Apparentemente ha vinto la torva Unione Europea, raggrinzita e nascosta dietro la maschera di Wolfgang Schaeuble, più ancora di quella di Angela Merkel. Ma le facce non spiegano le ragioni di un'evoluzione, al massimo le interpretano.
Schiantare la resistenza un po' naif della piccola Grecia ha richiesto infatti un surplus di drammatizzazione, una escalation di minacce - fino alla Grexit - che non depongono a favore della stabilità futura della costruzione europea. Se lo scopo era infatti "fermare il contagio" della ribellione in direzione di altri paesi altrettanto in difficoltà con i conti e la crescita, questo può sembrare riuscito sul piano politico e sul breve periodo, ma non sul piano delle dinamiche di mercato, quindi sul medio periodo.
E' abbastanza semplice, in effetti, spaventare i vertici di Podemos o dei Cinque Stelle mostrando loro il triste spettacolo del fallito tentativo di "riformare" l'Unione Europea. Chiunque arrivi a conquistare un governo, in questo momento, sa che non avrà spazio per nessuna modifica; al massimo per un "piano di aiuto" che ti stringe il cappio alla gola mentre fa mostra di volerti salvare.
Ma la ferocia mostrata nei confronti di Atene costringerà le basi sociali di quei movimenti - fin qui cresciuti senza doversi porre problemi strategici, ossia dando per scontata la cornice istituzionale europea e la moneta unica - a porsi la domanda più normale: si può davvero metter fine all'austerità senza rompere-uscire dall'Unione?
Chi risponderà a questa domanda con più serietà, sarà anche credibile come avversario dell'establishment euro-nazionale, agli occhi di milioni di persone in difficoltà.
Ma sul piano economico "il contagio" - che quel contafrottole a palazzo Chigi dice impossibile "perché noi abbiamo già fatto le riforme che chiede la Troika" - è già cominciato.
L'articolo di Maurizio Ricci (sull'Eurobarometro di Repubblica, che qui di seguito riportiamo) si apre con una notizia che andrebbe messa in prima pagina:
"Una grande multinazionale straniera sta facendo firmare, in questi giorni, ai suoi fornitori italiani, contratti che contemplano la procedura da seguire in caso di uscita dall'euro e ritorno alla lira".Stavolta gli operai non c'entrano nulla. L'anonima multinazionale si va cautelando rispetto ai fornitori, stabilendo clausole prima impensabili perché non necessarie. L'euro, per il mondo del business più normale e massificato, non è più irreversibile. Già oggi, in questo momento.
Certo, a livello di micro aziende operanti completamente all'interno del mercato nazionale, il problema ancora non si pone. Ma qualsiasi compagnia multinazionale, che deve quotidianamente fare i conti e le previsioni sui possibili rischi di cambio, sta già "scontando nei contratti" l'eventualità che alcuni paesi possano ritrovarsi - entro i tempi ciclici dell'economia reale, insomma entro un paio d'anni - fuori dalla moneta unica. Oppure il dissolvimento tout court dell'euro. Nei prossimi giorni e settimane in tutti i paesi Piigs vedremo le stesse scene, o comunque qualcuno le riferirà, perché diventeranno una componente nella formazione dei prezzi e nella valutazione dei rischi (da parte delle banche).
E' finito lunedì mattina, 13 luglio, l'effetto stabilizzante del "faremo tutto ciò che necessario, e vi assicuro che sarà abbastanza" pronunciato da Mario Draghi nell'agosto del 2012, quando sembrava che la moneta unica avesse le ore contate.
L'ironia della Storia vuole che il vincitore apparente di uno scontro in cui voleva rafforzare i vincoli comunitari - Wolfgang Schaeuble - possa diventare il becchino dell'Unione Europea. Non è strano. Basti pensare che questo maniaco delle "regole" di fatto comanda il più potente strumento tecnico di governo dell'eurozona (il cosiddetto Eurogruppo, il vertice dei ministri delle finanze dei 19 paesi). Peccato si tratti di uno strumento illegale. In senso tecnico, naturalmente. Non è infatti previsto da nessun trattato europeo, i suoi poteri non sono disciplinati da nessuna regola, non rilascia informazioni documentali sui propri lavori, ma solo documenti finali all'unanimità. Che consiste poi nel dare ragione a Schaeuble.
Spiega Marx che sono gli uomini a fare la Storia, ma la fanno in modo inconsapevole. Ognuno persegue il proprio progetto (ideali, denaro, fama, profitto, conquista, ecc.), ma l'elidersi reciproco di tutte le volontà particolari (raggruppate comunque in classi sociali e soggetti rappresentanti di quegli interessi diversi) produce un risultato finale che non corrisponde a nessuna delle volontà impegnate nel conflitto.
Negli ultimi dieci giorni, non per caso, abbiamo visto come un programma politico e un governo modestamente riformisti, desiderosi soltanto di restare nella gabbia europea recuperando però un briciolo di fiato, sia diventato involontariamente il "sovversivo" che mette in discussione la tenuta dell'intera costruzione. Per poi arrendersi senza condizioni, certo. Ma lasciando nudo lo scheletro meccanico di un potere mostruoso che vede l'umanità come pura occasione di guadagno (per le multinazionali, la finanza, alcuni stati).
E, di fronte a lui, il massimo difensore del bunker che mette a rischio l'unità dei congiurati sventolando quella possibilità di espulsione (la Grexit) che poteva tenerli insieme solo se veniva esclusa. L'eterogenesi dei fini è davvero bastarda: lo ha spinto a usare "l'arma fine di mondo" per schiacciare una formica. E ora tutta la casa scricchiola...
*****
La vera tragedia europea è la Germania
di MAURIZIO RICCI
Una grande multinazionale straniera sta facendo firmare, in questi giorni, ai suoi fornitori italiani, contratti che contemplano la procedura da seguire in caso di uscita dall'euro e ritorno alla lira. E' il risultato – gravissimo – del modo irresponsabile con cui è stata gestita la crisi greca. Il contagio è già avvenuto. Il "salveremo l'euro a qualsiasi costo" di Draghi è sepolto. Nella testa della gente e dei mercati, l'euro è diventato reversibile. Lo pagheremo in termini di spread e di speculazione. Se non oggi, domani, alla prossima crisi. E il dubbio è che questo sia stato lo scopo deliberato di chi ha messo in piedi, in queste ore, a Bruxelles, una rappresentazione ad uso e consumo di un pubblico (quello tedesco) precedentemente addestrato ad una visione unilaterale e faziosa della realtà. Sangue e torture a parte, non era diversa la logica dei processi dell'Inquisizione spagnola.
Solo nello scenario di una rappresentazione si spiega la facilità con cui, fra sabato e domenica, sono circolate bozze di documenti in cui, venivano comunque menzionate ipotesi, come l'uscita temporanea della Grecia dall'euro, che i tecnici avevano già liquidato come improponibili. A rassicurare lo stesso pubblico è stata riproposta la ricetta economica di sempre: siccome l'economia va peggio del previsto, bisogna stringere ulteriormente le viti dell'austerità, con il risultato che l'economia andrà ancora peggio, gli obiettivi verranno inevitabilmente disattesi, l'austerità verrà rinforzata e la spirale perversa, già vista all'opera in questi anni, potrà dare un altro giro, sempre perché la priorità sarebbe mettere da parte i soldi per restituire i debiti.
Restituzione che resta problematica esattamente come prima. Ma, poiché tagliare i debiti inesigibili resta un'eresia, pur di non ridurre la montagna del debito preesistente si preferisce aumentarla ulteriormente di un'altra ottantina di miliardi, così da trasformare la piaga in cancrena.
A questo punto, i dettagli dell'accordo – quanto cede Tsipras, cosa riesce a strappare, l'elenco delle riforme – contano assai poco. Qualsiasi numero, qualsiasi vincolo è ballerino. Inevitabilmente, sulla misura effettiva del deficit di bilancio, sulle rate di restituzione dei debiti, l'Europa dovrà tornare. Il dramma greco è destinato a restare con noi. Per arrivare a questo risultato, Berlino ha devastato il panorama politico del continente. Da Salonicco a Lisbona, l'Europa ha un "cattivo" ufficiale e parla tedesco, un ruolo che la Germania dovrebbe vivere con qualche disagio. L'asse storico con Parigi è profondamente incrinato: le proposte con cui Tsipras si è presentato venerdì a Bruxelles e che sono state ridicolizzate dai tedeschi erano state studiate insieme al governo francese. Le ipotesi di maggiore integrazione dell'eurozona, di una progressiva cessione di sovranità fiscale ed economica a Bruxelles sono severamente impiombate, almeno a livello popolare: chi ha voglia di cedere sovranità all'Europa di Schaeuble, per ritrovarsi domani pignorato il Colosseo o gli Champs Elysées?
La vera tragedia nel cuore dell'Europa, oggi, non è la Grecia. E' la Germania, l'isolamento culturale, ideologico in cui vive la maggior potenza del continente. La tragedia è che Schaeuble, la Merkel, la Spd non potevano, probabilmente, per realismo politico, comportarsi diversamente. Per anni, l'establishment tedesco – dai politici ai giornali – ha fornito all'opinione pubblica una immagine della realtà europea fasulla, in cui, ad esempio, i tedeschi appaiono quelli che finanziano i debiti greci, anche se, pro capite, il contribuente tedesco ha versato esattamente quanto quello italiano. Nessuno, tuttavia, al di là del Reno, la mette in discussione. Ora, è anche possibile che i teorici dell'austerità abbiano ragione, ma l'aspetto malsano della vicenda è che l'opinione pubblica tedesca non conosce altra versione della realtà. Le critiche di premi Nobel come Krugman e Stiglitz, le obiezioni di Obama, lo smantellamento dei dogmi dell'austerità da parte del Fmi, gli appelli dello stesso Fmi ad un taglio del debito greco non sono mai arrivati all'opinione pubblica. I giornali non ne parlano, i politici neanche. Per quanto possa apparire incredibile, un dibattito non c'è. Al volante della macchina europea c'è una Germania che non riesce a staccare gli occhi dal proprio ombelico.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento