo positivo di posti di lavoro, gli investimenti pubblici e privati si sono significativamente ridotti. Quelli privati a causa della crisi; quelli pubblici, che dovrebbero contrastare la crisi di quelli privati, a causa del doppio modo di rispondere alle prime due ondate di disgregazione del capitalismo italiano: tagliando i bilanci pubblici in un primo momento (Lehmann), aumentando le tasse in un secondo (Crisi del debito sovrano). In entrambi i casi sono mancati i fondi per gli investimenti. I tre anni di recessione consecutiva sembrano aver seminato poco.

Ed adesso di fronte ad una terza ondata di crisi, con la stima del rallentamento della crescita globale?

Ecco quindi il ruolo delle riforme renziane: costruire istituzioni che favoriscano la deflazione da lavoro, di cui il Jobs Act sarebbe solo un passo, recuperando competitività facendola pagare ai lavoratori. Oppure per recuperare investimenti stornando, senza difficoltà formali, dal welfare direttamente ai privati. E’ la via del downgrade italiano, fino ad un punto di immiserimento tale da rendere il paese competitivo sul costo del lavoro. Mentre l’un per cento degli italiani, assieme agli investitori esteri, applaude, fa applaudire alle proprie tv ed incassa i dividendi delle “riforme”.

La salvezza italiana, comunque piena di impressionanti difficoltà e pericoli, passa dall’appoggio convinto alla Grecia. Pur conoscendo difficoltà e contraddizioni di Syriza. Perché la Grecia può mettere in difficoltà l’ordine materiale su cui si basano le politiche del downgrade alla Renzi. Il resto è chiacchiera sulla competitività, l’efficienza e chissà qualche altro lemma del lessico delle conversazioni da vacanze estive, peraltro sempre più brevi, quando capita di parlare della crisi del paese. Lessico elevato a catalogo delle categorie del politico, del resto i tempi non sembrano offrire di meglio. Per adesso. Nel novero di queste chiacchiere ci sono anche quelle sulla possibile svolta della Bce di Draghi nell’acquisto di titoli. Ma qui il bluff dovrebbe uscir fuori persino prima di quello messo in campo dal premier di Rignano.

Redazione, 21 gennaio 2015

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