Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

08/07/2015

Altro che Grecia, la Cina fa paura: tra panico da botto e realtà dei fatti

La vicenda cinese, con la borsa di Shangai arrivata a sospendere una buona parte dei titoli quotati in borsa in mezzo a settimane di perdite record, è di quelle che vanno stampate bene in memoria. Per capire quanto il pianeta è interconesso, quanto pericoloso sia il fatto che è la finanza ad essere la sua infrastruttura di connessione, quali sono le conseguenze delle crisi del globale sulla dimensione locale.

In quest’ottica, la crisi greca mostra tutti i limiti sistemici della governance dell’eurozona e della Ue. Paralizzate dalla crisi di un paese che ha appena il due per cento del Pil continentale, e che non desidera nemmeno essere secessionista, Ue ed eurozona sono di fatto inabili, oltre a non poter garantire un futuro prospero alla maggioranza dei cittadini europei, a poter guardare oltre il proprio giardino di casa.

Eppure la crisi della borsa di Shangai, oltre a cause interne, ha cause radicate nel mondo globale molto simili a quella europea. Quello che sta accadendo in Cina e in Grecia ha infatti una precisa origine: la reazione al crack Lehman Brothers del 2008.

L’eurozona ha risposto al 2008 con due strategie: il salvataggio delle banche coinvolte nel crack americano, facendolo pagare ai bilanci pubblici, e il rientro delle esposizioni delle principali banche creditrici con le principali debitrici del continente. Da allora, con le politiche di austerità come garanzia della liquidità necessaria a queste strategie, nonostante l’unione bancaria, il fiscal compact, il quantitative easing la crisi europea, intesa qui come effetto Lehmann, è stata solo rallentata. Salvo poi ripresentarsi, per adesso, come questione greca.

La Cina, al contrario, ha risposto, nel 2009, con un pacchetto di stimoli all’economia, fatto per contrastare gli effetti della crisi Lehman, che ha portato facilitazioni al credito, investimento nelle infrastrutture, nell’educazione, nell’economia verde, nel risparmio energetico e nell’edilizia. Ne ha risentito, beneficamente, il Pil, quasi fino a toccare il 10% in un anno non facile per l’economia globale come il 2010.

Il punto è che nel pacchetto di stimolo ci sono due condizioni per le bolle finanziarie successive. La prima, legata alle facilitazioni per il credito, si era già manifestata all’inizio della crisi globale, nel febbraio del 2007, quando in un giorno la borsa di Shangai perse il 9% costringendo quella di New York a bruciare quasi il 4% di valore azionario in una giornata. In poche parole più la banca centrale cinese fornisce liquidità a basso prezzo più la bolla finanziaria si gonfia, fino a diventare un problema globale. Le seconda è quella legata all’immobiliare, che ha avuto la propria fase più acuta nel bienno ’11-‘13. Bolla della cui portata esplosiva poco si è avvertito in Europa. Un crollo del mercato immobiliare che ha lasciato vuoti circa 64 milioni di vani (abitabili, a seconda delle stime, anche da quasi 150 milioni di persone). Intere città, come quella che contiene la replica del centro di Parigi con la Torre Eiffel o Zhengzhou, grande quanto San Francisco, vuote anche al 90% (come il quartiere stile italiano o tedesco o inglese dei sobborghi di Pechino). Ci si domanda quindi se l’economia globale rischi di essere desertificata, con la nuova crisi, quanto le città fantasma cinesi.

In questo senso se la crisi esce dalla Cina, con un contagio stile 2007 magari più esteso, in effetti non è da escludere una nuova Lehman. Il punto è che il governo cinese, assieme alla propria banca centrale, ha riserve di liquidità sufficienti per domare la crisi. Ma la liquidità, come abbiamo visto, non basta e può alimentare nuove bolle e nuove crisi. Al momento secondo Bloomberg la Cina sta provando una soluzione alla giapponese.

Si tratta di far acquistare da immensi fondi pensione azioni d'imprese strategiche che stanno crollando. In Giappone negli anni '90 funzionò, tamponando il crollo azionario. Da allora però il paese del Sol Levante vive in una sorta di congelamento finanziario con tassi di crescita bassi. Accadesse anche in Cina la bolla si sgonfierebbe. Ma la capacità della seconda economia mondiale, la Cina appunto, di alimentare l’economia globale rischierebbe un serio rallentamento.

E’ il capitalismo di oggi: risolve bolle ponendo le condizioni per le successive oppure per la stagnazione dell’economia. Sempre che non arrivi il superbotto a cambiare la faccia, economica e finanziaria, del pianeta. Intanto tutti cercano di guadagnare tempo, in cerca di soluzioni.

Redazione, 8 luglio 2015

Nessun commento:

Posta un commento